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 2014  settembre 12 Venerdì calendario

CRESPO: «TORRES È DA MILAN, GARANZIA INZAGHI»

Pochi mesi fa Hernan Crespo osservava partite, valutava giocatori e scriveva relazioni pensando di diventare, come gli aveva garanti­ to Clarence Seedorf, il vice­allenatore del Mi­ lan. Oggi si trova a guidare la Primavera del Parma. Non è un salto indietro, ma semplice­ mente il risultato di una catena di eventi. D’al­ tronde, se dovesse riflettere sulle ipotesi che non si sono trasformate in realtà, avrebbe biso­ gno di un’altra vita. Se il Milan non avesse per­ so la finale di Champions League a Istanbul..., se l’anno scorso il Real Madrid non avesse scel­ to Zidane come assistente di Ancelotti..., se quest’estate Donadoni avesse accettato le lu­ singhe del presidente Lotito e si fosse trasferito alla Lazio... Se, se, se... «Troppi condizionali ­ dice lui ­ Meglio restare con i piedi per terra e non correre con la fantasia». E allora, visto che di presente ci si nutre e con le illusioni ci si fa solo del male, giochiamoci questo Parma­Mi­ lan senza pensare a quello che è stato o a quel­ lo che sarà. Crespo, si sieda sulla panchina del Parma e disegni la tattica: come affronta i rossoneri? «Mica semplice. Allora, la prima cosa da fare è ritrovare la mentalità da provinciale: da lì si deve partire. Voglio una squadra che stupisca e che giochi sempre ad alta intensità. Il Milan è superiore, ma in una partita può succedere tut­ to e il contrario di tutto. La mia tattica è sempli­ ce: aspetto e colpisco.
Guai a dare spazio ai mi­ «Nel suo staff al lanisti, guai a lasciare so­ li i nostri difensori».
Si mette adesso sulla panchina del Milan. Che cosa dice ai giocatori? «Prima cosa: dimenti­ care la vittoria sulla La­ zio. Se pensiamo di esse­ re diventati fenomeni, «Di Ancelotti rischiamo di prendere gol da chiunque. Secon­ da cosa: non siamo più il Milan dei vecchi tempi, è vero, ma dobbiamo esse­ re protagonisti. Sui cam­ pi di provincia bisogna vincere. Come? Stando sul pezzo, senza cali di concentrazione. Abbia­ mo lavorato tanto quest’estate, si tratta di met­ tere in pratica gli insegnamenti».
Che cos’è Parma per lei? «La mia seconda casa. Questa città mi ha ac­ colto a 21 anni e mi ha fatto crescere. Qui ho deciso di vivere, i tifosi mi hanno eletto gioca­ tore del secolo. Non potrei stare in un posto migliore».
E il Milan che cosa rappresenta? «Il sogno. Quando ero ragazzo, a Buenos Ai­ res, tifavo per il Napoli di Maradona, come tut­ ti gli argentini, ma ammiravo il Milan di Gullit e Van Basten. Sono cresciuto con il mito di Van Basten, lui era il massimo, l’obiettivo a cui ten­ deva chiunque facesse il centravanti».
Ma il sogno è diventato realtà, stagione 2004­05.
«Sono riuscito a giocare nella squadra che amavo, è vero. Ma soltanto un anno...».
Già, poi Galliani decise di non esercitare il diritto di riscatto e lei tornò al Chelsea. Per­ ché? «Tutta colpa della finale di Champions persa a Istanbul. Ma Galliani con me è sempre stato moto gentile e onesto. Mi ha ripetuto, più di una volta, che aveva sbagliato a non confer­ marmi. Mi è dispiaciuta, quella decisione, per­ ché non ho avuto la possibilità di vivere la ri­ vincita di Atene contro il Liverpool nel 2007».
Torniamo a Istanbul 2005: che cosa accad­ de? «Nulla, il calcio è fatto anche di dolore. Tutto qui. Io faccio una doppietta, alla fine del primo tempo stiamo vincendo 3­0, siamo carichi co­ me le molle, Ancelotti ci dice che stiamo gio­ cando alla grande, torniamo in campo e... si spegne la luce per sei minuti. Sei maledetti mi­ nuti! Ma lo sa che quella partita, quei gol, i miei gol, li ho rivisti soltanto due mesi fa? Pri­ ma non ne avevo la forza, mi faceva ancora ma­ le».
E ad Atene, due anni dopo, lei non c’era.
«No, però è accaduta una cosa bellissima.
Subito dopo la vittoria ho ricevuto sul cellulare alcuni sms dai miei ex compagni del Milan. Ne­ sta, Pirlo, Gattuso, Brocchi, lo stesso Ancelot­ ti... Mi scrivevano che quella coppa, quella che avevano appena conquistato ad Atene, era an­ che un po’ mia. E pensare che allora giocavo nell’Inter... Sono testimonianze e ricordi che non si cancellano».
