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 2014  settembre 07 Domenica calendario

IL RUOLO DELL’IRAN NELLA GUERRA ALLA JIHAD

La decisione Nato di far nascere una coalizione contro lo Stato Islamico era inevitabile: troppo grande il rischio prodotto dall’emergere di una realtà politica e ideologica destinata altrimenti a riscrivere la carta del Medioriente e a produrre problemi di sicurezza globali.
Ma l’altrettanto inevitabile scelta di fare una guerra dell’aria pone degli interrogativi. Dal momento che nessun conflitto può essere vinto senza mettere gli scarponi a terra, qualcuno quella guerra tra le sabbie deve pur combatterla. Tutti sanno che non basteranno i peshmerga curdi, pure ben armati. Dunque, altri dovranno marciare sul terreno: ma chi? Washington ritiene che l’Alleanza occidentale possa costruire una coalizione a geometria variabile con i paesi sunniti interessati a mettere fine al radicamento neocaliffale. A partire dall’Arabia Saudita che pure ha svolto il ruolo di apprendista stregone con gli jihadisti impegnati in Siria e Iraq. Il Califfato mette, infatti, in discussione innanzitutto il rivendicato ruolo saudita di guida dell’Islam e custode dei luoghi santi. Oltre che la legittimità della monarchia quale braccio politico del wahhabismo. Un ruolo decisivo avrà anche la Turchia, membro nella Nato, che dopo il tramonto del sogno europeo vede nel nuovo potere in nero un ostacolo alla sua svolta neottomana. Peso rilevante avrà l’Egitto, che si pone ormai come naturale argine al fondamentalismo islamico in tutte le sue versioni.
Ma turchi e sauditi sono in competizione per l’egemonia nel mondo sunnita, così come gli egiziani sono alleati dei sauditi e ostili ai turchi in nome della comune lotta contro i Fratelli Musulmani. I sauditi, poi, hanno un obiettivo che fa premio su tutto e li ha impegnati nella lunga proxy war di cui sono stati protagonisti dal 1979 a oggi: spezzare la corda tesa dell’arco sciita che va da Teheran alla Beirut degli Hezbollah passando per Damasco e ridare profondità strategica alla punta di lancia sunnita. Conficcandola saldamente in Siria e Iraq. Pensare che i sauditi possano limitarsi a contenere o sconfiggere lo Stato Islamico sarebbe ingenuo: il Califfato è solo un incidente di percorso sulla strada della vera partita che conta, quella con l’Iran.
Gli iraniani, e i loro alleati libanesi del Partito di Dio, sono però gli unici a avere già gli scarponi sul terreno in Siria e Iraq. E lo Stato Islamico può essere battuto solo se si aggredisce su quel duplice fronte. L’intervento di Hezbollah ha impedito che il regime di Assad, che oggi fa da barriera all’espansione del Califfato verso il Mediterraneo, crollasse; quello delle brigate Al Qods, corpo d’elite dei Pasdaran, ha evitato che lo Stato islamico sfondasse nel Kurdistan e che il massacro di cristiani, turcomanni e yazidi, giungesse a compimento. In Iraq gli iraniani sono schierati per preservare i luoghi santi sciiti di Kerbala e Najaf dalla promessa distruzione dell’IS. Prospettiva che farebbe scattare, come minacciato dall’ayatollah Khamenei, il diretto e totale intervento iraniano nel conflitto.
Insomma, difficile ignorare il peso dell’Iran nella regione. Obama non è ostile a questo riconoscimento, anche perché deciso a chiudere sulla vicenda del nucleare, ma deve procedere con cautela: per l’opposizione della destra repubblicana e quella di Israele, oltre che per l’ostilità saudita. In ogni caso, Teheran non lascerà che l’alleanza sunnita metta in ombra l’agognato ruolo di potenza regionale decisa a dire la sua sul futuro della Mesopotamia. La collaborazione, sia pure non dichiarata, potrà avvenire solo se lo scambio politico non sarà unilaterale.
La sconfitta di Al Baghdadi passa, dunque, per il coinvolgimento dell’Iran nel sistema, più o meno informale, di alleanze. Se così non fosse, la delega occidentale alle potenze regionali sunnite a combattere il conflitto sul terreno sarebbe destinata a produrre un’instabilità destinata a far impallidire le tensioni attuali. In quel caso dopo la fine del Califfato, l’emergenza sarebbe ben più problematica. È bene che il quadro sia chiaro anche all’Italia, coinvolta a pieno titolo nella coalizione. Perché l’ora delle scelte non lascerà spazio al senno di poi.
Renzo Guolo, la Repubblica 7/9/2014