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 2014  settembre 07 Domenica calendario

1965 – Ogni domenica Continua la pubblicazione dei diari custoditi nell’archivio di Pieve Santo Stefano (Arezzo)

1965 – Ogni domenica Continua la pubblicazione dei diari custoditi nell’archivio di Pieve Santo Stefano (Arezzo). Circa 7.000 volumi in cui si racconta la storia del nostro Paese 1965 11 milioni Gli italiani che nel 1965 si recano in vacanza. Nel 1959 erano 5.632.000. Le presenze nei campeggi aumentano del 400% 500 metri La lunghezza dei treni in partenza per il grande esodo estivo, composti talvolta da 21-22 carrozze 20.182 I chilometri di rete ferroviaria in Italia nel 1965, mentre quelli di rete stradale sfiorano i 200 mila 5.468.981 Sono le autovetture che hanno pagato la tassa di circolazione nel 1965 37.126 È il numero degli esercizi alberghieri che risultano aperti nel 1965 “FINO A TOKYO IN MOTO” L’ITALIA IN FERIE E LIBERTÀ – SONO trascorsi vent’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale. Nel 1965 l’Italia si lascia trascinare dall’entusiasmo che accompagna il boom economico. Le generazioni che hanno vissuto il dramma del conflitto e la caduta del fascismo hanno metabolizzato o rimosso i ricordi più neri, mentre cominciano a diventare adulti uomini e donne nati dopo la fine delle ostilità. Anche nel ceto medio e basso si innesca un cambio di mentalità, di interessi, di abitudini. Il tempo libero, insieme a margini più o meno consistenti di ricchezza, fanno scoprire agli italiani piaceri tanto effimeri quanto intensi quali le vacanze, la villeggiatura, i viaggi. Ci sono ragazzi, come il veronese Lorenzo Reggiani, che trovano il massimo del piacere nell’estate e nella vita di mare. Ce ne sono altri che si slanciano oltre ogni immaginazione negli spazi di libertà: Cino Ghigi decide addirittura di raggiungere Tokyo con la sua Lambretta. Vuole attraversare il mondo in moto, ma non inizia a farlo finché non passa un brutto temporale. Contraddizioni interiori sono quelle che vive la bolognese Enrichetta Lorenzini, quando giunge in Germania per una tappa che la attrae e la turba. A Düsseldorf è ospite con il marito e i figli di una famiglia conosciuta a Cesenatico. Sono stati i bambini che hanno socializzato e spinto i genitori a cercarsi. L’accoglienza è delle migliori ma la Germania, o meglio l’idea di Germania che Enrichetta coltiva ancora dentro di sé, crea disagio. Nicola Maranesi, il Fatto Quotidiano 7/9/2014 “DESTINAZIONE GIAPPONE, MA LA PRIMA TAPPA LA FACCIO A BOLOGNA” – CINO GHIGI nato a CorIano (FC) nel 1908 Un esploratore intraprende un lungo viaggio in Lambretta con l’intenzione di fare il giro del mondo. In prossimità del traguardo dovrà rinunciare all’avventurosa impresa, causa la misteriosa scomparsa della sua moto, e fare un mesto ritorno in aereo. È tutto il giorno che piove; alle 23 piove tanto che è impensabile dare il via domattina all’alba al mio “raid” in Lambretta che mi dovrebbe portare in Giappone. L’unica mia compagna di viaggio, una 175 c.c. TV III serie, nuova di zecca, è in attesa da giorni nell’ingresso di casa, pronta a scattare e a tramutare gli attuali 95 km segnati dall’apposito strumento, nei 30 o 40 mila che mi auguro saranno al ritorno. La sua elegante sagoma bianca e rossa l’ho alquanto appesantita, per avere adattato al telaio due sostegni di ferro sui quali delle robuste cinghie tengono ben saldi un paio di sacchi da montagna e una valigia di cencio, gli stessi che hanno partecipato ad altre mie imprese del genere. Parto con 1.300 dollari in tasca, frutto di notevoli sacrifici per raggranellarli. Oltre agli indispensabili oggetti d’uso personale, mi strascico dietro, è la parola, una macchina da scrivere Olivetti “lettera 22”, due rolleiflex (una destinata alle pellicole a colori, l’altra al bianco e nero), oltre a una Minox, arnesi del mio “mestiere” di giornalista quando vado in giro per il mondo; ed ancora, un’altra rolleiflex, nuovissima, che convertirò in zaffiri e Ratnapura (Ceylon) con i relativi accessori; ed infine alcuni strumenti per lo studio delle gemme, quali un microscopio, un rifrattometro, un polariscopio e molto materiale fotografico, ogni cosa ciacciata nei sacchi divenuti gonfi come palloni. “Quando ritornerai?”, è la domanda angosciosa di Giulia e quella inquieta di Guido. […] A me sembra di avere mille ragioni per partire; ma arrivato sul punto, esse si dissolvono d’incanto, eccetto quella su cui è costruito il mio essere, di evadere, cioè, ad ogni costo anche se sa di avventura; e mi duole di dovergli obbedire a prezzo di innegabili rinunce imposte a persone care. Mi sveglio di soprassalto alle tre e mezzo, non so perché. Piove come Dio la manda. Mi riaddormento. Piove tutta la mattina e, salvo qualche intervallo, fino al primo pomeriggio. Poi scappa fuori un po’ di sole: ne approfitto per fare alcune foto a Giulia, a Guido, ai Liverani tutti intorno a me; e scappo anch’io col pianto alla gola. Chissà chi mi ha dato la forza di staccarmi da loro. Imbocco l’autostrada per Bologna esattamente alle 15 e 25; ma il sorriso dell’astro dura poco, e al Pian del Voglio trovo acqua e nebbia. Lunga sosta, qui, di uno nell’attesa paziente che spiova sotto la grondaia di un tetto, e della sua moto coperta da un telo impermeabile incredibilmente scarlatto, che nessuno passando daccanto immaginerebbe fossero diretti al Giappone. Eppure è così. Cessa lo scroscio un istante; riprendo subito la corse come se dovessi arrivare a destinazione di lì a poco; però non spingo a fondo; sull’ansia del momento acuita dall’intoppo atmosferico, agisce il senso del pericolo rappresentato dall’asfalto bagnato, e l’avvertire la scarsa scioltezza del motore in rodaggio che impone dei limiti. Oltrepassata di poco Bologna, mi fermo al paesino di Osteriole per il primo pernottamento; 122 km percorsi, non sono molti, ma l’iniziale colpo di piccone, come si dice, l’ho dato. Parto col sole, finalmente, e per tutto il giorno non avrò noie con l’acqua. Dalla strada panoramica rivedo la cara Trieste coronata di monti, tutta alberi e case, e il suo bel mare leggermente increspato. Ormai non mi resta che far un’ultima ma necessaria spesa in terra italiana: quella per dare un estremo saluto ai miei; mi libererà anche di una inutile zavorra di spiccioli. Il telefono casalingo tace; forse il vuoto che ho lasciato li ha fatti fuggire. Ritento: questa volta scovo tutti dai Liverani, come mi aspettavo. Gli addii fra le lacrime uscenti dal fio, con voci più vive e più palpitanti che mai, sono fitte dolorose dentro il mio petto. Al posto di frontiera di Fernetti lascio commosso l’Italia: il turbamento è solo interiore, perché se dicessi che intendo raggiungere Tokyo col mio fragile veicolo, tutti si metterebbero a ridere. Con gli jugoslavi di Sesana il distacco è proprio vero ed ormai finisce ciò che mi è familiare: volti, favella, indumenti, paesaggio. Tuttavia questo della Slovenia mi si presenta ancora verde nell’attuale scorcio d’estate; lo squallore delle sue borgate lo incontrerò più oltre. Una camera a Lubiana, non mi sarebbe stato facile trovarla senza rivolgermi al Kompass Tourist Office. L’avrei presa lo stesso per 750 dinari (circa 800 lire), affranto dalla stanchezza com’ero, anche se la proprietaria fosse stata meno piacente. L’ho vista andare di corsa alla polizia a portare il mio passaporto, mentre ero sceso a scaricare i bagagli. Gente seria e ligia agli ordini nei Paesi comunisti. Spero vivamente che Turchia e Iran, che raggiungerò tra