Qualche mese fa sembrava che il ritorno al Milan fosse cosa fatta. Stavolta da vice­alle­ natore. Conferma? «Eravamo d’ac­ cordo. Nello staff di Seedorf dovevamo esserci io e Jaap Stam. Poi è succes­ so quello che tutti sapete, Clarence mi ha telefonato e mi ha detto che era saltato tutto. Pa­ zienza. Agli impre­ visti sono abituato: l’anno prima dove­ vo andare al Real Madrid con Ance­ lotti e poi mi sono ritrovato a fare il commentatore te­ levisivo...». Che allenatore è Inzaghi? Lei lo conosce bene...
«Abbiamo fatto il Supercorso a Coverciano assieme. Lui è uno che non molla mai. Come quando giocava: lo vedevi e non ti impressio­ nava per le grandi qualità tecniche, però quan­ do c’era da buttarla dentro lo trovavi sempre al posto giusto. Da allenatore è uguale. Meticolo­ so, preciso, concreto. Con la Primavera ha la­ vorato molto bene».
E Crespo, alla sua prima esperienza in pan­ china, come si trova? «Benissimo. Sono “caliente”, non voglio per­ dere, cerco di trasmettere la mia mentalità. Di­ co sempre: ci sarà qualcuno più bravo di me, ne sono certo, ma per dimostrarlo deve fare cose da fenomeno... Altrimenti vinco io». Modelli? «Osservo tutti, studio, poi faccio una sintesi.
Vorrei essere un po’ Ancelotti, un po’ Mou­ rinho, un po’ Bielsa».
Da Ancelotti che cosa prenderebbe? «La tranquillità, l’umanità e la capacità di es­ sere sempre in sintonia con i giocatori». Da Mourinho? «La metodologia d’allenamento. È sempre all’avanguardia. E poi Mou sa come entrare nella testa dei ragazzi, è uno psicologo».
Di Bielsa che cosa vorrebbe avere? «Lui sa migliorare le qualità dei giocatori. Se uno è al 70 per cento, stai certo che con lui arriva al 110. È magnifico in questo».
Un Crespo, nel calcio di oggi, lo vede? «Non si possono paragonare giocatori di epoche diverse. È ingiusto. Quando andavo in campo io, mi marcavano Cannavaro, Nesta, Maldini, Thuram... Mi sono spiegato? Altri­ menti cadiamo nell’errore di quelli che voglio­ no a tutti i costi paragonare Messi a Maradona.
Non scherziamo: Messi è straordinario, ma Maradona non si può descrivere a parole...».
Ora lei allena i giovani, che in Italia non sono molto valorizzati. Come vive questa esperien­ za? «I giovani bravi ci sono dappertutto. Quello che manca, oggi, è la cultura del lavoro. I gio­ vani pensano più ai privilegi che agli allena­ menti, e questo non va bene. Se uno fa una stu­ pidata, io lo sopporto a patto che poi, in cam­ po, quando serve, faccia il fenomeno. Altri­ menti che cosa me ne faccio? Adesso, invece, i giovani fanno le stupidate, pretendono tutto, ma non hanno ancora dimostrato nulla».
Quindi lei, uno come Cassano, lo sopporte­ rebbe? «A me Cassano fa impazzire. È il calcio, quando si mette in testa di giocare. E l’anno scorso il Parma, grazie a lui, è arrivato in Euro­ pa League. Mi sembra di aver detto tutto».
Sopporterebbe anche Balotelli? «Discorso diverso. Il giudizio su Balotelli di­ pende dalle aspettative che hai su di lui. Se pensi che Mario possa segnare 25 gol a stagio­ ne, allora hai sbagliato tutto. Lui non ha mai avuto continuità. Può risolvere una gara con un numero da campione, ma non puoi chieder­ gli di farlo sempre».
Il Milan punta su Torres. Fa bene? «Tecnicamente è un grande centravanti. Ga­ rantisce presenza in area di rigore, è veloce, attacca lo spazio. Considerando il centrocam­ po del Milan è l’uomo adatto a finalizzare la manovra».
E poi c’è El Shaarawy. Rinascerà? «Me lo auguro. Ci ho giocato assieme quan­ do ero al Genoa. È un ragazzo serio. Le qualità non gli mancano. Ha già conosciuto i momenti duri e si è fatto le ossa. Ora sa che i complimen­ ti e le pacche sulle spalle vanno e vengono. Fi­ nora è stato un ottimo giocatore per sei mesi, o poco di più. Lo aspetto per una stagione intera.
Scommetto su di lui».
E sulla rinascita del calcio italiano scom­ mette? «Una volta, diciamo dieci o quindici anni fa, tutti i migliori venivano qui. Ora, invece, Cri­ stiano Ronaldo e Messi non si sognano nem­ meno di mettere piede in Italia. Dobbiamo cambiare la mentalità, i talenti ce li dobbiamo crescere in casa. Il nostro compito, oggi, è quel­ lo di esportare, non di importare. E poi abbia­ mo il dovere di tutelare la scuola italiana. Se percorreremo questa strada, in quattro anni possiamo farcela. Lo dico da italiano, non da argentino...».