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 2014  settembre 09 Martedì calendario

COMPLETO BLU, CRAVATTA O FOULARD: IN CLASSE CON LA DIVISA DALLE UNIFORMI CON I LOGHI FINO AI GADGET COSÌ SI PROMUOVE L’ISTITUTO E SI GUADAGNA


Completo blu con camicia bianca, cravatta per lui, foulard per lei e per tutti spilla con il logo dell’istituto. I ragazzi dell’Istituto alberghiero Carlo Porta di Milano preparano l’uniforme. Venerdì le lezioni riprendono e per tutti gli studenti dell’alberghiero d’ora in avanti la divisa è d’obbligo. Futuri cuochi e pasticceri, sommelier, camerieri, barman: saranno, anche, millecinquecento testimonial della scuola (statale, liste d’attesa per entrare), si presenteranno così non solo in classe-aula-laboratorio ma in ristoranti e alberghi dove vanno in stage, con i colleghi di altre scuole e Paesi e fra qualche mese all’appuntamento di Expo.
«L’uniforme? Ormai è irrinunciabile. Ragioni professionali —. sintetizza il preside Antonio Malaspina —. Spiace soltanto dover chiedere alle famiglie di affrontare la spesa, intorno ai cento euro. Ma in consiglio d’istituto la delibera è passata: tutti d’accordo, la divisa è un’opportunità». Occasione per gli studenti e non soltanto, sostiene il preside: «Con l’uniforme di rappresentanza si lancia il brand dell’istituto. Lo fanno anche altri alberghieri, da Stresa a Bardolino».
Così le scuole si promuovono. Non soltanto le private, anche le statali, dalle materne ai licei. Se al Porta passa l’intera divisa in tante medie e superiori, da Milano a Caserta, il nome dell’istituto compare sul diario, sulla felpa, sulla tuta da ginnastica. Nulla di obbligatorio, spesso sono le associazioni di genitori a promuovere i gadget d’istituto, anche per raccogliere fondi. E il gradimento c’è.
Mentre per il grembiule alle elementari ciclicamente ci si riallinea su pro e contro — la divisa è democratica, azzera le differenze, rafforza il senso di appartenenza, oppure, è anacronistica, soltanto una moda, una spesa in più — la scelta dell’uniforme scolastica, in una scuola superiore, arriva per ragioni diverse. «Non vogliamo imitare né gli istituti privati né quelli internazionali che hanno la divisa da sempre — dice Malaspina —, ma abbiamo settecento ragazzi in stage in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Brasile, giusto che si presentino in tenuta di rappresentanza».
Questione (anche) di marchio allora. E strategia per fare squadra. In senso letterale: all’istituto tecnico Feltrinelli di Milano «gli studenti indossano t-shirt con il nostro simbolo in occasione delle gare sportive», racconta la preside Annamaria Indinimeo. Dall’altra parte della pianura Padana, a Pordenone, lo storico liceo Pujati adotterà dall’anno prossimo la «felpa d’istituto». Biancorossa, alle famiglie costerà venti euro. «Da indossare tutti i giorni in classe. E presto arriveranno anche magliette e tute. Lo fanno in tutto il mondo, per creare un senso di comunità», dicono genitori e professori.
Divise e loghi, più facile comunque vederli indossati da studenti di elementari e medie. Sempre a Pordenone, alla scuola Centro storico, l’uniforme — polo bianca e felpa blu — si porta dal 2009: «Per eliminare le differenze di ceto tra i ragazzi, tra chi veste griffato e chi no». Proprio questa tesi è stata contestata a Massa Carrara, all’istituto Giorgini, da un comitato di genitori anti-divisa: «È solo ipocrisia. Le differenze ci sono e la scuola non deve cancellarle, ma insegnare a rispettarle».
Confronto ancora aperto. Chi sperimenta e chi fa dietrofront. Ad Altopascio, in Toscana, l’istituto comprensivo ha deciso di abolire la divisa alle medie, mantenendola all’asilo e alle elementari. Resta in vigore, invece, per tutti gli studenti del comprensivo Leonardo da Vinci di Guidonia Montecelio, alle porte di Roma: maglietta bianca, pantaloni e felpa blu, tutto con il logo della scuola. Alla scuola pubblica come nei college inglesi. In blu e giallo gli alunni della materna e delle elementari alla Solari di Loreto, Ancona. E in divisa i bambini dell’istituto Portico di Caserta. Tute e felpe rigorosamente con logo d’istituto.