Marianna Aprile, Oggi 10/9/2014, 10 settembre 2014
SONO FINITO IN TV CON L’OK DI MIA MOGLIE
[Intervista a Massimo Giannini] –
Roma, settembre
All’inizio di luglio, partendo per il Brasile con la moglie Antonella, Massimo Giannini ha mandato a Giovanni Floris un sms di congratulazioni per il rinnovo del contratto con Ballarò. Tre giorni dopo, alle cascate di Iguazù, il direttore di Rai 3 Andrea Vianello lo ha chiamato: Floris era passato a La7 e, se accettava, Ballarò era suo. «Sono stato colto alla sprovvista, ho rimandato la decisione alla fine delle vacanze e mi hanno aspettato», dice Giannini.
E il 16 settembre inizia. Con chi ha preso la decisione finale?
«Con il mio direttore generale, cioè la persona più importante della mia vita, mia moglie, e con il nostro cda, i nostri figli; e con una ristretta cerchia di amici».
Tra i suoi amici c’è anche Floris, ora suo avversario.
«Ho un’idea impegnativa dell’amicizia. Con Giovanni è un anno che ci frequentiamo, con le mogli. È un’amicizia recente».
È o era?
«Per me non è cambiato nulla».
Vi sentite?
«Ci siamo scambiati sms. Quando ha saputo che avrei fatto Ballarò mi ha scritto “In bocca al lupo”. Abbiamo lo stesso fair play».
Si dice siate in guerra per i big: Renzi, Berlusconi…
«Il bacino che ci contendiamo è ristretto, in Italia la classe dirigente è asfittica e insoddisfacente. La differenza la faranno i contenuti non gli ospiti».
Aprirà ogni puntata con un editoriale. Fa le prove allo specchio?
«Sono timido, le prove mi sanno di recita. Vado meglio in diretta».
Di lei non si sa nulla.
«Non frequento salotti, neanche culturali. Non mi vedrete nel Cafonal di Dagospia».
Ha sempre voluto fare il giornalista?
«Sognavo di fare il medico. Poi scoprii che avrei dovuto studiare 15 anni senza praticare e optai per Giurisprudenza. Gli amici mi chiamano “il dottore”, perché quando qualcuno sta male studio, cerco di capire. Mi danno dell’ipocondriaco, ma sono solo vigile sui segnali che trasmette il corpo».
Com’è diventato vicedirettore di Repubblica?
«Appena diplomato, nel 1979, scrissi a Eugenio Scalfari chiedendogli una chance. Mi fece rispondere dal segretario di redazione che in quel momento non cercavano nessuno. Quella lettera ce l’ho ancora. Quando nove anni dopo feci il colloquio con Scalfari per l’assunzione la portai con me».
Per Ballarò però si è licenziato dopo 28 anni. È vero che con la Rai ha un contratto di due anni da 900 mila euro?
«La policy del giornale non prevede l’aspettativa per la tv, e per me Ballarò era una scelta di vita incompatibile con la ricerca di paracaduti. Con la Rai ho un contratto di due anni, ma la cifra può confermarla o smentirla solo l’azienda».
Suo figlio Valerio studia Economia, sua figlia Flavia è al liceo classico. Studieranno in Italia?
«Gli ho consigliato di terminare gli studi all’estero perché, per parafrasare un celebre libro, l’Italia non è un Paese per giovani».
Su Libero Filippo Facci la prende in giro perché cita libri.
«Sono un lettore onnivoro, soprattutto letteratura americana, da Cormack Mc Carthy, Philip Roth, Don De Lillo. Tra gli italiani, mi piacciono Andrea De Carlo e Gianni Celati, che è un po’ di nicchia».
La nicchia. Lo sa che passa per uno snob?
«Mi presento come uno serioso, algido, ma in privato sono simpatico, un ottimo imitatore. Di Giulio Tremonti e Matteo Renzi».
Quindi a Ballarò prenderà anche il posto di Maurizio Crozza?
«Abbiamo trovato di meglio».
Qual è la cosa più nazionalpopolare che ha fatto?
«Sono un romanista sfegatato, da stadio, più di Floris. Sono stato calciatore professionista, un numero 10. A 14 anni ero nei pulcini della Roma, a 17 ho detto di no al Milan e a 18 mi sono fracassato un ginocchio e la mia carriera è finita. Fino a due anni fa ho continuato a giocare».
Il suo punto debole?
«Timidezza, eccesso di fair play: qualche volta sarebbe più utile una scazzottata (metaforica). Mi fido della bontà delle persone e ogni volta mia moglie mi richiama alla realtà. Dovrei essere un po’ più cinico».
Perché dovremmo guardare Ballarò?
«Perché faremo giornalismo vero, da apoti».
Da che?
«Secondo Giuseppe Prezzolini l’apota è uno che non se la beve, cerca conferme. Noi metteremo gli annunci dei politici alla prova dei fatti, senza fidarci».