poco, si siano allineate con la Jugoslavia per il miglioramento delle loro pessime strade, purtroppo già sperimentate. Intanto assaporo con gioia questa perfetta strada, la quale, anche se a una sola corsia, si manterrà nell’“optimum” fintantoché è transitata da pochi veicoli; quelli incontrati erano nel tipo prevalente di autocarri stracarichi di barbabietole. il Fatto Quotidiano 7/9/2014 “DICONO SIA L’ESTATE PIÙ BELLA DELLA MIA VITA, MA NON ME NE RENDO CONTO” – LORENZO REGGIANI nato a Verona nel 1946 L’atmosfera degli anni Sessanta, dai Beatles al twist alla contestazione, nelle lettere, spesso non spedite, che un ragazzo neodiplomato invia agli amici più cari. Gli anni Sessanta sono ricordati in queste lettere senza teorizzazioni, ma con la ricostruzione dell’atmosfera, del sapore, del sogno di quel decennio. Caro Roberto, sto passando l’estate più bella della mia vita. Ma ti dico la verità, non mi sembra proprio. E sì che da qualche mese non facevano altro che ripetermelo: vedrete che dopo gli esami di maturità passerete le vacanze più belle di tutta la vostra vita. Forse la colpa è della fisica, cosa dici? Deve essere così, perché a quanto posso sapere, gli altri che sono rimandati a ottobre si divertono. Beati loro. A pensarci bene anche se non ci fosse stata quella stramaledetta fisica che cosa avrei combinato di diverso? Il viaggio in Grecia o a Parigi con Maurizio non c’era neanche da sognarselo. Fin dall’inizio dovevo dirglielo subito al Mau. Figurati se mio padre mi lascia: in auto con i soldi che pur risparmiando si devono spendere durante il viaggio, ma siamo matti! Peccato. A parte il possibile mal d’auto sarebbe stato tutto sommato un pezzetto d’estate decente. Così invece normalissima amministrazione, anzi, l’anno scorso mi sono divertito di più. Il guaio è che l’anno scorso avevamo fatto troppi discorsi e progetti irrealizzabili. Ti ricordi di quando parlavamo di una vacanza passata insieme, lontano dai genitori in un indeterminato ma bellissimo posto? E ragionavamo su fantastici particolari, su spensieratissimi giorni, su un’estate grande sul serio. […] Caro Mau, ogniqualvolta vado in montagna apprezzo sempre di più il mare. Adesso che sono qui ho una voglia struggente di mare. Ho voglia di quel caldo simpatico sopportabile mentre qui ho le mani gelide, le ossa piene di freddo. Ho tanta voglia della sabbia fine bollente a mezzogiorno che ti scotta i piedi che ti entra dappertutto nella bocca negli orecchi nel naso negli occhi procurandoti un bruciore da cani. Ho voglia di quella inimitabile distesa di acqua salata in cui mi immergo sentendo il freddo che mi sale per il corpo facendomi fremere, ma poi mi abituo e ci sto bene dentro, come nel mio elemento. Quasi fossi nato per nuotare (male, ma nuotare), restare a galla, sentire sotto i piedi l’acqua. E poi annaspare fino al trampolino, fare gli ultimi metri che sembrano non avere fine, salire a fatica la scaletta e sdraiarsi col fiatone guardando la spiaggia molto lontana, cioè abbastanza lontana per sentirsi dei piccoli campioni. Già, non è di tutti la “traversata”. Ho voglia della spiaggia affollatissima, stipata di ombrelloni sotto i quali grappoli di persone bianchicce si contendono un brandello di ombra; gli altri, i neri, abbronzati, prendono il sole e non si accontentano di poco, ne prendono un mucchio, imperterriti, sotto dei raggi che incendiano la pelle. È davanti al mare azzurro e calmo come l’olio, a tutta quella gente in slip in canottiera in calzoncini in prendisole in bikini; davanti a tutte quelle pance obese che gridano vendetta ai costumi troppo piccoli e che penzolano flaccide con mille pieghe; a tutti quei seni enormi, rotondi, costretti a fatica dalle spalline e sempre pronti a ribellarsi, a venir fuori