Carlo Vulpio, Corriere della Sera 7/9/2014, 7 settembre 2014
LA PIOGGIA E IL FANGO DEVASTANO IL GARGANO
DAL NOSTRO INVIATO PESCHICI (Foggia) — Sette anni fa fu il fuoco. Un gigantesco incendio che mise in fuga duemila turisti e fece tre vittime. Adesso è l’acqua, caduta dal cielo come non avveniva da ottant’anni — tanta pioggia in cinque giorni quanta non se n’era vista in tutto l’autunno scorso —, che ha fatto scappare più di mille turisti e ha ingoiato due persone, Antonio Facenna, un ragazzo di 24 anni, e il settantenne Vincenzo Blenxs, ufficialmente ancora «disperso».
L’anno scorso e nel 2001, invece, fu la terra a tremare — qui, avviene con una certa frequenza — e a mettere a dura prova la resistenza del promontorio del Gargano con scosse che non hanno ucciso, ma ne hanno lavorato i fianchi e hanno lasciato i segni.
Per sua fortuna il Gargano è geomorfologicamente come un pugile solido, se va al tappeto si rialza e continua a combattere, difficile assestargli il colpo del knock down . Ma anche un boxeur così coriaceo non può resistere all’infinito alla potenza del fuoco, dell’acqua, della terra, e ridursi a sperare che un giorno non venga a saggiarne la fibra anche l’aria, magari con la forza devastante di un uragano.
Gli incendi del 2007 furono accidentali ma anche dolosi, con la finalità di bruciare per costruire anche nei posti più improbabili. L’alluvione di questi giorni invece è stata un fenomeno naturale, è vero, ma il deflusso delle acque, l’esondazione di canali e torrenti, le frane e gli smottamenti, le undici strade interrotte, hanno dimostrato che quando non ci si prende cura della terra, dei corsi d’acqua, delle strade, e quando si costruisce fin sotto i costoni delle montagne, una sola pioggia torrenziale basta e avanza a trasformare i punti critici in punti tragici. Anche se a proteggerti hai i tronchi e le radici degli alberi della Foresta Umbra e tutto il sistema boschivo e i pascoli del Parco nazionale del Gargano.
Anche ieri, come sette anni fa, la gente si è sentita in trappola ed è scappata via terrorizzata. I campeggi, gli alberghi, i resort, che già se la son dovuta vedere con una stagione turistica menomata dalla recessione economica, si sono trasformati in luoghi di pena.
«Il dissesto non solo uccide e devasta territori ma aumenta il debito pubblico — ha detto Erasmo D’Angelis, coordinatore della task force di Palazzo Chigi —. Solo negli ultimi 7 mesi i nubifragi e gli allagamenti hanno causato vittime e sfollati e prodotto 3,4 miliardi di danni e devastazioni». Le località più colpite — Peschici, San Menaio, Rodi Garganico e Vieste sulla costa, Vico del Gargano, Carpino, San Marco in Lamis e San Giovanni Rotondo all’interno —, hanno vissuto giorni di panico, con l’acqua alla gola è il caso di dire, e gli sfollati a decine, i sindaci in difficoltà, i bambini in lacrime, le auto e le roulotte trascinate in mare, i soccorritori ammirevoli nell’abnegazione, ma impantanati anche loro nel fango e sempre con gli occhi rivolti al cielo nella speranza che smettesse di diluviare. Poi però è andata via anche la corrente (a 5 mila utenze), le linee telefoniche si sono interrotte, in qualche comune l’acqua ha rotto le condotte del gas e persino il segnale dei cellulari si è affievolito. E in tutta l’area colpita dal maltempo è calato un silenzio irreale.
A San Marco in Lamis, dove gli sfollati sono al momento 150, i danni avrebbero potuto essere ancora più gravi, forse catastrofici, se negli anni passati non fossero stati costruiti muri di contenimento nella parte più alta del paese — ecco un esempio di previdenza e di cura dei luoghi — e non si fosse intervenuti con i lavori necessari sul Canale della Schiavonesca. Ma altrove, nelle campagne, nella marine e nei paesi colpiti, le chiacchiere su fratello fuoco del 2007 sono state ripetute uguali e precise di fronte a sorella acqua del 2014.
E se ci si lascia tentare dal fracking — quelle robuste iniezioni di acqua nel sottosuolo e nel fondale marino per cercare ed estrarre quello scarso petrolio che forse c’è, ma è spurio, scambiando il Gargano e l’Adriatico per il Nord Dakota — tra qualche anno ascolteremo le stesse chiacchiere anche per sorella terra. Lo dicono tutti, ma proprio tutti, i geologi che conoscono ogni faglia e ogni budello del Gargano e del mare che lo bagna, due tesori che hanno fatto di questi luoghi una delle più apprezzate mete turistiche d’Europa, e che giustamente adesso tornano a invocare l’istituzione della figura del «geologo condotto», proprio come il veterinario o il medico pubblico per la cura di animali e persone.
In questi giorni di pioggia, invece, il Gargano è diventato nero, cupo, disperato, impotente. Gli ombrelloni scaraventati via dal vento, le baie dalla sabbia fina e dorata trasformate in pantani di fango, le roulotte rovesciate e sfasciate dalla furia dell’acqua, e quei due elicotteri della Guardia forestale che ronzavano nell’aria alla ricerca del povero Vincenzo «disperso» e che in tutto questo disastro, se lo rintracciassero, forse non avrebbero nemmeno un punto sicuro sul quale atterrare. Mentre per l’altra vittima, Antonio Facenna, son dovuti intervenire i Vigili del fuoco e i sommozzatori, che lo hanno ritrovato dopo un giorno di ricerche.
Le condizioni del tempo sono leggermente migliorate e le previsioni lasciano ben sperare, ma il sindaco di San Marco in Lamis, Angelo Cera, confessa di aver avuto paura, tanta paura. «Non ho vergogna a dirlo — ammette —. A un certo punto non sapevo cosa fare, temevo per la vita delle persone. Ho anche usato le sirene e gli altoparlanti, ma vedevo scendere tanto fango. Una cosa impressionante».
Ma anche questa volta, il Gargano ha resistito.