Antonio Carlucci, L’Espresso 12/9/2014, 12 settembre 2014
MI SONO COMPRATO WALL STREET
NEW YORK Il tempio del capitalismo americano cambia faccia. Via il dedalo di stanze con le pareti ricoperte di boiserie e poltrone in pelle, via gli uffici chiusi dove si lavora senza sapere quello che accade intorno, via il vecchio “Garage”, come è stato da sempre chiamato il rumoroso salone delle contrattazioni. E poi rottamazione american style, grazie e arrivederci alla vecchia guardia, a cominciare dai dirigenti, e dentro una nuova generazione di traders con paghe più contenute, voglia di lavorare in gruppo e culturalmente affini all’era dell’elettronica.
Nel palazzo della Borsa di New York, che si trova tra Wall e Broad Street, è davvero cominciata un’altra era. Non si tratta solo dei rifacimenti interni per mettere al passo con i tempi l’istituzione finanziaria per eccellenza del capitalismo Usa. Jeffrey Sprecher, il nuovo presidente e amministratore delegato del New York Stock Exchange, il 58enne senza pedigree, quadri di antenati finanzieri o industriali alle pareti, a novembre dell’anno scorso è arrivato al vertice della Borsa di New York dopo averla acquistata per 8,2 miliardi di dollari. E ora vuole rivoltare come un calzino questa istituzione che ha 222 anni di attività alle spalle e ha perso nel frattempo non solo charme ma anche potere. Basta una cifra per rendere evidente questa situazione: solo dieci anni fa, nel palazzo il cui ingresso è al numero 11 di Wall Street, venivano trattate l’80 per cento delle operazioni fatte negli Stati Uniti, adesso solo il 20.
Nonostante questa perdita di centralità e soprattutto di potere, Sprecher, originario del Wisconsin, una laurea in ingegneria chimica, fino al 2000 completamente sconosciuto al mondo dell’intermediazione finanziaria, ha conquistato l’icona del capitalismo americano. Che non comprende soltanto la società denominata New York Stock Exchange, ma contiene, sotto il nome di Nyse Euronext, anche una serie di aziende europee che controllano i mercati borsistici (delle azioni, delle merci o dei derivati) di città come Londra, Parigi, Amsterdam e Bruxelles. È un piccolo impero finanziario finito nelle mani di un uomo nella cui storia c’è anche l’episodio della cacciata, in senso letterale, dalla sala riunioni di una grande istituzione finanziaria nella quale era riuscito a intrufolarsi per esporre una sua idea di business. Idea rifiutata in modo sgarbato solo perché lui non aveva un pedigree da membro riconosciuto dell’establishment finanziario americano.
Eppure, in quel settore Sprecher aveva individuato una nicchia che nelle sue mani si è rivelata la miniera d’oro che gli ha poi permesso di conquistare Wall Street. Se è vero che i computer fanno velocemente il lavoro di molti uomini, ha pensato il nuovo capo di Wall Street, perché non fare operare contemporaneamente le macchine in tutto il mondo occupandosi di materie prime, derivati e quant’altro si può vendere o comprare? Alla fine il suo piano fu ben visto da Morgan Stanley e JP Morgan Chase che lo finanziarono. Nel 2000 fondò la Ice, IntercontinentalExchange, sede ad Atlanta, profondo sud d’America, e da lì dimostrò velocemente di aver visto giusto. I computer, infatti, lavorano meglio degli uomini vestiti con sgargianti giacche per essere riconosciuti nel floor delle trattative. E, soprattutto, fanno guadagnare di più. La prova? Dopo due anni la Ice comprò la Borsa di Londra, dopo 13 quella di New York.
