Massimo Brambilla, MilanoFinanza 6/9/2014, 6 settembre 2014
CHI VINCE COL BLITZ
Quando sono colti di sorpresa i mercati reagiscono d’impulso, aggiustando solo nelle settimane successive - a mente più fredda, numeri alla mano - la reale portata di quanto ha inizialmente suggerito l’istinto. Era accaduto nella prima parte dell’estate, quando il dato sul pil italiano del secondo trimestre, sorprendentemente negativo, aveva innescato le vendite che hanno portato il Ftse Mib a segnare l’8 agosto il nuovo minimo dell’anno subito sotto quota 19 mila, spinto al ribasso dal comparto bancario nonostante la miglior tenuta delle utility. Ed è accaduto ora, questa volta in senso positivo, con l’indice italiano delle blue chip che ha sorpassato la linea che segna il 50% del recupero del profondo scivolone estivo dopo avere segnato il massimo dell’anno il 10 giugno a 22.590 punti, allontanandolo dall’insidioso livello tra 20.200 e 19.930, il cui cedimento avrebbe compromesso il faticoso recupero di agosto.
La sorpresa di questa settimana è arrivata dalla Bce, il cui numero uno, Mario Draghi, ha ormai fatto capire ai mercati l’arte di una dialettica quasi ellenica, tirata fino al punto di rottura, per guadagnare il tempo necessario alla pianificazione tecnico-politica, unita alla capacità di stupire nel concreto gli investitori internazionali. È accaduto la prima volta con le Ltro, con cui la Bce ha rifinanziato a tre anni le banche dell’Eurozona con le due operazioni straordinarie del dicembre 2011 e del febbraio del 2012 per un totale di 1.000 miliardi di euro, sostenendo parallelamente i corsi dei titoli di Stato dei Paesi più in difficoltà (tra cui l’Italia) con acquisti sterilizzati sul mercato. È accaduto per la seconda volta nella prima riunione del settembre 2012, quando l’Eurotower ha varato il piano Omt a favore dei membri dell’Unione che facevano esplicita richiesta di aiuto finanziario esterno. Ed è accaduto per la terza volta nella settimana appena conclusa, quasi a sottolineare la predilezione per settembre: la sorpresa non ha riguardato solo l’azzeramento sostanziale al costo del denaro (tagliato dallo 0,15% allo 0,05%) assieme a una nuova riduzione del tasso già negativo sui depositi effettuati dagli istituti presso la Bce (passato dal -0,1% al -0,2%), ma anche l’avvio già da ottobre del programma di acquisto di titoli cartolarizzati (Abs, Mbs e covered bond) detenuti nei portafogli delle banche e delle società-veicolo che li hanno impacchettati (Spv), un programma che fino ad agosto veniva dato in fase di studio e che invece fin dal prossimo mese sarà un’importante realtà: non essendo per nulla sviluppato come in Gran Bretagna e soprattutto negli States, il programma di acquisto selettivo di cartolarizzazioni da parte dell’Eurotower consentirà da un lato di sgravare gli attivi di bilancio di banche e assicurazioni che li hanno in portafoglio, stimolando inoltre l’attività di nuove cartolarizzazioni in un’ottica di migliore gestione della qualità dell’attivo e della connessa quantità di crediti erogabili, e dall’altro di avviare finalmente un mercato più efficiente di Abs e affini seguendo la strada battuta dai due maggiori Paesi anglosassoni, a beneficio ancora una volta di una maggiore flessibilità degli attivi di bilancio, e quindi del relativo rischio, degli istituti.
Dulcis in fundo, non a sorpresa, la Bce ha confermato le due nuove operazioni di finanziamento straordinario al sistema bancario (Targeted Ltro o T-Ltro), con scadenza a quattro anni a un tasso vicino allo 0,15% (Euribor + 0,10%), la prima delle quali è fissata per il 18 settembre e la seconda a metà dicembre. Il complesso di queste due operazioni straordinarie (acquisto titoli cartolarizzati e le due T-Ltro) si aggira attorno a 700 miliardi e sostituisce quindi i 1.000 miliardi prestati alle banche nelle due operazioni Ltro del 2011-2012 la cui restituzione completa scade nel febbraio 2015 (i 300 miliardi di differenza arrivano dalla sospensione della sterilizzazione degli acquisti di Stato dei Paesi in difficoltà avvenuta negli anni precedenti nell’ambito del programma Smp). In realtà non è chiaro se l’acquisto di cartolarizzazioni venga o meno sterilizzato, ma si deve tenere presente che le operazioni T-Ltro possono continuare nel 2015 fino a un massimo di 1.000 miliardi complessivi, che le banche possono richiedere in proporzione alla dimostrazione di aver erogato a favore dell’economia i finanziamenti già riscossi.
