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 2014  settembre 06 Sabato calendario

PERISCOPIO

Telefonate Berlusconi-Putin per alleggerire le tensioni. Immagino l’argomento. Spinoza, Il Fatto.

Salvini: «In Corea del Nord si vedono cose che in Italia non ci sono più». Più o meno dal 1945. MF.

Grande contributo alla ripresa. Bankitalia si inventa la figura del direttore generale onorario per Fabrizio Saccomanni. Così c’è un disoccupato in meno. MF.

Renzi ha fatto il miracolo, la polizia sciopera. Jena. La Stampa.

«Promettre ça n’engage à rien», promettere non impegna a niente. Ecco una massima che certamente è largamente tenuta presente dai politici, quando presentano agli elettori i loro programmi, col sottinteso di dimenticarli dopo essere stati eletti. In democrazia, il primo precetto è l’accaparramento dei voti, la conquista di una maggioranza, senza di che non si arriva al potere. Panfilo Gentile, Democrazie mafiose. Ponte alle Grazie, 1997.

Sguazzare nel magico mondo di Matteo Renzi è impresa faticosa e noiosa ma istruttiva. Catalogare annunci, promesse, impegni, imperativi, scadenze, ultimatum, slogan, parole d’ordine, slide, tweet hashtag, post, persino sms, è un modo per studiare l’Italia e gli italiani del 2014. Dopo le mille balle blu berlusconiane, siamo tutti in una comunità di recupero per disintossicarci con terapia omeopatica e graduale: drogati da quattro lustri di patacche, bufale, rischiamo la crisi se ce le tolgono di colpo. Renzi è il metadone: l’oppioide che surroga sostanze psicotrope più forti e previene l’astinenza. Marco Travaglio. Il Fatto.

Non si può, a meno di cadere nel nichilismo, fare del cambiamento un valore in sé. La Francia cambia, la scuola cambia, la lingua cambia, ma si va verso più raffinatezza, civiltà, cultura, dolcezza di vivere? Giudicare questi interrogativi come reazionari è voler censurare l’intelligenza stessa delle cose. Alain Finkielkraut, filosofo, neo ammesso all’Acadèmie de France. le Figaro.

Pierluigi Battista, piaccia o non piaccia, è una delle firme più seguite del Corriere della Sera e un commentatore equilibrato. Ma ha questo difetto di fabbrica: è rimasto schiavo degli stilemi della sinistra. Càpita quando il Sessantotto ti coglie adolescente al liceo Mamiani di Roma, dove furono allevati gli Eugenio Scalfari e i Marco Lombardo Radice, e t’intruppa in un gruppuscolo chiamato Unità operaia marxista-leninista. Quando leggo Battista, tra le righe colgo sempre che nutre ancora una forte diffidenza per tutto ciò che non è di derivazione progressista. Teme l’opinione degli ex compagni, fatica a liberarsi dei pregiudizi. Ciò mi costringe ad abbassargli il punteggio. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi. Marsilio.

I primi otto anni della mia vita li passai al civico 9 di piazza Vittorio Veneto, a Torino. Noi eravamo i portinai, i più poveri, sopra di noi abitavano tutti gli altri. All’ammezzato c’era la signorina Corinna, ostetrica, cinquantenne, bionda e bene in carne. Secondo la nonna era diventata benestante praticando molti aborti. Infatti la sua clientela era fatta da ragazze giovanissime o da signore attempate, tutte nubili; le visite duravano a lungo e, quando uscivano, molte erano pallidissime. Alle cinque del pomeriggio chiudeva lo studio e poco dopo arrivava un giovanotto, ogni settimana diverso, che si tratteneva un paio d’ore e mia nonna faceva notare alla mamma che, quando usciva, aveva i capelli arruffati. Riccardo Ruggeri, Una storia operaia. editore@grantorinolibri.it. 2013.

La violenza e l’ingiustizia sono incarnati nei suoi quadricipiti gonfi come tascapani di nuvole. A Praga non si è nemmeno accorto che ci fosse un fiume. Walter Siti, Exit strategy. Rizzoli.

La noia di Moravia - Di scene d’amore / quante ce ne ha messe! / È diventato ormai /un autore / di pubico interesse. Marcello Marchesi, Essere o benessere. Rizzoli, 1962.

Nel 1930 il giornalista Ottavio Dinale, passato ogni limite, scrive scompostamente su Gerarchia: «Si chiamò Benito Mussolini ma egli invece era Alessandro Magno e Cesare, Socrate e Platone, Virgilio e Lucrezio, Orazio e Tacito, Kant e Nietzsche, Marx e Sorel, Machiavelli e Napoleone, Garibaldi e il Milite Ignoto». Franco Monicelli, Il tempo dei buoni amici. Bompiani, 1975.

Bruno Coquatrix, nei corridoi del «Théatre de l’ètoile», nel 1959, si preoccupa per Marlene Dietrich che si appresta ad affrontare Parigi. «Ve bene? Lei non ha troppo panico?» E l’Angelo blu, superba, gli replica con quel soffio roco che le si conosce: «Il panico? Ma voi scherzate? È il pubblico che dovrebbe avere il panico: sarà alla mia altezza?». Pascal Sevran, Tous les bonheurs sont provisoires. J’ai lu. 1996.

Quando a Giolitti serviva un voto in Parlamento, se lo pigliava comprandolo dal primo che passava; tale e quale adesso, in fin dei conti, tanto che tutti dicono che è stato lui a inventare il trasformismo. Lei pensi che è stato pure lui a inventarsi il pentitismo e battè la camorra arruolando i camorristi, ha inventato tutto lui e fosse stato per lui, avrebbe inventato anche il centrosinistra. Più di cent’anni fa. Sono stati i riformisti che non hanno voluto e così lui si è inventato la Democrazia cristiana. Antonio Pennacchi, Canale Mussolini. Mondadori, 2010.

A ottobre l’anno scolastico odora di cartoleria e di polvere da sparo: si può confonderlo, per qualche settimana, con un eccitante partita di caccia, ha il buon umore e l’ottimismo d’un treno di volontari in partenza per una guerra mezza vinta. Ma passate la vacanze dei Santi e dei Morti, l’anno scolastico cambia odore. Sfumata la falsa euforia del primo mese, col pettegolo ritrovarsi fra i compagni mutati di pettinatura e di voce, con l’arrembaggio ai posti strategici vicino all’amico del cuore o al compagno bravi in traduzione coi libri intonsi e i vergini quaderni inaugurati nel baldo proposito di preservarli da ogni macchia e scarabocchio, consumata questa illusoria luna di miele con la scuola, si entra nel mare uggioso battuto dai libecci improvvisi, dalle interrogazioni e dai compiti in classe, abitato da insidiosi squali di superiori d’ogni specie (professori, prefetti, direttori) ma soprattutto interminabile: sette lunghi mesi, prima che siano in vista le sponde del giugno liberatore. Luigi Santucci, Il Velocifero. Mondadori, 1963.

La politica è l’arte di fare male quello che un politologo farebbe peggio. Roberto Gervaso. il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 6/9/2014