Fabio Martini, La Stampa 11/9/2014, 11 settembre 2014
VIOLANTE IN BILICO LA “SUA” MAGGIORANZA GLI VOLTA LE SPALLE
Eccoli finalmente i nomi tanto attesi. Da mesi stavano trattando dietro le quinte, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi e alle ore 15 del 10 settembre è alfine giunto l’annuncio del “parto”. Nell’auletta dei Gruppi parlamentari - dove Aldo Moro pronunciò il suo ultimo discorso - il presidente dei senatori Pd Zanda annuncia ai 395 parlamentari democratici i candidati per la Corte Costituzionale, da votare in aula: «Sono Luciano Violante e Antonio Catricalà». Chiede la parola il senatore Franco Monaco, già collaboratore del cardinale Martini: «Potremmo dire: dalla rottamazione al riciclo...». Monaco non è un battutista e la sua puntura coglie un punto: i due prescelti sono uomini che hanno decisamente segnato il ventennio che Matteo Renzi dice di voler superare. Una battuta destinata a diventare profetica, visto che in serata la candidatura di Luciano Violante veniva sonoramente bocciata da parte della sua maggioranza, quella di governo.
E d’altra parte Antonio Catricalà, calabrese, 62 anni, già presidente di due Autorità, vicino a Forza Italia, da un quindicennio rappresenta il punto di riferimento indiscusso per quell’altissima burocrazia romana indicata da Renzi come il nemico assoluto. E quanto a Luciano Violante - 72 anni, già presidente della Camera, battitore libero nel Pd - è figura carismatica, anche perché per un quindicennio è stato identificato - a ragione o a torto - come la figura simbolica del rapporto tra la sinistra e le Procure.
Otto ore più tardi essere stato divulgato, il patto Renzi-Berlusconi sui 2 giudici della Consulta ha avuto una esplicita bocciatura, al termine di una votazione che doveva misurare una sola cosa: il gradimento di Violante dentro la maggioranza di governo. Poco prima del voto, infatti, Forza Italia aveva dato indicazione di votare bianco, rinunciando ad esprimere la preferenza per Catricalà, in modo da misurare il gradimento del candidato della sinistra all’interno del suo schieramento. La maggioranza di governo (Pd, Nuovo centro destra e spezzoni centristi) contava sulla carta su circa 545 voti, non sufficienti per raggiungere il quorum dei tre quinti necessari. Ma proprio la differenza tra i 545 potenziali e i voti effettivi presi da Violante (429) ha consentito di misurare la debolezza della candidatura. Lo scarto di circa 115 voti tra voti potenziali e voti ottenuti rende problematica, se non impossibile la riproposizione della candidatura Violante.
E Matteo Renzi? Ha giocato questa partita con un pragmatismo che ha preso in contropiede anche i suoi interlocutori forzisti. Fino a due giorni fa aveva lasciato intendere che avrebbe preferito Augusto Barbera, costituzionalista autorevole e mai fazioso. Forza Italia era pronta a convergere, ma due sere fa Renzi ha ricambiato cavallo, tornando su Violante. E dopo la bocciatura che farà? «Lo mollerà», confidava ieri sera il forzista Donato Bruno.
Fabio Martini, La Stampa 11/9/2014