La quota massima che gli istituti italiani possono richiedere nelle prime due T-Ltro di settembre e dicembre è pari a 75 miliardi di euro ed è indubbio che, in base a tutti questi presupposti di politica monetaria, il settore creditizio italiano e quindi il Ftse Mib, sul cui andamento esercita una grande influenza, sfoggi il suo appeal: spinto in modo netto dal comparto bancario, tra cui svetta il ritorno di Unicredit sopra l’importante resistenza a 6,15-6,20 euro che riapre di fatto la strada del ritorno sui massimi dell’anno, il Ftse Mib è riuscito a riconquistare quota 21.000 spingendosi fino al test con l’insidioso ostacolo a 21.350 punti, il cui guadagno riaprirebbe anche per l’indice la strada verso il test a quota 22.000-22.200, ultimo ostacolo prima del massimo dell’anno segnato a inizio giugno a 22.590. Le premesse ci sono, trovando riscontro in una nuova discesa dello spread Btp-Bund fino a 132 centesimi rispetto ai 157 centesimi con cui si è concluso agosto, frutto di un rendimento del Btp decennale giunto alla soglia del 2,3%, e in una nuova discesa dell’euro arrivato in prossimità di 1,29 contro dollaro, minimo degli ultimi 12 mesi, che influisce positivamente sull’export e contribuisce a frenare la discesa dell’inflazione. Più in particolare, il differenziale di rendimento dell’1,32% tra i decennali italiani e quelli tedeschi è il livello minimo da tre anni a oggi già toccato nella giornata del 9 giugno scorso, quando il Ftse Mib aveva segnato il massimo del 2014 a 22.590 e il Ftse Banks Italia aveva bissato il precedente picco del 2014 a 17.313. Al momento l’indice settoriale italiano delle banche è rimasto più indietro a causa della flessione più profonda accusata durante l’estate (mentre il Ftse Mib è stato sostenuto dalla miglior tenuta delle utility), visto che il Ftse Banks è riuscito solo ora a fare ritorno oltre l’ostacolo a quota 15.300-15.450 che cade poco più che a metà strada del lungo scivolone estivo che lo ha condotto al minimo dell’8 agosto segnato a 13.000 punti.
L’indubbio appeal delle banche e dunque dell’indice italiano per la parte restante dell’anno dovrà però fare i conti con due fattori che potrebbero, in tutto o in parte, rimandarlo nel tempo: la questione Ucraina costituisce l’importante premessa di ordine geopolitico affinché gli investitori liberino il maggior potenziale di propensione al rischio e affinché la ripresa economica dell’Eurozona, già molto precaria dopo i dati deludenti di Italia e Germania sul pil negativo del secondo trimestre e sulla fiducia di imprese e consumatori, possa esprimere il suo potenziale di crescita. Quest’ultima condizione rappresenta il fattore interno che risulterà altrettanto determinante per i mesi a venire e sarà dunque oggetto di osservazione e analisi accurata da parte della comunità finanziaria: la Bce ha infatti sparato tutte le cartucce a sua disposizione, mantenendo nel caricatore il solo proiettile blindato relativo a un impervio quantitative easing in stile anglosassone come ultima risorsa contro una possibile deflazione, che nell’ultima rilevazione ha cominciato a lambire anche l’Italia dopo la Spagna, diffusa in tutta l’Eurozona; a quel punto l’ipotesi del QE potrebbe fare breccia anche tra i falchi del board della banca centrale, il numero uno della Bundesbank Jens Weidmann in testa, alla luce della triste esperienza giapponese dove il QE varato in primavera dopo anni di persistenza di inflazione negativa non sta sortendo alcun effetto. D’altronde, ha affermato Draghi, la Bce non può obbligare imprese e famiglie a prendere a prestito il denaro fatto fluire dalla Banca centrale, quando le prime non hanno prospettive di crescita dei business e le seconde navigano nell’incertezza del reddito a venire, chiarendo ancora una volta che tocca ora ai governi fare la loro parte in tema di politiche nazionali ad-hoc.
Questi due fattori potranno incidere parzialmente anche sul proseguimento dell’apprezzamento dei corsi dei Btp a lunga scadenza, dove lo spread di rendimento con il Bund è destinato ad approdare comunque attorno a 115 centesimi, livello minimo da quando nella primavera del 2010 è detonato il debito pubblico greco, nonché sul processo di indebolimento dell’euro, previsto contro dollaro sui livelli minimi del 2013 (a quota 1,27) e perfino sul punto più basso del 2012 (quota 1,20 raggiunta in piena crisi finanziaria occidentale) in un’ottica di più ampio respiro, fino a giungere alla parità preannunciata da Goldman Sachs da qui a tre anni.
I prezzi dei titoli di stato con maturità di almeno 7-10 anni o più avranno quindi ancora fiato per avanzare un po’, dopodiché arresteranno l’ascesa che potrà ripartire solo nel caso in cui la Bce si trovasse costretta a varare il QE. Mentre in entrambi i casi (con o senza QE) saranno favoriti per un periodo certamente più lungo gli investimenti in valuta, tra i quali il dollaro costituisce anche un’ottima arma di difesa contro l’inasprimento delle tensioni geopolitiche, laddove l’eventuale quantitative easing ne amplificherebbe indubbiamente i guadagni producendo un’accelerazione del deprezzamento dell’euro.
Massimo Brambilla, MilanoFinanza 6/9/2014