straripanti, davanti a tutte quelle schiene spelacchiate abbronzate ossute, a quei toraci villosi o perfettissimi, a quelle gambe snelle tozze varicose sghembe, a quei bambini paffutelli tutti nudi che sgambettano da un ombrellone all’altro; davanti al venditore di gelati che impassibile e con la solita voce un po’ rauca grida gelati ice cream chi vuole gelati, vuole il cornetto signora?; a Pippo che si ferma per vendere qua e là qualche candito ed alcuni bomboloni; davanti alla coppietta che noncurante di tutto il resto si bacia sulla sdraio, ai genitori che leggono dormicchiando Il Corriere della Sera, alle signore che spettegolano un po’ ma solo un po’ sulla principessa Margaret, ai vecchiotti che giocano a bocce lanciando regolarmente almeno una palla sul piede di una innocua madre di famiglia, al distinto professore che non si leva nemmeno la cravatta temendo – quale orrore – di mostrare il collo tutto bianco; davanti al bagnino che sembra etiopico e che dice con gentilezza signora guardi la sua sdraio costa… lire al giorno, alla compagnia che ascolta il giradischi e per cento volte il medesimo disco accennando pochi passi di let-kiss sulla sabbia, al giovanottone settentrionale che bacia una signorina meridionale e le dice signorina mi scusi è un pegno; davanti alla noleggiatrice di mosconi che non ne ha più di liberi però guardi adesso ne sta tornando uno ah non lo vuole con la spalliera?! Allora guardi che ne sta tornando uno come lo vuole lei; alla signora tedesca sdraiata che sembra morta, ma che appena tu la pesti per sbaglio ti guarda in faccia e bestemmia in tedesco; al cane che per legge non dovrebbe esserci e invece c’è per farti ammattire. Davanti insomma a tutto questo mondo caotico, bizzarro, semplice, banalissimo eppure sempre differente e sempre imprevedibile, è magnifico credimi starsene completamente in ozio, annoiati da morire; stufi, senza aver un briciolo di qualcosa da fare, se non annoiarsi, annoiarsi e basta. il Fatto Quotidiano 7/9/2014 “COM’È PULITA LA SVIZZERA LA GENTE NON ESCE DI CASA PER NON CREARE DISORDINE” – ENRICHETTA LORENZINI nata a Bologna nel 1927 Diario di un viaggio in Olanda con tutta la famiglia nell’estate del 1965. Partenza da Bologna alle ore 7. Siamo commossi e allegri ma l’autostrada del Sole fino a Milano ci stanca un poco con la sua monotonia. Chiara ha sete perché fa molto caldo, ma poi si distrae perché in poco tempo arriviamo a Chiasso. La Dogana è una grossa novità, facciamo registrare la macchina fotografica e la macchina da presa sul passaporto. Cambia subito il panorama, la Svizzera ci si presenta molto ordinata e piena di fiori. Ieri Enrico ha letto su Topolino che in Svizzera c’è “Melide”, piccola Svizzera in miniatura, e troviamo questo paese proprio sulla nostra strada. Sotto un sole cocente giriamo per le vie della Swissminiatur, è tutto molto ben fatto e ordinato: è veramente una piccola Svizzera in tutto, anche nei prezzi! Ci sediamo a bere qualcosa in un bar di Lugano, i cigni passano lentamente davanti a noi, ma dobbiamo ripartire. Siamo di nuovo in macchina alla volta del San Gottardo, in poco tempo però arriviamo ad Airolo dove troviamo il treno-porta-macchine. […] Il tunnel è al buio assoluto e papà accende la luce interna dell’auto così possiamo mangiare qualche panino, il viaggio dura una ventina di minuti ed è piacevolissimo specialmente per il guidatore che si può riposare un poco. […] E si riparte tranquilli e riposati, c’è solo un problema, abbiamo sete ma abbiamo imparato a “nostre spese” che ci conviene cercare un poco di acqua fresca alla fontana, quella non costa. La cosa che più ci colpisce in questo viaggio attraverso la Svizzera è il colore dell’erba: un colore tutto speciale, tutto verde pieno senza fili gialli, è