Jeffrey Sachs, Il Sole 24 Ore 8/9/2014, 8 settembre 2014
IL MEDIO ORIENTE SI REGOLI DA SÉ
Gli Usa e le altre potenze lascino che il Medio Oriente si governi da solo. In questo momento in cui a Washington ci si interroga sull’opportunità dell’ennesima azione militare in Iraq e di un intervento in Siria, è necessario riconoscere due verità. La prima è che gli interventi statunitensi, che sono costati al Paese migliaia di miliardi di dollari e migliaia di vite umane nell’ultimo decennio, hanno destabilizzato il Medio Oriente, infliggendo sofferenze. La seconda è che i Governi della regione hanno incentivi e mezzi per raggiungere accomodamenti reciproci: a impedirglielo è la convinzione che gli Usa o qualche altra potenza (come la Russia) riusciranno a conseguire per conto loro una vittoria decisiva.
Quando l’Impero Ottomano crollò, alla fine della Prima guerra mondiale, le potenze dell’epoca, Gran Bretagna e Francia, ritagliarono i confini degli Stati che ne avrebbero preso il posto in modo tale da garantirsi il controllo sul petrolio e la geopolitica del Medio Oriente. Quando l’America si affermò come potenza globale, trattò il Medio Oriente nello stesso modo, insediando, rovesciando, corrompendo o manipolando i Governi della regione. Per esempio, in Iran, neanche due anni dopo la nazionalizzazione (nel 1951) della Compagnia petrolifera anglo-iraniana da parte del primo ministro Mohammad Mossadegh e del Parlamento (democraticamente eletti), gli Usa e la Gran Bretagna usarono i loro servizi per rovesciare Mossadegh e insediare al suo posto l’incompetente, violento e autoritario scià Reza Pahlavi. Più che normale che la Rivoluzione islamica che spodestò lo scià nel ’79 avesse portato con sé un’ondata di antiamericanismo. Ma gli Stati Uniti, invece di cercare un riavvicinamento, sostennero Saddam Hussein nella guerra contro l’Iran. All’Iraq stesso non andò meglio. La Gran Bretagna dopo la Prima guerra mondiale si impegnò per creare uno Stato asservito ai suoi interessi, sostenendo il potere delle élite sunnite a danno della maggioranza sciita. Dopo la scoperta dei giacimenti petroliferi, negli anni 20, Londra ne assunse il controllo. Gli Usa sostennero il colpo di Stato del 1968 che portò al potere il Ba’ath (e Saddam Hussein). Quando però Saddam invase il Kuwait, nel 1990, gli Usa si rivoltarono contro di lui e non si sono più districati dal ginepraio politico del Paese mediorientale, con due guerre, sanzioni, il rovesciamento di Saddam nel 2003 e reiterati tentativi (l’ultimo questo mese) di insediare un Governo che Washington giudichi accettabile. Risultato una catastrofe. La Siria dopo la Prima guerra mondiale ha subìto decenni di dominio francese e in seguito ha alternato periodi positivi e negativi nei rapporti con Usa ed Europa. Nell’ultimo decennio, gli Usa e i loro alleati hanno cercato prima di indebolire e poi, dal 2011, di rovesciare il regime di Bashar al-Assad. I risultati sono stati devastanti. Assad rimane al potere, ma più di 190mila siriani sono morti e milioni sono fuggiti per effetto di un’insurrezione sostenuta dagli Stati Uniti e dai loro alleati (mentre Assad era sostenuto da Russia e Iran). Alcuni funzionari americani starebbero considerando un’alleanza con Assad per combattere gli estremisti dello Stato islamico, la cui ascesa è stata consentita dall’insurrezione sostenuta dagli Usa.
Dopo decenni di interventi cinici e spesso segreti da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e altre potenze esterne, le istituzioni politiche della regione sono fondate in gran parte su corruzione, politiche settarie e forza bruta. Eppure, ogni volta che esplode una nuova crisi in Medio Oriente (l’ultima è quella innescata dalla recente avanzata dello Stato islamico), gli Usa intervengono. Gli Stati Uniti non sono in grado di fermare la spirale di violenza in Medio Oriente. I danni fatti in Libia, a Gaza, in Siria e in Iraq impongono di trovare una soluzione politica all’interno della regione. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu dovrebbe offrire un contesto in cui le potenze più importanti si tirano indietro, revocano le sanzioni che azzoppano le economie e rispettano gli accordi politici raggiunti dai Governi e dalle fazioni della regione.
L’Iran, la Turchia, l’Egitto, la Siria, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e altri Paesi dell’area si conoscono abbastanza bene - grazie a oltre due millenni di commerci e guerre - da ricomporre da soli i pezzi del puzzle, senza interferenze. I Paesi del Medio Oriente hanno tutti interesse a privare gruppi ultraviolenti come lo Stato islamico di armi, soldi e attenzione mediatica. E hanno interesse a continuare a pompare petrolio nei mercati mondiali. Il Medio Oriente deve avere l’opportunità di governarsi da solo, protetto e supportato dalla Carta delle Nazioni Unite, non da singole potenze.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
Jeffrey Sachs, Il Sole 24 Ore 8/9/2014