Giuliana Ferraino, Corriere della Sera 6/9/2014, 6 settembre 2014
«IL DEBITO PUBBLICO? GRAZIE ALLE FAMIGLIE NON È IL PROBLEMA PRINCIPALE»
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI CERNOBBIO — Kenneth Rogoff tiene sotto scacco la platea di Cernobbio. Passano 15 minuti tra l’intervento del noto economista di Harvard, un ex campione di scacchi che a 16 anni abbandonò gli studi per dedicarsi ai tornei, e la replica alle domande. Un quarto d’ora di trepidazione in cui tutti si sono chiesti che cosa intendesse accennando alla necessità di ristrutturare il debito italiano. Persino Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del comitato esecutivo della Bce, ora presidente di Snam, parlando subito dopo il docente americano, ha chiesto maggiori spiegazioni.
«Quando ho parlato del bisogno di ristrutturare il debito pubblico in alcuni Paesi periferici, per migliorare la crescita dell’eurozona, mi riferivo a Portogallo, Irlanda, Grecia (sì, un’altra volta), e anche alla Spagna. L’Italia? Non ne ha bisogno. Anzi, se Roma dovesse ristrutturare il debito, ciò avrebbe conseguenze negative non solo per l’Italia, ma per l’intera area dell’euro», ci spiega Rogoff, 61 anni, a margine al Forum The Europea House - Ambrosetti a Villa d’Este.
Perché salva l’Italia visto che il suo debito pubblico sfiora il 136% del Pil?
«Il problema del debito è legato alla vulnerabilità dell’indebitamento privato. E le famiglie italiane sono poco indebitate. Inoltre, se è vero che il debito italiano è alto, oltre il 75% è tornato in mani italiane rispetto all’inizio della crisi. Quando si guarda all’indebitamento italiano complessivo verso l’esterno, il quadro è migliore di quanto si creda. L’Italia ha molti problemi, ma il debito non è quello principale. Certo, se l’Italia avesse un debito più basso, avrebbe più spazio per le politiche di bilancio».
Qual è il primo problema italiano?
«La corruzione. Poi il sistema di governance, e l’incapacità di adattarsi a un mondo che cambia. Ad esempio, qui a Cernobbio ci sono molti rappresentanti di aziende familiari, che però non riescono ad adeguarsi all’economia globale. Per questo hanno bisogno di crescere. Mi aspetto che la nuova supervisione bancaria affidata alla Bce porti benefici anche alle imprese, grazie a un consolidamento bancario non solo a livello nazionale, ma con fusioni transfrontaliere. Per questo l’Asset quality review è un passo molto importante».
Che cosa emergerà dalla revisione dei bilanci delle banche?
«Credo che ci saranno sorprese in molti istituti europei, soprattutto in Italia, a causa dell’enorme quantità dei cosiddetti “non performing loan” (i prestiti incagliati, ndr). Ma questo è positivo, e nel tempo aiuterà il sistema. La prima cosa che avrebbe dovuto fare l’Europa per ripartire, e invece non ha fatto, era ripulire il sistema bancario, come è successo in America e nel Regno Unito. Se non avremo notizie di aumenti di capitale, dovremo preoccuparci».
Come valuta le ultime mosse della Bce, che giovedì ha tagliato a sorpresa i tassi di interesse allo 0,05%, il minimo storico, e annunciato un programma di acquisto di crediti cartolarizzati (Abs), già in ottobre?
«In realtà non mi hanno stupito. Ero a Jackson Hole e ho ascoltato Mario Draghi: ha fatto un discorso sensazionale, il più importante da quando è presidente della Bce, dopo quello del whatever it takes con cui ha salvato l’euro. Perciò mi aspettavo decisioni importanti, anche se vista la bassa crescita europea forse la Bce avrebbe dovuto prenderle un anno fa».
Sarà abbastanza per rilanciare l’economia dell’eurozona?
«Certo che no. Paesi come l’Italia devono fare riforme strutturali. In cambio avranno più flessibilità. Se l’Italia diventerà credibile, sono certo che otterrà dall’Europa più spazio per le politiche fiscali e di bilancio».