Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 08 Lunedì calendario

UBER E LE ALTRE LA (CON) DIVISIONE DELL’ECONOMIA


Autisti fermi e applicazione bloccata. La Germania ha detto no a Uber, la startup statunitense che permette il noleggio di automobili con autista. La sentenza, arrivata a fine agosto, è temporanea e la società ha già dichiarato che farà ricorso, ma è probabile che il problema si ripresenti. Se non in Germania, in un altro Paese: Uber fronteggia le accuse di concorrenza sleale da parte dei taxisti da quando è stata lanciata. È il rischio con il quale devono vedersela le società che hanno fondato il loro business sulla sharing economy, cioè l’abitudine a condividere qualcosa che già si possiede con altri, a pagamento o meno.
Il consumo collaborativo sta prendendo piede anche in Italia come confermano i risultati di una ricerca Ipsos commissionata da Airbnb e BlaBlaCar e diffusa a luglio 2014. Il sondaggio, su un campione di mille italiani tra i 18 ed i 64 anni, evidenzia come il 31% degli intervistati si sia dichiarato pronto a utilizzarla.
Alternativa
L’app più nota è proprio Uber. Operativa dal 2009, è una piattaforma che si basa su un’applicazione per il noleggio di automobili con autista. Oggi è presente in 37 Paesi in tutto il mondo per un totale di 128 città: la sua valutazione è salita fino a 18,2 miliardi di dollari e la startup potrebbe debuttare sui listini entro la fine dell’anno. I normali servizi Uber costano un po’ più di un taxi e le auto sono guidate da autisti professionisti e con licenza. Ma nel nuovo servizio UberPop chiunque possieda un’automobile può registrarsi e, una volta abilitato, accordarsi con gli abbonati e trasportarli sulla propria auto. Un’app che di fatto ha allargato ancora di più il bacino dei potenziali autisti, infiammando le proteste dei tassisti. Però gli utenti e gli investitori ci credono: per questo, insieme al numero di abbonati, anche la valutazione continua a salire (in due anni è aumentata di 55 volte). Ci crede pure un colosso come Google, che l’anno scorso ha destinato a Uber l’85% dei fondi a disposizione per gli investimenti venture, cioè 257,79 milioni di dollari.
Sulla scia di Uber hanno preso piede anche altri servizi simili, come la statunitense Lyft e la francese BlaBlaCar. La prima, lanciata nel 2012, è molto simile alla rivale (anche se vale molto meno: circa 700 milioni di dollari). Per questo tra le due è già cominciata la guerra: Lyft ha accusatoUberdiprovareasabotarla,acolpi di finti clienti e bonus per gli autisti che passano da una all’altra. BlaBlaCar, invece, si muove su un settore diverso. Inaugurata nel 2006, si occupa della gestione dei passaggi in auto per tratte lunghe, offrendo quindi un’alternativa a treni o aerei. Da un round di investimenti all’altro (l’ultimo, arrivato a luglio da Index Ventures, è pari a 100 milioni di dollari), è diventata una delle startup di punta della Francia. Mentre Uber e Lyft permettono al guidatore di guadagnare grazie al servizio, BlaBlaCar consente solo di dividere le spese del viaggio ammortizzandone il costo.
Altri campi
Airbnb, invece, è una piattaforma per l’affitto di alloggi privati. Lanciata cinque anni fa, ad oggi offre alloggi in 192 Paesi e ha già sistemato 11 milioni di persone in 34 mila centri, da città come New York a paesini nelle isole greche. I numeri in continua crescita hanno aiutato la startup a quadruplicare la propria valutazione: in due anni è passata da 2,5 a 10 miliardi. Agli utenti piace perché gli alloggi hanno prezzi più bassi rispetto a quelli dei soliti hotel, ma chi offre casa si muove in un ambito normativo «grigio». In diversi Paesi la società è sotto accusa perché non versa tasse. Gli internauti che offrono i loro alloggi possono farlo o meno, dipende dai regolamenti ma anche dalla loro coscienza. Ed è contro questo vuoto normativo e questa concorrenza non regolamentata che si scagliano gli imprenditori del settore alberghiero. «Siamo un’attività nata nel 21esimo secolo che si trova di fronte a leggi scritte nel 20esimo secolo», si è difeso Joe Gebbia, cofondatore di Airbnb.
Per la sharing economy, infatti, manca ancora un quadro normativo chiaro. Mentre di servizi dedicati ce ne sono ormai per tutti i gusti: da quelli per invitare sconosciuti a cena (pagando la loro quota della spesa) a quelli che permettono di scambiarsi vestiti usati. E iniziano a prendere piede anche i siti di crowdsharing, che mettono insieme servizi individuali consentendo agli utenti di paragonare i prezzi e utilizzare una piattaforma unica, da JustEat (portale per ordinare i pasti a domicilio dai ristoranti) a RightMove (annunci immobiliari).