Carlo Bastasin, Il Sole 24 Ore 12/9/2014, 12 settembre 2014
SE L’EUROPA RISCHIA LA RESA DEI CONTI
Raramente il confronto tra i governi europei è stato aspro quanto negli ultimi giorni. Il ritorno dell’economia in recessione ha reso più mordente la diffidenza reciproca e più tagliente il linguaggio. Si sentono vicine soglie oltre le quali l’economia si ferma, la deflazione si avvita e il pessimismo degli uni si rispecchia in quello degli altri. Tutto questo dovrebbe spingere i governi, i banchieri centrali, le nuove istituzioni europee a collaborare, tendersi la mano, distribuirsi i compiti. Invece accade il contrario.
L’annuncio unilaterale del governo francese di non rispettare i vincoli di bilancio ha sfiorato l’irrisione; i toni con cui Berlino rimprovera gli altri paesi sono diventati acrimoniosi; la Bce chiede all’Italia sforzi fiscali ancora maggiori, ma è finita essa stessa nel mirino del governo tedesco. Tutti sembrano prepararsi a un regolamento di conti.
In fondo è proprio quello che sta per succedere: nelle prossime settimane si decideranno le sorti del dibattito su austerità e flessibilità. Un dibattito che ha usurpato la centralità della politica economica europea. Entro novembre infatti la nuova Commissione europea, guidata da Jean-Claude Juncker dovrà esprimere una valutazione sulle bozze dei programmi di bilancio dei governi nazionali. Quella valutazione darà tono e personalità al coordinamento europeo delle finanze pubbliche per i prossimi cinque anni di vita del nuovo esecutivo europeo. Per questo è tanto critico lo scontro in corso.
In un contesto economicamente difficile e politicamente confuso, la direzione della politica economica di Bruxelles è però ancora dubbia.
Perfino la composizione della nuova Commissione ha richiesto la convivenza di colombe fiscali francesi e falchi baltici. L’inizio non promette molto di buono: Parigi ha sfruttato il vuoto di potere per annunciare lo sfondamento dei conti, senza però presentare il dettaglio del bilancio che sarà noto solo tra un mese. Ha messo cioè la Commissione di fronte al fatto compiuto prima di vedersi opporre le contromisure previste dai nuovi regolamenti (il cosiddetto Two-Pack). Berlino ha reagito con durezza e a ragione: in base ai dati attuali, con una crescita potenziale che secondo la Banca di Francia è ben sotto l’1%, il debito di Parigi non smetterà mai di aumentare. La divergenza tra Francia e Germania metterà a rischio l’unione monetaria in un clima di crescente sfiducia.
Lo schiaffo francese rende difficile anche la posizione italiana, ma ancor più quella del presidente della Bce. Tra altre proposte, Mario Draghi suggerisce di sfruttare i margini fiscali ancora disponibili nell’Eurozona. A Jackson Hole aveva chiesto indirettamente a Berlino di aumentare la propria spesa pubblica, almeno quella in investimenti. La risposta di Schaeuble è stata brutale: ha respinto ogni progetto di spesa e ha insinuato che la Bce - attraverso l’acquisto di titoli sovrani - si renda complice dei governi che hanno politiche economiche irresponsabili.
Bisogna che questa assurda escalation dei toni rientri nei ranghi ragionevoli. È indispensabile che si torni a discutere costruttivamente e oltre i totem della politica fiscale, perché la soluzione della crisi richiede compromessi da parte di tutti e da realizzare insieme. In fondo si tratta di riconoscere che l’economia dell’euro si trova in circostanze così "eccezionali" da essere diventate croniche. Tali circostanze richiedono anche stimoli dal lato della domanda e i margini fiscali possono essere destinati alla realizzazione delle riforme. Ma bisogna subito riaccendere il motore, con un piano di investimenti. Non solo perché gli investimenti sono "la domanda di oggi e l’offerta di domani", non solo cioè perché quando si fermano gli investimenti si nega la crescita futura, ma per dare subito almeno un segnale di iniziativa comune che possa testimoniare la fiducia dei governi nel progetto europeo. Quale altro investitore potrebbe aver fiducia nell’Europa se proprio i governi
non ne hanno?
Il pacchetto dei tre motori - domanda, riforme, investimenti - è realizzabile all’interno del Patto di stabilità. Attraverso forme di coordinamento che preservino la credibilità fiscale dell’unione monetaria: una politica fiscale per l’euro area, così come una politica monetaria e un coordinamento delle riforme strutturali. Sono proposte che tutti conoscono, ma che hanno smarrito un contesto politico che ne garantisca la realizzazione. Alla fine, infatti, la vera debolezza strutturale dell’euro area non è dal lato né dell’offerta né della domanda, ma nel vuoto di volontà politica e di cooperazione solidale. Per questo è tanto deprimente l’estremismo dialettico di Parigi e Berlino. In un intervento tenuto a Milano ieri sera, Mario Draghi ha ribadito lo schema dei tre motori, invocando un insieme di politiche - monetaria, fiscale e riforme strutturali - concertate da parte di tutti gli attori politici, sia nazionali sia europei: «Bassa crescita e bassa inflazione; alti debiti e alta disoccupazione; possono essere affrontati solo con un’azione concertata». Solo così e con il rilancio degli investimenti, sostiene Draghi, si può riavviare il motore dell’economia. Il vero nodo è chi avrà l’abilità politica di mettere in piedi un nuovo credibile esercizio di coordinamento. Berlino e Parigi stanno dimostrando che la leadership dei governi, che ha dominato la politica europea durante la crisi, è sopravvissuta alla propria utilità. Ora la palla è in mano a Juncker e ai suoi vicepresidenti. Hanno solo poche settimane di tempo per vincere una sfida formidabile e cambiare il tono della cooperazione europea.
Carlo Bastasin, Il Sole 24 Ore 12/9/2014