Elio Pirari, il Fatto Quotidiano 8/9/2014, 8 settembre 2014
GIANCARLO FISICHELLA “DEVI SMETTERE NEL GIORNO IN CUI ARRIVA LA PAURA”
[Intervista] –
La sua corsa all’oro cominciò a due passi da Tivoli, la sua prima bandierina la piantò alla Pista D’Oro, un circuito per kart a pochi chilometri da casa dove smanettava un popolo unito da una folgorazione, il mito della velocità. Bimbi, padri, zii, nipoti, studenti, professionisti, coatti, borgatari, una tribù eterogenea, folle e ingegnosa, che la notte nei sottoscala, nelle cantine e nei retrobottega metteva insieme freni, bobine e pistoni elaborati al tornio, tutti pezzi di grande pregio artigianale, dando vita a piccoli bolidi che la mattina dopo quasi sempre andavano distrutti in pista. Forse per caso o forse in via precauzionale la Pista d’Oro sorgeva a due passi da una clinica per matti. Alla Pista d’Oro la prima volta lo portò il padre, meccanico di professione, ignorando i reiterati appelli della moglie che di avere un figlio pilota non ne voleva sapere. Giancarlo Fisichella, “Fisico” per gli amici del Tiburtino, quel giorno aveva appena compiuto otto anni, la sua carriera cominciò così.
Fisichella, da quel kart lei non è più sceso.
Quel giorno alla Pista d’Oro nacque un vero amore, è difficile spiegare cosa sia la velocità, per me è stato tutto.
Come si diventa Fisichella, o Senna, o Prost?
Cercando il silenzio intorno e registrando solo il rumore del motore, correre è fantastico ma difficile e impegnativo, provare questo sport ha senso solo se hai una convinzione granitica.
Lei ha cominciato a otto anni.
Dai kart, come tutti. Il kart è una scuola fondamentale, sul kart senti tutto, la strada, il motore, il telaio, l’odore delle gomme.
Il massimo dell’empatia con un pezzo di ferro.
Chiusa quella parentesi ho seguito un percorso comune a tutti, almeno a quei tempi. Campionati regionali del Lazio, campionati nazionali, a 15 anni, prima di arrivare in Formula Tremila una casa costruttrice di telai mi prese come pilota ufficiale. Allora smisi di giocare e cominciai a immaginare il futuro.
La Formula 1.
Naturalmente, la F1, abbandonai gli studi e mi dedicai anima e corpo alla professione.
Bisogna fare molte rinunce per arrivare in F1?
Bisogna scegliere, se vuoi fare il pilota devi sapere che la tua vita cambierà, devi scordarti le serate con gli amici, le discoteche, le partite della Roma. Lauda era uno che dormiva dentro al box, con la macchina aveva un rapporto quasi carnale, ma senza esasperare troppo il concetto non puoi pensare di avere una vita normale.
La preparazione fisica quanto conta?
È fondamentale. Noi corriamo molto, facciamo palestra, pesi, curiamo la resistenza e controlliamo la massa grassa, il cuore di un pilota di F1 deve essere un cronometro.
In gara il cuore gira a mille.
Un Gp di F1 dura un’ora e mezza, in quell’ora e mezza con picchi diversi i battiti si attestano intorno ai 170 al minuto, ma ci sono gare di durata, una è Le Mans, che ti costringono nell’abitacolo un giorno intero.
La concentrazione deve essere continua e assoluta, come fate?
Non ci sono regole generali, ognuno di noi ha un suo metodo, al mio fianco io ho avuto un preparatore che mi seguiva 24 ore al giorno.
Una guida spirituale.
Più o meno, ho fatto yoga, training autogeno, bisogna correre in leggerezza, non ti devono attraversare pensieri di nessun genere, problemi familiari eccetera.
Quali raccomandazioni farebbe a un ragazzo che vuole avvicinarsi ai motori?
Di credere in se stesso, ma più che altro di essere se stesso, di non montarsi la testa alla prima gara vinta sul kart, questo sport pretende applicazione, lavoro e molta serietà.
Cosa vi spinge ad andare a 300 all’ora?
Su una macchina di F1 puoi scegliere di salirci oppure no, quando sali comincia la tua lotta contro il tempo, la velocità è la conseguenza di questa sfida. Il nostro lavoro è vincere, non esiste altro.
C’è stato un momento in cui ha provato paura?
La paura in gara è diversa dalla nostra idea di paura, in pista temi di sbagliare frenata, traiettoria, hai paura di perdere, mai quella a cui ti riferisci tu. Il giorno che la provi vuol dire che è arrivato il momento di andare a piedi.
Per guidare in F1 ci vogliono molti soldi?
Quando cominciai io no, mio padre ha un’officina meccanica, i miei se la passano benone ma non sono mai stati ricchi. Ma ora non bastano più neanche i soldi. Ci vogliono sponsor importanti e manager capaci. Oppure un grande team alle spalle. Con i Trade Accademy la Ferrari ha avviato un progetto molto interessante.
Quanto conta avere un manager alle spalle?
Molto, io mi ritengo fortunato, la mia carriera è stata programmata da due professionisti formidabili.
Briatore, poi?
A no, con Briatore allora sono tre, lui, prima di lui ci sono stati Giampaolo Matteucci ed Enrico Zanarini.
Qual è il circuito più bello?
Spa, senza dubbio, credo di poterlo dire a nome di tutti.
Monza?
Monza ha fatto la storia di questo sport.
Perché lei non ha la residenza a Montecarlo?
Perché amo Roma, la Roma, e perché con un certo orgoglio posso dire a tutti di essere uno dei migliori contribuenti italiani.
Ha qualche idea politica?
No.
Non vota?
Voto ma per chi non te lo dico.
Quali sono stati i suoi miti giovanili?
A inizio carriera Lauda, poi mi ha ipnotizzato Senna, un mostro, Ayrton è il migliore che mi sia capitato di vedere.
Due opposti, un ragionatore e un poeta.
Oggi dico che Lauda non è stato un fuoriclasse, era uno che si applicava con metodo e intelligenza, e conosceva la macchina come nessun altro.
Schumacher è stato la versione aggiornata di Lauda?
In un certo senso, ma Michael era più bravo, andava forte sul giro e in gara. È stato un esempio per tutti noi.
Chi è più forte, Hamilton o Rosberg?
Rosberg è migliorato molto ma è ancora troppo irruento, per ora preferisco Hamilton.
Alonso
È un grande campione, Fernando è un martello, spinge dall’inizio alla fine e non sbaglia quasi mai.
I duelli tra Rosberg e Hamilton non ricordano molto quelli tra Senna e Prost, sintetizzando questa F1 non è un po’ una palla?
Gli ultimi Gp sono stati divertenti.
Ma tutti questi regolamenti, pit-stop, mesco-le, ordini di scuderia, non avviliscono tutto?
Può darsi, ma sono uguali per tutti, la F1 del resto è innovazione.
In carriera lei ha vinto tre Gp e due campionati costruttori, qual è stato il giorno più bello?
Poteva e doveva essere il Gp del Brasile ma quel giorno un errore dei giudici di gara mi impedì di salire sul podio, la vittoria mi venne riconosciuta una settimana dopo.
Qual è il suo ruolo in Ferrari?
Sono un collaudatore anche se con i nuovi regolamenti il ruolo ha perso di fascino. Ora si collauda al simulatore, io non mi ci avvicino perché mi viene la nausea, sembra di giocare alla play station. Faccio esibizioni, room show, e dal 2010 corro in endurance con la Ferrari 458 gt2.
Elio Pirari, il Fatto Quotidiano 8/9/2014