Marco Lillo, il Fatto Quotidiano 12/9/2014, 12 settembre 2014
SCANDALO NIGERIA, LE CARTE CHE ACCUSANO L’ENI E DESCALZI
L’amministratore delegato della più importante società pubblica italiana è indagato per corruzione internazionale dalla Procura di Milano appena 5 mesi dopo la sua nomina da parte del Governo Renzi. Per la vicenda dell’acquisto nel 2011 della concessione petrolifera OPL245 in Nigeria, con De-scalzi sono indagati anche l’ex amministratore delegato Paolo Scaroni, il suo amico Luigi Bisignani, l’allora presidente della controllata nigeriana, NAE, Roberto Casula e poi l’amico di Bisignani, Gianluca Di Nardo, e il mediatore nigeriano, Obi. Indagato anche l’ex manager ENI, Vincenzo Armanna.
I magistrati milanesi partono dalle intercettazioni del 2010 dell’indagine sulla P4 dei pm Henry John Woodcock e Francesco Curcio. Secondo il venditore della concessione per il prezzo di un miliardo e 92 milioni di dollari, l’ex ministro del petrolio nigeriano Dan Etete, alla fine a ricevere parte dei soldi “da parte italiana” sarebbero stati Scaroni, Descalzi e Armanna. Questa dichiarazione non è stata ritenuta credibile dai giudici londinesi che si sono occupati della contesa tra Etete e il mediatore Obi. Però i pm milanesi hanno ritirato fuori quelle dichiarazioni per sostenere la loro accusa. Le telefonate con Bisignani, più che le parole dello screditato Etete, imbarazzano Descalzi e il Governo Renzi.
Il ruolo di Descalzi nella gestione dei rapporti con Bisignani è stato centrale. Grazie all’affare concluso nel 2011 l’amico di Luigi Bisignani - Gianluca Di-nardo - e il suo referente nigeriano, il banchiere Obi, sono riusciti a garantirsi un tesoretto di 110 milioni di dollari, che oggi è stato sequestrato in Svizzera ma un domani potrebbe finire nelle loro tasche.
Dinardo ha finanziato la costosa causa londinese di Obi contro Etete che non voleva pagare la mediazione. Sui 200 milioni richiesti Obi è riuscito a ottenerne 110 milioni, e una parte imprecisata, si dice sia un quinto, spetterà ora a Dinardo. Chissà se e quanto incasserà Luigi Bisignani. Certo qualcosa lui si aspettava. E, in fondo, l’affare è stato possibile grazie all’amicizia di Bisignani con Paolo Scaroni. Se Dinardo mette in contatto tramite il nigeriano Obi, l’Eni e Dan Etete, è merito di Bisignani. La storia della concessione è complicata: poco prima di lasciare il potere nel 1997, Dan Etete, mediante una società a lui riferibile, la Malabu, si autoassegna la concessione più promettente della Nigeria.
Etete, grazie alla cordata Dinardo-Bisignani-Obi, riesce a incontrare l’allora numero due dell’ENI: Claudio Descalzi. Parte la trattativa ma a un certo punto nell’aprile del 2010 Eni comincia a trattare direttamente con Etete, saltando Obi. Bisignani e Dinardo vedono sfumare l’affare da 110 milioni.
Bisignani il 16 aprile scorso ha riferito ai pm di Milano: “Dinardo era realmente scioccato perché aveva sentito che Eni aveva presentato l’offerta a Etete trattando direttamente con lui e così bypassando Obi. Di-nardo diceva (...) che la decisione non era stata presa dal numero due, Descalzi, che lui chiamava il tipo buono, ma dallo stesso numero uno e cioé Paolo Scaroni. (...) Descalzi (vedi intercettazione nel box, Ndr) mi rassicurò sul fatto che le negoziazioni sarebbero continuate sulla strada che avevamo intrapreso all’inizio e cioé attraverso l’intermediazione di Obi (...)Io e Dinardo - prosegue Bisignani - ci aspettavamo delle commissioni (...) avevamo fatto un certo lavoro nelle trattative e così ci aspettavamo un pagamento. Questo pagamento non poteva venire da Eni perché Eni non può pagare commissioni”.
A questo punto i pm milanesi concludono: “quindi ci sono buone ragioni per credere che le somme di denaro pagate da Obi includevano anche le tangenti (’bribes’) promesse a Di Nardo e Bisignani come intermediari tra i capi dell’ENI e i pubblici ufficiali nigeriani”.
I pm scrivono che la legge permetterebbe la confisca per equivalente dei beni di tutti gli indagati. Per ora hanno chiesto e ottenuto solo il sequestro di 84,9 milioni di dollari di Malabu depositati a Londra e non hanno aggredito il patrimonio di Descalzi ma non è bello leggere: “i beni localizzati in Italia appartenenti a ENI, Di Nardo, Casula, Scaroni, Descalzi possono essere confiscati”.
La Procura di Milano ripercorre la rotta tracciata dall’immensa somma pagata dall’ENI al Governo nigeriano dopo la trattativa con la Malabu di Etete , un tipino - che ricordano i pm - “è stato condannato in primo e secondo grado a una multa di 8 milioni per il reato di riciclaggio” in Francia. Poi i magistrati aggiungono “un’enorme parte (523 milioni di dollari) del denaro versato a favore dei conti nigeriani di Malabu é stato successivamente stornato a beneficio di Abubakar Alyiu, persona notoriamente legata a pubblici ufficiali di livello elevato in Nigeria”. Per i pm “sembra ragionevole ipotizzare che altre operazioni siano state effettuate per scopi corruttivi. Per esempio il pagamento di 10 milioni di dollari a favore di Bayo Ojo San, ex Attorney General della Nigeria”, cioè ex ministro della giustizia.
Secondo i pm milanesi: “Il principale beneficio che Eni ha ricavato dalla partecipazione agli accordi corruttivi è stato l’ottenimento della concessione per lo sfruttamento del blocco 245 a condizioni molto favorevoli e, in ogni caso, senza una gara”. Ora anche quella concessione potrebbe essere a rischio. Eni replica: “Non è stato da Eni utilizzato né retribuito nessun intermediario e gli accordi per l’acquisizione del Blocco sono stati sottoscritti da Eni e Shell unicamente con il governo Nigeriano”.
Marco Lillo, il Fatto Quotidiano 12/9/2014