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 2014  settembre 08 Lunedì calendario

SCOZIA, PROFUMO DI SECESSIONE


IL CASO
LONDRA
Nella battaglia tra ragione e sentimento in atto sull’indipendenza della Scozia, il sentimento sta travolgendo la ragione. E a questo punto il verdetto finale è tutt’altro che scontato.
Per la prima volta il “sì” al divorzio da Londra sarebbe in leggero vantaggio rispetto al “no”, 51% contro 49%, e il modo in cui la campagna a favore della separazione ha guadagnato terreno nelle ultime settimane fa pensare che le concessioni che il governo Tory sta frettolosamente mettendo a punto e che annuncerà questa settimana arriveranno, forse, un po’ tardi.
LO SLANCIO
Lo slancio sembra essere tutto da parte degli indipendentisti, e se gli scozzesi decideranno di rimanere con Londra, sarà soprattutto per abitudine e per paura di sconvolgimenti eccessivi. «Raramente la frase “filo del rasoio” ha avuto una forza tanto letale», scrive Peter Kellner, direttore di YouGov, spiegando che il fatto che un divario di due punti sia troppo piccolo per fare vaticini è «già di per sé un fatto notevole».
CAMPAGNA INSTANCABILE
A dieci giorni dal voto del 18 settembre, il fronte del leader indipendentista Alex Salmond sta raccogliendo i frutti di una campagna instancabile, fatta di visite porta a porta, di volantinaggio massiccio, di presenza capillare nelle strade. Le donne scozzesi, soprattutto, si stanno lasciando convincere che l’indipendenza non sia un passo così folle e potrebbero essere loro l’ago della bilancia.
Solo un mese fa Better Together, il fronte dell’unità, era in saldo vantaggio, nonostante una campagna fredda e incentrata su argomenti razionali: Edimburgo commercia soprattutto con il resto del Paese, uno scozzese su cinque lavora in una società con sede fuori dalla Scozia, il petrolio non durerà per sempre e il pil scozzese sarebbe troppo legato alle fluttuazioni del prezzo del greggio.
Inoltre, l’indipendenza appare come un salto nel buio, poiché molte delle questioni chiave per il futuro non sono state ancora risolte. L’adesione alla UE appare tutt’altro che scontata per il timore di alcuni paesi, Spagna innanzi tutto, che l’offerta di un approdo sicuro alle regioni che scelgono l’indipendenza incoraggi ulteriori spinte secessioniste. Gli scozzesi sono più europeisti degli inglesi, ma non per questo si sentono pronti ad accogliere l’euro come loro moneta al posto del pound, che Londra si rifiuta di concedere in caso di secessione. Ma perdere la sterlina renderebbe difficile anche la suddivisione del milione di miliardi di sterline di debito del Regno Unito, di cui tra i 100 e i 130 miliardi sono a carico della Scozia.
LA REGINA
La regina continuerebbe ad essere capo di Stato della Scozia solo nel breve termine, perché prima o poi, promettono gli indipendentisti, si terrebbe un referendum anche sulla monarchia, rispetto alla quale gli abitanti delle highlands sono in generale piuttosto freddi. Una situazione confusa in cui il governo ha ancora margine di manovra, tanto che il cancelliere dello Scacchiere George Osborne ha dichiarato che, in cambio di un “no” al referendum, la Scozia avrà più poteri su fisco, spesa e servizi sociali, ottenendo «la botte piena e la moglie ubriaca».
PROMESSE
Promesse che Salmond ha liquidato come tentativi di corruzione, incapaci di fermare la spinta che vuole Edimburgo sovrana assoluta sulle questioni sociali come la salute e l’uguaglianza. Neppure i personaggi famosi che si sono schierati a favore dell’unione sono riusciti a “scaldare” la campagna del “no” e hanno ottenuto una pioggia di critiche.
JK Rowling, che ha scritto il primo volume di Harry Potter seduta in un caffé di Edimburgo, ha donato un milione di sterline a Better Together ed è stata accusata di voltare le spalle a chi le ha dato tanto quando era una mamma in difficoltà, mentre sul fronte opposto c’e l’ex 007 Sean Connery, il quale «come scozzese e in quanto persona da sempre innamorata sia della Scozia che dell’arte» ha definito «la possibilità dell’indipendenza troppo bella per essere sprecata».
Lo scenario più probabile potrebbe essere quello del “neverendum”, dello stallo infinito, che si è visto in Quebec dopo il voto del 1995, vinto dal “no” con il 50,6%, contro un 49,4% che non si è dato pace. Oppure, per guardare un esempio più vicino, come il Regno Unito con l’Unione europea, membro riluttante nonostante un lontano “si”.