Adesso Sprecher vuole far ripartire la nobildonna un po’ invecchiata, un po’ malandata, forse troppo attaccata al lustro e alla leggenda dei primi operatori che, dopo aver costruito il palazzo nella parte più a sud di New York, festeggiavano con ostriche e whiskey di malto i migliori affari nel club interno chiamato The Oak, la quercia, per ricordare l’albero sotto il quale mosse i primi passi il mercato dei titoli e delle società negli Stati Uniti. Il piano di Sprecher, che ha scelto come braccio operativo Thomas Farley, 38 anni, carriera quasi tutta dentro l’ICE e una fama di stella del baseball al college, si articola in cinque punti. Tra questi c’è quello relativo alla modernizzazione dell’edificio di Wall Street, un giochetto da 80 milioni di dollari, che alla fine vedrà rinnovato e dedicato alla tecnologia il Garage delle contrattazioni, mentre una parte del palazzo verrà aperto agli uffici delle società quotate a Wall Street o a quelle interessate a quotarsi.
Sprecher e il suo fidato amministratore delegato hanno individuato in Washington il luogo dove realizzare un altro momento chiave del loro piano. A deputati e senatori del Congresso, i due, insieme a un nutrito gruppo di avvocati, dedicano ormai molto tempo. Vogliono capire come riuscire a convincere i legislatori della bontà di una serie di norme che ben si sposano con i piani del nuovo comandante del New York Stock Exchange. Sprecher è stato giudicato molto abile nell’utilizzare le legislazioni correnti a suo favore. Oggi, per esempio, la legge Franklyn-Dodd, fortemente voluta dal presidente Barack Obama dopo la crisi del 2008, vieta alle banche di utilizzare i risparmi dei clienti per operazioni di Borsa. Una limitazione che rende di fatto poco remunerativo per queste ultime mantenere in piedi costose strutture per il trading di azioni. Quindi, lo scenario più probabile è che il nuovo Garage vedrà la presenza minoritaria delle banche nelle contrattazioni e l’aumento del volume dell’operatore principale. Nelle scorse settimane, ad anticipare una tendenza del futuro prossimo venturo, la Goldman Sachs ha venduto il suo avamposto nel Garage di Wall Street a una società di trading specializzata nelle contrattazioni definite “high frequency”, ovvero un numero spropositato di compravendite di un singolo titolo al secondo (sono quelle che hanno già causato seri problemi all’andamento del listino, come il 10,9 per cento perso in pochi minuti durante una seduta dell’ottobre 2008).
Altro obiettivo sul quale Sprecher si è mosso è quello di far fruttare al meglio il gruppo di società del Vecchio Continente. Già nei primi mesi della nuova gestione è stata avviata la riorganizzazione delle società europee di trading. Il Liffe, il mercato delle merci e dei derivati finanziari con sede a Londra, è stato scorporato da Euronext e integrato direttamente nella società capogruppo Ice. Allo stesso tempo Euronext è stata quotata alle Borse di Parigi, Amsterdam e Bruxelles attraverso una offerta pubblica di vendita, che ha riguardato oltre il 60 per cento delle azioni della società. L’operazione ha fruttato al Nyse Group un incasso di 845 milioni di dollari.
La ristrutturazione ha portato inevitabilmente alla riduzione del numero di addetti. In percentuale, la parte più colpita è stata quella dei dirigenti di più alto livello, a cominciare dall’amministratore delegato di Nyse Euronext, Duncan Niederauer. Dei 22 dirigenti, ne sono rimasti nel palazzo di Wall Street solo tre. Alla fine di questa operazione la forza lavoro di 4 mila persone, tra impiegati fissi e contrattisti, si ridurrà a non più di 2 mila, con un taglio importante dei costi. Le sforbiciate sono accompagnate da una attività frenetica di ricerca di nuovi clienti. Sprecher vuole recuperare società interessate ad affidarsi al Nyse per il loro futuro sul mercato. E un primo colpo lo ha messo a segno convincendo il gigante cinese dell’e-commerce Alibaba a quotarsi sul New York Stock Exchange e non sul Nasdaq. Sarà un’operazione da oltre 20 miliardi di dollari: il debutto, dopo molti rinvii, è stato fissato per il 18 settembre. Quel giorno segnerà di sicuro l’inizio di una nuova era per il Nyse, il tempio del capitalismo che guarda più all’Oriente e alla Cina che non all’America.