Alessandro Perissinotto, La Stampa 8/9/2014, 8 settembre 2014
TIRANA, DOVE C’ERA HOXA ORA C’È LA MOVIDA
Ai tempi di Internet, di Google Maps, dei navigatori satellitari e del Gps, disporre di cartine geografiche aggiornate è diventato facilissimo; molto più difficile è invece aggiornare le nostre mappe mentali, attualizzare le nostre visioni di un mondo che cambia più rapidamente di quanto siamo disposti ad accettare.
Dopo soli venticinque anni dalla caduta del Muro, abbiamo finalmente riconosciuto all’Ungheria, alla Polonia o all’Estonia lo statuto di «Paesi normali», ma con l’Albania, e in generale con il complesso mosaico balcanico, l’operazione risulta più difficile. Abbiamo ancora negli occhi il filmato della nave Vlora che nel ’91 scarica a Bari migliaia di albanesi, vediamo ancora le foto degli scafisti di Durazzo e della guerriglia del ’97: immagini cristallizzate che ci impediscono di pensare all’Albania come a un Paese normale, uno di quelli che, volendo, si possono anche includere nella mappa delle vacanze.
Visitare Tirana? Al mare sulle spiagge albanesi? Che idee bizzarre! Il nome «Tirana» evoca spettri staliniani, eppure lì, nella capitale, nel quartiere che fu residenza della nomenklatura comunista, ci sono decine di caffè all’aperto, eleganti, che la sera si animano di una movida allegra e ben più educata di quelle cui siamo abituati: le mappe mentali si aggiornano anche così, sorseggiando un margarita nel giardino di quella che fu la villa di Enver Hoxha. Così come si aggiornano osservando la costa tra Dhermi e Porto Palermo (l’unica ancora salva dalla cementificazione scellerata che ha devastato quasi per intero il litorale): giovani albanesi, macedoni e kosovari, con auto costose, a far festa, a ballare nei locali sulla spiaggia.
Ma i kosovari non erano in guerra? Ah no, quello succedeva una quindicina d’anni fa: difficile stare al passo con i tempi! Eppure, il sito del nostro ministero degli Esteri continua a mettere in guardia contro i pericoli di un viaggio in Albania: cumuli di rifiuti che scatenano epidemie, stato disastroso delle strade, rischi di infezioni nel bere bibite con ghiaccio… Anche la Farnesina è rimasta indietro di qualche lustro!
Certo, la raccolta rifiuti non funziona al meglio, ma noi italiani abbiamo davvero qualcosa da rimproverare ai cugini d’oltre Adriatico? Certo, sulle strade non è raro incontrare carretti, motorini in contromano, contadini che, in piedi sul guard-rail, offrono conigli vivi agli automobilisti di passaggio sulla superstrada, e sui marciapiedi venditori di sanguisughe per salassi terapeutici, tuttavia il Grande Raccordo Anulare continua a parermi infinitamente più pericoloso.
Ma le mappe che l’Albania vorrebbe realmente aggiornare sono quelle dell’Unione Europea e, prima o poi, malgrado il veto della Repubblica Ceca e di altri Paesi, la Ue non potrà fare a meno di riconoscere l’identità profondamente europea del Paese delle aquile. Quando questo avverrà, l’Italia si accorgerà di aver perduto, negli anni, l’occasione per contribuire a un’Europa un po’ meno prussiana e un po’ più mediterranea.
Nel ’91, gli albanesi della Vlora confessarono candidamente di aver cercato in Italia l’immagine che la nazione dava di sé attraverso le sue televisioni, l’immagine delle ragazze a seno nudo delle trasmissioni di Smaila; un po’ più sobriamente, qualche giorno fa, la più importante chirurgo del Paese, conversando in perfetto italiano, mi diceva: «Io sono cresciuta con Raffaella Carrà: la Rai era la nostra finestra segreta sull’Occidente». Oggi, la tv italiana è quasi scomparsa dagli schermi albanesi e i giovani sotto i trent’anni hanno smesso di imparare la nostra lingua. Se si eccettua l’ambito delle piastrelle e dei sanitari, l’Italia non è più un riferimento, né politico, né culturale: la «finestra sull’Occidente» è ora aperta sulla Germania e anche questa è storia antica.
Nel 1938, Ciano riferiva con preoccupazione a Mussolini della crescente e strisciante influenza dei tedeschi sulla corte albanese: «Il Führer ha offerto a re Zog il più bel regalo di nozze», lamentava. Il 28 agosto scorso invece, il regalo tedesco è arrivato dalla Merkel: conferenza balcanica convocata a Berlino per parlare dell’integrazione con la Ue e attenzione tutta particolare della cancelliera per il premier albanese Edi Rama. Inutile dire che, in quella conferenza, l’Italia non ha avuto alcun ruolo.
Naturalmente, l’idea di trapiantare il rigore germanico nel Balcani può apparire una sorta di mission impossibile, ma è verosimile che il trasferimento culturale sia l’ultima delle preoccupazioni berlinesi: esercitare influenza significa soprattutto accelerare gli scambi economici. Ciò che il turista straniero sempre rimarca viaggiando sulle strade albanesi è l’incredibile concentrazione di Mercedes: volete sapere qual era il regalo di Hitler a re Zog d’Albania? Forse è facile immaginarlo.