Marco Imarisio, Corriere della Sera 12/9/2014, 12 settembre 2014
BALZANI, IL ROTTAMATORE CONTRO LA «SCELTA» DEL LEADER
DAL NOSTRO INVIATO BOLOGNA — L’unico avversario del candidato di Matteo Renzi è un renziano vero. Anzi, «puro e involontario». Gli ultimi due aggettivi sono tra virgolette in quanto forniti dal diretto interessato, Roberto Balzani, l’ex sindaco di Forlì che solo con la sua presenza riesce ad essere al tempo stesso paradosso e variabile impazzita di questo surreale pastrocchio emiliano.
«Mi sento piuttosto una variabile coerente con l’impianto e lo spirito originale delle primarie. Io le ho interpretate per quel che dovrebbero essere, il posto dove si discute della trasformazione della Regione. Che ingenuo. Gli eventi recenti dimostrano invece che al Pd locale non interessa il dibattito, ma solo la creazione di una filiera ereditaria che garantisca la manutenzione di un modello originale di potere sempre più in affanno».
Nel dicembre 2008, convertito sulla via delle primarie fiorentine appena vinte a sorpresa da tale Matteo Renzi, uno stimato professore universitario decide di riproporre lo schema nella sua Forlì contro il sindaco uscente Nadia Masini, cara a Vasco Errani, a torto o ragione considerata esponente dell’apparato. Bingo, anche in Romagna. Balzani vince le primarie, pochi mesi dopo diventa sindaco, viene subito citato come adepto del nascente culto renziano, all’epoca ancora allo stato catacombale. «Non fu una adesione di corrente e neppure di opportunismo. In questo sta l’involontarietà della mia scelta personale. Matteo rappresenta il compimento di un percorso ispirato a una idea di politica che condividevo da sempre».
L’ortodossia renziana diventa eresia se messa alla prova di un modello di governo regionale che certo non disdegna il consociativismo. E così l’idealista Balzani, diventato all’improvviso una minaccia alla continuità della specie locale, si troverà a fronteggiare un avversario come Stefano Bonaccini che sotto un renzismo di convenienza rappresenta in ogni sua molecola la continuità della premiata ditta di derivazione bersaniana, con l’imprimatur del segretario nazionale del partito, che per altro si chiama Matteo Renzi.
«Non gliene faccio una colpa. Credo che abbia priorità diverse, queste primarie non sono esattamente in cima ai suoi pensieri, come è giusto che sia. I temi regionali sono per forza subordinati alla stabilità necessaria per l’azione del suo governo. La ricerca della pace sociale all’interno del suo partito lo obbliga quasi ad accettare una visione semplificata di questa regione che prescinde dal consenso reale e dalle trasformazioni in corso, affidata a coloro che l’hanno rappresentata in questi anni».
Nel 2013 annunciò la decisione di non ricandidarsi a sindaco con una lettera pubblica nella quale denunciava l’impossibilità di scalfire «lo stesso potere e le stesse élites al governo da troppo tempo». Non era il modo migliore per ingraziarsi i favori di quel pezzo di partito, e di società, che si identificano in Vasco Errani. «Il problema non è la discontinuità delle persone ma del progetto. L’attuale modello emiliano-romagnolo è fondato su fondamenta ormai crollate come gli alti tassi di crescita e il welfare generoso. Non funziona più».
I veleni reciproci e la lungimiranza degli ex consiglieri regionali Bonaccini e Matteo Richetti, unici esseri umani nell’universo a ignorare esistenza e conseguenze della consueta inchiesta sulla Regione, lo hanno all’improvviso trasformato nell’unica alternativa a disposizione dei democratici perplessi. «La gestione di questa vicenda mi ha molto stupito. Sono stati dei dilettanti. L’argomento era sul tavolo da settimane. Pensavo che i tanto celebrati professionisti della politica fossero in grado di mettere in conto una eventuale indagine e sapessero reagire in modo adeguato. Invece hanno scelto la strategia dello struzzo».
Come forse si è già capito, Balzani non è un fine diplomatico. La sua candidatura alle primarie aveva valore quasi testimoniale, una onorevole sconfitta come orizzonte più luminoso. Adesso sorti sicuramente migliori, anche se magari non magnifiche e progressive, attendono questo professore di formazione «laica, liberale, novecentesca», allievo di Giovanni Spadolini, che a quanto pare comincia a essere guardato con una certa curiosità anche da Roma. Il paradosso definitivo è racchiuso nell’appello finale. «Mi auguro una partecipazione trasversale alle primarie. Se riesco a portare al voto il popolo di Matteo Renzi magari mi riesce il miracolo di battere il “suo” candidato».