Andrea Di Biase, MilanoFinanza 6/9/2014, 6 settembre 2014
IL TRADING DEI RICCHI
Spendere più di 100 milioni di euro nel calciomercato per accontentare i desiderata di José Mourinho e costruire così una squadra in grado di vincere in Premier e in Champions League senza appesantire il bilancio del club, che anzi nell’esercizio 2014/15 beneficerà, tra minori ingaggi e plusvalenze realizzate, di un impatto positivo superiore anch’esso ai 100 milioni. È questo il capolavoro finanziario realizzato quest’estate dal Chelsea, un club che almeno fino alla stagione 2012/13, viste le ingenti disponibilità personali del suo proprietario, Roman Abramovic, non sembrava badare molto ai vincoli di bilancio e alle regole dettate dall’Uefa con il fair play finanziario. Basti pensare che nel triennio 2010-2013, in cui i blues hanno messo in bacheca una Europa League e una Champions League, il club ha accumulato un rosso di circa 160 milioni.
Ma, almeno a giudicare da come il Chelsea si è mosso sul mercato, sia nella sessione invernale della stagione 2013/14 (la cessione al Manchester United per 45 milioni di euro dello spagnolo Juan Mata, acquistato nell’estate del 2011, è valsa una plusvalenza di circa 30 milioni) sia in quella estiva del 2014/15, appare evidente che la filosofia aziendale è radicalmente mutata. Se è infatti vero che per portare alla corte dello Special One campioni del calibro di Cesc Fabregas (33 milioni al Barcellona), Diego Costa (38 milioni all’Atletico Madrid) e Filipe Luis (20 milioni sempre ai colchoneros), Abramovic non ha badato a spese, è altrettanto vero che grazie alle plusvalenze realizzate con le cessioni del difensore brasiliano David Luiz al Psg (46 milioni di guadagno netto) e del giovane attaccante belga Romelo Lukaku all’Everton (altri 27 milioni) il Chelsea riuscirà, non solo a compensare l’impatto contabile di tali investimenti, ma anche a portarsi a casa un lauto guadagno. Considerato che Diego Costa e Fabregas si sono legati al Chelsea per 5 anni e che i contratti dei calciatori si ammortizzano (prevalentemente) a quote costanti lungo la loro durata, è evidente che l’investimento effettuato questa estate peserà sul bilancio del Chelsea solo per un quinto (per un terzo nel caso di Filipe Luis che ha un contratto di tre anni), mentre la plusvalenza realizzata con le cessioni di David Luiz e Lukaku sarà invece contabilizzata integralmente nel bilancio 2014/15. Se a questo si aggiunge il fatto che al termine della scorsa stagione sono andati a scadenza, senza essere rinnovati, gli onerosi contratti di alcuni dei senatori che hanno scritto la storia recente dei blues, come Frankie Lampard (16 milioni lordi di ingaggio) e Ashley Cole (15,7 milioni) e che altri giocatori, altrettanto ben pagati come Fernando Torres (20 milioni lordi) e Samuel Eto’o (13 milioni lordi) hanno lasciato Londra, si comprendono ancora meglio le ragioni che permetteranno al Chelsea di chiudere il bilancio in attivo. I nuovi arrivati hanno infatti stipendi che, sebben superiori a quelli pagati in media dai club italiani (5 milioni netti Diego Costa e Fabregas, 2,75 milioni Filipe Luiz) sono invece considerevolmente più leggeri di quelli dei loro predecessori a Stamford Bridge.
Ma il caso del Chelsea non è certo un unicum tra i top club europei. Anche gli altri big spender del calciomercato 2014/15, come il Manchester United (186 milioni), il Liverpool (149 milioni), il Barcellona (165,7 milioni) e il Real Madrid (106,7 milioni) hanno adottato strategie di mercato simili a quelle dei blues con risultati economici altrettanto apprezzabili. I Red Devils di Luis Van Gaal, ad esempio, cui in molti hanno attribuito l’elevata capacità di spesa al faraonico contratto siglato con Adidas (che dalla stagione 2015/16 verserà 100 milioni a stagione nelle casse del club) e più in generale alla capacità del club di generare ogni anno maggiori ricavi indipendentemente dai risultati sportivi (leggasi mancata qualificazione alla Champions), non sono in realtà state cicale come qualcuno ha voluto far credere. Come già sottolineato su MF-Milano Finanza del 3 settembre, la plusvalenze realizzate col player trading (solo il passaggio all’Arsenal del giovane attaccante Danny Welbeck frutterà circa 20 milioni), consentiranno allo United di bilanciare gli ammortamenti legati agli investimenti in nuovi campioni, tra cui l’ex ala del Real Madrid Angel Di Maria (pagato la cifra record di 75 milioni), mentre gli ingaggi risparmiati grazie all’addio degli ultimi veterani dell’epopea di sir Alex Ferguson (Vidic, Ferdinand, Nani, Evra, Giggs) consentiranno al club di proprietà della famiglia Glazer di permettersi senza troppi patemi l’ingaggio di Radamel Falcao, il bomber colombiano soffiato in extremis ai rivali del Manchester City, cui sarà garantito lo stesso ingaggio che prendeva al Monaco e pari a 12 milioni netti. A conti fatti, dunque, pur avendo speso circa 186 milioni e avendone incassati 38, l’impatto del calciomercato sul bilancio 2014/15 dello United dovrebbe essere negativo, a livello contabile, per soli 2,15 milioni.
Se dall’analisi del singolo club si alza lo sguardo verso una visione d’insieme sembra emergere una tendenza, che potrebbe consolidarsi negli anni a venire. Le transazioni dirette tra top club (ovvero le società con fatturato superiore ai 300 milioni di euro), che negli anni passati erano una rarità, fatta eccezione per alcuni casi (Fabregas dall’Arsenal al Barca nel 2011, Van Persie dall’Arsenal allo United nel 2012, Ozil dal Real Madrid all’Arsenal nel 2013), quest’anno si sono moltiplicate. Nell’ultima sessione di mercato si è assistito infatti a un giro vorticoso di campioni tra Real Madrid, Manchester United, Bayern Monaco, Chelsea, Barcellona e Paris Saint-Germain, passati di mano a fronte di valutazioni monstre, che ha permesso a questi stessi club di trovare le risorse per finanziare l’acquisto di altri top player o aspiranti tali provenienti da club di seconda fascia: Suarez dal Liverpool al Barcellona per 82 milioni, James Rodriguez dal Monaco al Real per 80 milioni, Diego Costa dall’Atletico al Chelsea per 38 milioni, Benatia dalla Roma al Bayern per 28 milioni, solo per citare alcuni esempi. Si sta insomma cristallizzando una sorta di oligopolio tra alcuni grandi club europei che, non solo in virtù dei maggiori ricavi rispetto agli altri, ma anche alla luce degli asset pregiati (i giocatori) detenuti, profumatamente monetizzabili al momento opportuno, rischia di allargare ulteriormente il divario con i club di seconda fascia cui ormai sono state relegate le «grandi italiane». Un oligopolio che, almeno a giudicare dai prezzi cui sono avvenute le transazioni e gli aumenti degli ingaggi dei giocatori coinvolti, sta facendo la fortuna dei grandi procuratori e dei loro assistiti.
Andrea Di Biase, MilanoFinanza 6/9/2014