Fabio Isman, Il Messaggero - Cronaca di Roma 7/9/2014, 7 settembre 2014
IL PALAZZO CON IL LAGHETTO IN CANTINA
LA STORIA
Le cartolerie non c’entrano: Palazzo della Cancelleria, in fregio a corso Vittorio Emanuele, trae il nome da una delle cariche più prestigiose (una volta) della Corte papale: il Cancelliere doveva scrivere ed emanare (e talora perfino correggere ed emendare) le leggi del pontefice. Ora, il compito è affidato alla Segreteria di Stato. Però, verso il 1480 sotto Sisto IV Della Rovere, il ruolo era coperto dal nipote, cardinale Raffaele Riario. Grande giocatore, aveva vinto con i dadi 60 mila scudi a Francesco Cybo, figlio di un omonimo porporato, il futuro Innocenzo VIII. Proprio con questi soldi, più 120 mila scudi prestati da un banchiere, sorge il palazzo, cioè un capolavoro assoluto. Il cortile è certamente di Donato d’Angelo, detto Bramante; e il resto, non si sa. Si sono scomodati parecchi nomi per l’edificio, iniziato nel 1485 e concluso solo nel 1513, tra cui Andrea Bregno. Dentro, si prodigano alcuni tra i maggiori artisti nell’Urbe del tempo: Perin del Vaga, Francesco de Rossi (il Salviati), Giorgio Vasari. Dopo essere diventato proprietà di Alessandro Farnese, vicecancelliere di Paolo III papa della medesima famiglia, e poi di Francesco Barberini che trascorrerà il resto della vita tra affreschi dipinti in odio ai nemici Farnese, nel Settecento, il cardinale Pietro Ottoboni vi farà realizzare da Filippo Juvarra un teatrino, ormai sparito: vi si è esibito anche Arcangelo Corelli.
UN OMICIDIO
Straordinario che, proprio per la bellezza e rilevanza, il palazzo sia stato sempre appetito: nel 1789, è la sede del Tribunale della Repubblica Romana; nel 1810, della Corte imperiale, con Napoleone; nel 1848, del Parlamento romano; l’anno dopo, dell’Assemblea costituente della Repubblica romana; il 25 novembre 1848, nel suo atrio viene ammazzato Pellegrino Rossi, esponente «liberal» del governo di Pio IX Mastai Ferretti, che l’indomani lascia Roma, in autoesilio nella più sicura piazzaforte di Gaeta. Ora ospita la Sacra Rota, il tribunale ordinario della Santa Sede.
CENTO GIORNI
Comunque sia, l’edificio, che guarda al classicismo di Leon Battista Alberti, nasce con il travertino del vicino Teatro di Pompeo (ma qualcuno dice pure del Colosseo). Il cortile è a tre ordini, con colonne antiche; la facciata, enorme, a bugnato che sporge poco; finestre con architravi; balaustre all’antica; i due avancorpi, solo accennati. Così maestoso, di precedente c’era soltanto Palazzo Venezia, per Paolo II Barbo: il Rinascimento ha uno dei suoi massimi acuti. Oggi, vi si leggono ancora la dizione della Corte Imperiale (sopra il portale), e gli stemmi delle varie famiglie che l’hanno abitata, sparsi un po’ dappertutto. Sopra ogni finestra, la rosa dei Riario, un cui stemma è anche all’angolo con via del Pellegrino, sulla balconata che è certamente di Bregno. Dentro, la Sala dei Cento giorni è detta così perché Vasari l’avrebbe affrescata, con allegorie e episodi della vita di Paolo III nelle architetture dipinte (le colonne tortili un secolo prima dell’altare di Bernini, a San Pietro), appunto in tanto scarso tempo. E Michelangelo, chissà se è vero, avrebbe detto «e si vede!» all’artista, che se ne vantava. Era il tempo più miracoloso della seconda Urbe: quella dei papi. Alcuni straordinari pittori (Perugino, Pinturicchio, Ghirlandaio, Botticelli, Cosimo Rosselli, Signorelli) affrescano le pareti della Cappella Sistina; la città muta il proprio volto anche negli edifici e nelle sue strade: la smette di essere medievale; ormai, contende il primato alla Firenze dei Medici e a Venezia, due culle di immensa arte.
PALINSESTO
L’interno del palazzo è un palinsesto di tempi e gusti. Dai sotterranei, con il sepolcro di Aulo Hirzio del I sec. a.C., trovato nel 1938 e sommerso dal canale Euripo che andava da Campo Marzio al Tevere (ormai ostruito dai muraglioni per contenere il fiume: ora è un laghetto), fino alla cappella dipinta da Salviati, alle scene bibliche di Perin del Vaga dell’appartamento cardinalizio, alla Stufetta, un bagno a croce greca attribuito ad Antonio da Sangallo il Giovane, con i resti d’un pergolato dipinto di Baldassarre Peruzzi. L’edificio ingloba anche la basilica di San Lorenzo in Damaso: elegante, ma poco resta dell’originale del 380. Il palazzo è il solo di Roma con un laghetto nella cantina.