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 2014  settembre 09 Martedì calendario

L’EUROPA IMPAURITA PER I CONTRATTI SUL GAS L’OBIETTIVO ORA È COLPIRE SOLO SUL PETROLIO

Solo gli addetti ai lavori, probabilmente, conoscevano Sberbank e le altre banche statali raggiunte dalle sanzioni anti-Putin a fine luglio. Ma, adesso, ad essere tagliate fuori dai ricchi mercati della finanza occidentale sono le bandiere internazionali dell’economia russa, i grandi monopoli statali del petrolio che, in Occidente, sono di casa e hanno messo radici ramificate e profonde. Rosneft è la più grande azienda petrolifera al mondo quotata in Borsa, più grande anche della Exxon. La quotazione è alla Borsa di Mosca, ma le azioni Rosneft si trattano quotidianamente anche nella City di Londra. La creatura di Igor Sechin, uno dei più stretti sodali di Putin, negli ultimi anni si è sforzata, infatti, con successo, di inserirsi a fondo nell’economia occidentale, Italia compresa. Rosneft, ha una joint venture con la Saras dei Moratti, è nel consiglio di amministrazione della Pirelli. Negli Stati Uniti, ha appena comprato il 30 per cento di North Atlantic Drilling, un’azienda specializzata in perforazioni oceaniche. Soprattutto, il 20 per cento di Rosneft è nel portafogli di uno dei giganti storici del petrolio, l’inglese Bp. Le azioni di Gazpromneft, il braccio petrolifero del colosso del gas, circolano sui mercati sia americano che inglese. A Transneft fa capo l’imponente ragnatela di oleodotti che trasporta il petrolio dalla Russia e dall’Asia centrale in Europa. Siamo nel cuore della cerchia di oligarchi che ruota intorno al Cremlino, ma anche del motore dell’economia russa. Rosneft fattura 102 miliardi di dollari l’anno. Gazpromneft 33 miliardi. Transneft 24 miliardi. Questi 160 miliardi di dollari sono cruciali per le casse di Putin: il 40 per cento delle entrate dello Stato russo è costituito dalle imposte sulla vendita dei prodotti energetici.
Impedire che emettano azioni e obbligazioni sui mercati che contano, che ricevano finanziamenti per più di 30 giorni, come prevedono ora le sanzioni, significa togliere a questi giganti una dose cruciale di ossigeno, nel momento in cui già boccheggiano. Le misure sono un colpo durissimo soprattutto per quello che è, di gran lunga, il più importante dei tre bersagli prescelti. Rosneft ha debiti per 44 miliardi di dollari, 30 dei quali devono essere saldati entro fine anno, ma in cassa non ci sono. Alle strette, Sechin, nelle scorse settimane, aveva annunciato la vendita del 20 per cento del capitale, ma il tentativo di piazzarlo ai cinesi, nonostante i buoni uffici di Putin, finora non è andato in porto. Così, Sechin aveva finito per chiederne almeno 40 direttamente al Tesoro russo, inizialmente senza risultato. Adesso, da quello che ha fatto capire il premier Medvedev, un finanziamento d’emergenza sarà messo in piedi, perché Rosneft è troppo importante per le casse statali, ma darli a Sechin significa sottrarli al resto dell’economia, nel momento in cui la recessione è alle porte. In più, anche se trova 40 miliardi di dollari per chiudere il buco, Rosneft continua ad avere il problema di finanziare la sua attività quotidiana. Abitualmente, il gigante russo si procura liquidi vendendo anticipatamente il petrolio che produrrà. Tecnicamente, questo avviene attraverso un consorzio di banche che costituisce un’apposita so- cietà che raccoglie i fondi sul mercato e, poi, li presta a chi comprerà il petrolio, che così può versare la somma pattuita. Alla lettera, questa procedura non è colpita dalle sanzioni. Ma le banche occidentali non vogliono dare una cattiva impressione ai rispettivi governi. Così, Vitol, il più grande operatore indipendente nella compravendita di greggio, ha lasciato cadere un pre-pagamento di 2 miliardi di dollari a Rosneft, perché non riusciva a finanziarlo. La stessa cosa potrebbe ora accadere con altri grandi operatori, come Glencore. E i guai di Rosneft non finiscono qui. Ad agosto, la produzione di petrolio del gigante russo è scesa ai minimi degli ultimi anni. Il motivo di fondo è che i pozzi da cui estrae il greggio sono ormai vecchi e in declino. Per rilanciarsi, dovrebbe riuscire a portare in produzione i nuovi giacimenti del Nord, in particolare dell’Artico. Ma sono pozzi difficili, che richiedono tecnologie all’avanguardia. Quelle che le sanzioni dell’Occidente hanno già bloccato nei mesi scorsi.
Le difficoltà di Rosneft indicano che le sanzioni possono funzionare, ma anche che la mano di poker fra Putin e l’Occidente diventa sempre più veloce e i bluff sempre più aleatori. Il Cremlino deve riuscire ad allentare l’assedio alla sua economia, prima di trovarsi con le spalle al muro. Ma le opzioni sono limitate. Possibile, ma difficile che il ras del Cremlino ricorra all’arma “fine-di-mondo”, cioè all’embargo sul metano destinato all’Europa, senza il quale le casse di Mosca sprofonderebbero. Man mano che l’inverno si avvicina, però, i nervi dei governi europei cominciano a scricchiolare. In media, il gas russo illumina e riscalda il 30 per cento d’Europa. Ma per la fascia di paesi che confinano con la Russia, dalla Finlandia alla Bulgaria, la percentuale arriva al 100 per cento.
Maurizio Ricci, la Repubblica 9/9/2014