splendente. Casette, balconi fioriti, ortensie giganti, bandierine svizzere crociate, gerani bianchi e rossi colorati esattamente come le bandiere delle Svizzera ci passano davanti agli occhi e non c’è un pezzo di roba fuori posto. Tutto è ordinato, non si vede nemmeno la gente, forse stanno tutti in casa per non mettere in disordine il loro Paese. […] E finalmente siamo a Basilea un poco stanchi e ansiosi, mamma e papà, di trovare un albergo per Enrico e Chiara che meritano, dopo un viaggio così lungo, un bel letto riposante. […] Alla fine però troviamo un buon Hotel, il Touring and Red Ox Basel dove finalmente scendiamo. C’è un cameriere italiano che ci aiuta con molta gentilezza, è siciliano, ci indica un buon ristorante dove possiamo mangiare. È il nostro primo ristorante in terra straniera, l’odore è già molto diverso dai nostri: il nostro cameriere è di Lugano quindi ci intendiamo subito (a parole). Prende Enrico e Chiara per mano e va a scegliere in una vasca due trote che poi ci darà da mangiare. E poi: insalata verde, cetrioli, pomodori, carotine, ravanelli, maionese tutto insieme, ci viene servito con la carne e il pesce mentre noi, più svizzeri degli svizzeri, ci facciamo mettere gli spaghetti nello stesso piatto dell’insalata. Questa sì che è insalata russa! […] Nessuno di noi sapeva che Basel, la famosa Basilea di cui abbiamo parlato tanto prima della partenza, era proprio alla frontiera cosicché quando troviamo la frontiera-dogana tedesca ci meravigliamo non poco. Cambio i soldi nel portafoglio di Fulvio (il famosissimo recipiente unico si rivela molto efficiente) e Fulvio attacca la volata sull’autostrada, una delle tante autostrade tedesche. […] C’è una larghezza e una lunghezza imponente davanti a noi, boschi e foreste immensi, campagne estese per chilometri danno subito l’impressione della grandezza e pesantezza della Germania. Vi dirò che non mi piace nemmeno tanto, fa un po’ paura, la solita paura che fanno i tedeschi agli italiani dopo gli scherzi che ci hanno fatto. Cartelli e segnalazioni perfetti ma gli automobilisti tedeschi sono tutti mancini e ignorano l’uso dei lampeggiatori (immaginare adesso le espressioni di papà) c’è un sedile all’ombra, ma stiamo correndo, ce n’è un altro, ma è occupato, ce li guardiamo ben bene tutti e poi ci fermiamo a fare colazione proprio al sole. Mortadella di Bologna-pesche profumate di casa nostra-addio! Altra corsa sull’autostrada, altra fermata per uno spuntino, questa volta facciamo la fila per avere due birre e un würstel lungo lungo che mangiamo però molto volentieri, anzi Fulvio deve fare un’altra fila per comprarne un altro mentre Enrico ne farà una terza, seguito dai nostri occhi ansiosi, per restituire le bottiglie. […] Alle cinque del pomeriggio siamo a Düsseldorf e troviamo abbastanza facilmente la casa di Bettina, la bambina che abbiamo conosciuto a Cesenatico e che è stata la compagna di giochi, sulla spiaggia, assieme al fratellino, dei nostri bimbi. I genitori ci accolgono con grande gentilezza, ci aspettavano per il giorno prima e ci trattengono a cena con loro. La casa tedesca è molto differente dalle nostre, la cucina non è tanto grande, la sala è più una saletta che una camera da pranzo, al momento di mangiare il tavolino davanti al divano viene allungato ma rimane basso e ci si arrangia un po’, con piattini piccoli e piccole posate: secondo me danno poca importanza al mangiare. […] Alla sera il pranzo consiste in cibi preparati a freddo, prima una crema di funghi molto buona e poi formaggi e salumi vari con una salsa tremenda: non lo sapevamo e ne abbiamo spalmato, inconsapevoli e ingenui, i nostri würstel in abbondanza col risultato che siamo rimasti senza fiato e con le lagrime agli occhi. il Fatto Quotidiano 7/9/2014