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 2014  settembre 12 Venerdì calendario

DA AMBROSOLI A GOMORRA LA FICTION MOSTRA LA REALTÀ

[Intervista a Carlo Freccero] –
Parola d’ordine? Fingiamo che sia fiction, perché di fatto la fiction si nutre di noi, della nostra realtà: è l’opposto di quel che si pensa, racconta la realtà più del giornalismo”. Chi parla la conosce bene, in televisione ha fatto e decostruito come nessun altro, ora si trova a programmare non più palinsesti, ma un festival: RomaFictionFest, in cantiere all’Auditorium Parco della Musica di Roma dal 13 al 19 settembre. Manca poco, ma più di quanto Carlo Freccero vorrebbe, perché “vado avanti come un carro armato, non ho patemi d’animo, non guardo niente e nessuno”.
Freccero, come sta la fiction?
Ottimamente, la dimensione critica è passata dal grande schermo alla fiction. Le serie americane offrono uno spaccato della cultura più profondo di qualsiasi trattato di sociologia: sotto l’aspetto mistificato del buon cittadino, del buon patriota Usa, si annida il lato oscuro dell’immaginario.
Vogliamo parlare di House of Cards?
Spiega molto bene che in politica non è importante cambiare il mondo, ma occupare i posti di potere. E c’è di più: il film americano basa l’intreccio sull’azione, la novità di House sta nel privilegiare l’intrigo, la macchinazione. Un’azione mentale, anziché fisica, una partita a scacchi nei palazzi del potere. Le pedine del dramma sono poche, vedi gli ingranaggi, capisci le dinamiche.
Non dovrebbe essere il compito dei talk show politici?
Macché, in quest’epoca di conformismo di massa la lettura critica è assente nei talk: sono fatti per il potere, e gli spettatori sono le vittime. È propaganda permanente: ‘La ripresa è dietro l’angolo, i consumi dietro l’angolo’, ma quest’ottimismo di facciata non fa che esasperare il senso di paura, mentre le serie ci sbattono in faccia la realtà.
Venezia s’è appena conclusa, Roma ora rilancia con la fiction, poi le web series, quindi il 16 ottobre il cinema: anche l’occupazione dei festival è un problema.
Credo che il prossimo anno molti festival non ci saranno più: mancano i soldi. Ma non finisce qui: Roma dovrebbe pensare a una grande festa dell’immaginario, in tutte le sue forme. Cinema, fiction, web series, la mia idea è accorparli: mai come in questo momento vivono di una continua ibridazione, perché tenerli separati?
Perché i festival sono vecchi.
Come essere in disaccordo? Vediamo il cinema di oggi, che è tutto un sequel, prequel, remake: i film sono episodi di una narrazione più estesa, nascono già in un contesto seriale.
Mentre la fiction…
È più sperimentale, creativa, e questo festival vuole esserne una mappa fedele. Pensiamo a True Detective, che è più film, dilatato in otto episodi, di quelli con gli eroi della Marvel. Io lo porto sul grande schermo, perché è stato fatto per quello: campi lunghi, totali. Un regalo per lo spettatore, il più bello: le serie sono cinema, il grande schermo le esalta, ti lascia a bocca aperta.
Insomma, tra le cinematografiche Venezia e Roma gode la fiction: è questo l’unico festival del nuovo?
Non farmi così arrogante, non lo sono. Ma è vero che l’immaginario della fiction è più vero e nero di quello del cinema, perché mette in scena le paure che non possono esprimersi a livello conscio, porta alla luce gli incubi segreti. Ed è fatta per un pubblico, la borghesia illuminata, che oggi l’ha sostituita al cinema e alla letteratura: Netflix, Amazon ci si sono buttate.
Ma tanti rimangono ancora al palo.
Oggi la fiction è tutto, ma nessuno vuole capirlo: una volta al venerdì si andava in videoteca o in libreria, oggi si affitta una serie. Non voglio mica essere il più bravo, constato e basta.
Fronte nazionale, che troviamo in cartellone?
Un esempio di fiction civile, Qualunque cosa succeda su Ambrosoli, e poi tre serate tematiche per case di produzione, che hanno ormai una loro politica, identità, filosofia: la Taodue di Pietro Valsecchi, la Cattleya di Riccardo Tozzi e la Lux. Senza dimenticare la Palomar di Carlo Degli Esposti, che tra Montalbano e la fiction civile ha un suo stile, queste hanno saputo imporsi, hanno raggiunto una riconoscibilità: Lux ha un modello pedagogico, Taodue si ispira ai network americani, Cattleya – Gomorra insegna – lavora a una terza via. La fiction italiana vive un momento di passaggio: risente ancora della filiazione dallo sceneggiato, ma cerca di superarlo, con diverse linee evolutive. È chiaro che il crime sia il genere che più si presta al rinnovamento: anche a livello mondiale, ma noi con La Piovra siamo stati i primi.
Freccero, su che cosa farebbe una serie?
Sulla disinformazione, il potere sopra le nostre teste che dagli anni 70 a oggi ha reso l’Italia quel che è. Devo essere più chiaro? Come la Cia ha cambiato il corso dell’Italia. Si venderebbe in tutto il mondo.
Perché dirige RomaFictionFest: un’altra occupazione di posti di potere?
Altro che potere, l’ho fatto solo per mostrare che sono vivo, vitale e rottamo gli altri: è la prova che esisto ancora.
Rottamare per rottamare, come finisce la prima stagione di Matteo Renzi?
Non rispondo, se no mi dà del gufo. Anzi, gli chiedo di non gufare contro di noi, siamo stufi. Pensa di poter fare tutto, Renzi, anche se è vero che non c’è due – Mussolini e Berlusconi – senza tre.
Che uccello è Renzi?
Li detesto gli uccelli, non riesco a vedere nemmeno quelli di Hitchcock. Comunque, un usignolo, un usignolo catodico: sa cantare molto bene, ma solo di notte, mediaticamente. Dovrebbe farlo anche di giorno: è lì che si vedono i fatti.
Federico Pontiggia, il Fatto Quotidiano 12/9/2014