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 2014  settembre 09 Martedì calendario

SCENDE IN CAMPO FORREST GUMP

«Stupido è chi lo stupido fa», disse Forrest Gump, or sono vent’anni, riassumendo tra un sano pragmatismo e un candore degno di Voltaire, una lunga, complessa riflessione sulla stupidità umana, quella contro cui, secondo Schiller, lottavano inutilmente persino gli dèi, quella che per Einstein era infinita come l’universo e che per Musil, nella sua semplicità, confinava con l’arte. Nel film di Robert Zemeckis, tratto da un romanzo di Winston Groom, Tom Hanks dette vita a un personaggio evidentemente atteso. Da qualche tempo non si manifestava, e la sua discesa in campo venne accolta con un generale entusiasmo. In Italia come altrove, ma soprattutto in Italia.
Ora il ’94 fu l’anno, si dirà, di ben altre discese in campo; questa non ha però nulla da invidiare a quella, parallela, di Silvio Berlusconi, che il 28 marzo debellò - non al Senato - la «gioiosa macchina da guerra» capitanata da Achille Occhetto. È stata, culturalmente, il segno di una svolta, dei tempi nuovi, di qualcosa che stava accadendo e aveva ancora bisogno di un nome. Le televisioni sfornavano da anni idioti di successo, la politica presa nel vortice di Tangentopoli stava agonizzando in un rumoroso balbettio, quella che un tempo era stata l’opinione pubblica si stava trasformando in «gente» (categoria nuovissima e imperscrutabile), l’economia non prometteva niente di buono, e insomma l’insegnamento trasmesso dalla madre a Forrest Gump («La vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita») sembrava una promessa epistemologica da non trascurare.
Il film era inoltre bello, divertente, appassionante; commuoveva e induceva ai buoni sentimenti. Che cosa chiedere di più? Walter Veltroni disse subito che Berlusconi era come Forrest Gump (aggiungendo che quello cinematografico era però un personaggio positivo), da destra risposero che semmai Veltroni era come Forrest Gump (perché alle elezioni voleva correre da solo). Ne nacque una categoria politica inossidabile, cara alla satira ma non solo: la definizione è toccata in tempi recenti anche all’attuale premier, Matteo Renzi, che però nel 2009, all’alba della rottamazione, la usava come metafora, per indicare «una parte del centrosinistra convinta di vivere sotto una campana, come Forrest Gump».
C’è un po’ di confusione. Colpa del personaggio, che non è ambiguo (come potrebbe?), ma ha due facce. O almeno, quando irrompe sulla scena, ha due motivi complementari per essere accolto come un trionfatore. Da un lato è l’idiota, nella tradizione dei grandi idioti dell’Occidente come il principe Myskin di Dostoevskij, «idiota» perché intimamente buono, Cristo reincarnato e quindi in qualche modo impossibile, segnato a dito, portatore di contrasti a causa della sua bontà. Però è anche stupido, nel senso delle capacità intellettive leggermente inferiori alla soglia della normalità, galleggia alla superficie delle cose, fa quel che gli si dice senza porsi domande, ritiene alla Candide di vivere nel migliore dei mondi possibili.
La mamma lo manda a scuola, e lui ci va. La dolce Jenny gli dice di correre, e lui corre senza fermarsi più. Viene spedito in Vietnam, e non ci trova niente di speciale. Scampa alla morte, salva vite umane, riceve un’importante decorazione. Gioca a ping pong perché glielo hanno suggerito e diventa una star internazionale, partecipando alla famosa partita tra americani e cinesi, voluta da Richard Nixon nel ’72, ma gli capita anche di dare l’allarme che scatenerà lo scandalo Watergate. Il catalogo è vasto: viene ricevuto dal presidente Kennedy e chiede di fare pipì, dal presidente Lyndon Johnson e gli mostra il sedere, non certo per polemica ma per malintesa obbedienza.
Attraversa la storia americana come un sonnambulo. Suggerisce inavvertitamente passi di danza a Elvis Presley e l’idea per Imagine a John Lennon; diventa ricco con una barca da gamberi acquistata «perché una promessa è una promessa» - in questo caso era una promessa fatta al miglior amico, morto tra le sue braccia in Vietnam - e con l’aiuto di Dio e di un tifone. Diventa miliardario perché investe in una buffa società con una mela nel marchio. La sua storia d’amore con Jenny finisce male (lei muore) ma anche bene (lui accetta la morte perché «fa parte della vita», e gli resta un figlio intelligentissimo). È un «idiota» fortunato: perché corre più di chiunque altro, e correndo salva sé stesso e gli altri. È questa la seconda faccia del personaggio: Forrest Gump corre, anche senza motivo apparente, solo perché gli vien bene di farlo. Così, per sopire le pene d’amore, corre avanti e indietro per tutta l’America, da costa a costa, seguito da sempre più nutriti drappelli di «gente» che vuole da lui un messaggio. Guru inconsapevole, chiude questa fase della vita dicendo semplicemente: «Sono un po’ stanchino».
Non è lo stupido definito nel pamphlet famoso di Carlo Maria Cipolla (Allegro ma non troppo, il Mulino), ovvero chi danneggia inconsapevolmente sé e gli altri: è un vuoto perfetto, che ognuno può riempire a piacimento. Robert Musil, nell’Austria d’inizio secolo, l’aveva come intravisto. Nel suo Saggio sulla stupidità, che era poi una breve conferenza, la collegava ai luoghi comuni, alle definizioni tautologiche (per esempio: «Religione? Quando si va in chiesa»), alla «sostituzione di idee elevate con semplici storielle», alla «importanza data narrando a particolari superflui, a circostanze accessorie e a orpelli», alla «condensazione abbreviante». Però, aggiungeva, «tutte queste sono pratiche arcaiche di poesia. Credo che il loro uso smodato, oggi di moda, avvicini il poeta all’idiota». Vale anche l’inverso: l’idiota si avvicina al poeta.
Forrest Gump dovette vedersela, nel ’94, con un altro grande film: Pulp Fiction di Quentin Tarantino, che fece impazzire gli intellettuali. Alla distanza, possiamo dire che non c’è stata gara. Là era questione di inconscio, qui di scelte e riconoscimenti deliberati. L’idea, in fondo semplice ed efficace, che una dolce idiozia ci rende graditissimi a genti e sergenti (nel caso, l’istruttore che, colpito dalla efficace obbedienza di Forrest Gump, gli preconizza un radioso futuro, prima della sua partenza per il Vietnam), non poteva, date le condizioni, non far breccia e diventare un’idea di massa.
Di lì in poi, vai con gli arruolamenti, genti e sergenti per tutti, ciascuno nell’armata più congeniale, o casuale, pronti a correre, a sorridere, a tenere gli occhi bene aperti (Forrest Gump non sbatte mai le palpebre quando gioca a ping pong, perché gli hanno detto che l’unico segreto è non perdere d’occhio la pallina) pur non vedendo quasi nulla. Intanto, esce in libreria il grande fenomeno editoriale del decennio: Va’ dove ti porta il cuore, di Susanna Tamaro. Un invito zen in armonia con lo spirito dei tempi? Esce anche, di Norberto Bobbio, Destra e sinistra. A dicembre, dopo l’avviso di reato notificato mentre presiedeva il G8 a Napoli e il conseguente «ribaltone» di Umberto Bossi (indimenticabile la versione Forrest Gump che dell’ex leader leghista ha dato Maurizio Crozza), Silvio Berlusconi si dimette da presidente del Consiglio. Qualcuno, precipitoso, ne celebra la fine.
Mario Baudino, La Stampa 9/9/2014