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 2014  settembre 06 Sabato calendario

BARACK OBAMA SI PROPONEVA, BEN PRIMA CHE SCOPPIASSERO LE VICENDE DELL’UCRAINA, DI STACCARE LA UE DALLA RUSSIA. QUESTI I FATTI

Anche se a Newport non è riuscito a convincere gli alleati europei a infliggere nuove e più dure sanzioni economiche alla Russia di Vladimir Putin, nel tentativo sempre più vano di ostacolarne un successo geopolitico in Ucraina, il presidente Usa, Barack Obama, pur apparendo frastornato, può dirsi soddisfatto per la rapidità con cui l’Unione europea sta facendo i «compiti a casa» in materia di energia, compiti dettati fino nelle virgole proprio dagli Stati Uniti. Una solerzia esecutiva di cui la presidenza europea di Matteo Renzi si sta facendo diretta interprete, come confermano due fatti recenti: l’audizione al Parlamento europea del ministro italiano dello Sviluppo economico, Federica Guidi, che ha parlato a nome della presidenza europea dell’Italia (2 settembre), e il successivo incontro a Roma della stessa Guidi con il commissario Ue per l’energia, il tedesco Gunther Oettinger (4 settembre). In entrambi i casi, sia pure con un linguaggio burocratico orrendo e in molti punti criptico, la Guidi ha assicurato che l’Italia intende cooperare alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici dell’Europa favorendo «l’apertura del Corridoio Sud» per il gas. Impegno che Oettinger ha dichiarato di condividere, e dunque appoggiato.
In chiave geopolitica, l’apertura del Corridoio Sud per il gas è esattamente un «compito a casa» che gli Stati Uniti hanno chiesto all’Europa con il «Piano strategico» varato da Obama e condiviso dal Congresso, in cui per la prima volta dopo la fine della guerra fredda si definisce come una «priorità strategica il contrasto della crescente influenza della Russia nel mercato globale dell’energia». Per questo, gli Usa sottolineano la necessità di «impedire l’unione energetica di Russia ed Europa», favorendo in alternativa «la costruzione di gasdotti che partano dalle regioni del Mar Caspio e dall’Asia centrale verso l’Europa occidentale, aggirando la Russia».
Parole chiare, con conseguenze politiche ed economiche ormai evidenti. Il gasdotto italo-russo South Stream, prima vittima di questa strategia Usa, è praticamente morto e sepolto, con tanti saluti ai miliardi di euro che la Saipem (Eni) pensava di incassare con i lavori di posa dell’intera infrastruttura. Al suo posto, ecco entrare in scena da vincitore il Corridoio Sud, che nel linguaggio politico dell’Unione europea indica il gasdotto Trans-Adriatico Pipeline (Tap), destinato a collegare i giacimenti di gas del Mar Caspio (Azerbaijan) alla costa del Salento, passando per Georgia, Turchia, Grecia e Albania, e saltando la Russia di Putin. Un’infrastruttura che dal 2019 dovrebbe portare nell’Europa meridionale 10 miliardi di metri cubi di gas e sarà realizzata con il contributo dell’Unione europea, che ne ha già finanziato lo Studio di fattibilità e il Basic engineering, in quanto l’Ue considera il Tap un progetto prioritario in campo energetico e lo ha perciò inserito nel programma delle Reti Trans-Europee dell’Energia (noto con l’acronimo TEN-E), a cui saranno destinati robusti cofinanziamenti. La Guidi, nel suo intervento al Parlamento europeo, ha parlato di 5 miliardi di contributi in 7 anni per le reti TEN-E, a fronte di ben 200 miliardi di investimenti necessari per le infrastrutture energetiche dell’intera Ue.
Dunque, un piatto ricco sulla carta. Ma pur essendo tra i più solerti nel fare i «compiti a casa» chiesti da Obama nell’energia, l’Italia rischia di restare a digiuno, in quanto non fa parte né del consorzio Shah Deniz 2 che estrae il gas nel Mar Caspio, né di quello che dovrà realizzare il gasdotto. Per la verità, l’Eni faceva parte dello Shah Deniz 1, ma ne è uscito nel 2004; ora ne sono azionisti l’inglese Bp, la turca Tpao (che ha rilevato la quota azionaria della francese Total) e l’azera Socar. Quanto al gasdotto Tap, gli azionisti sono la norvegese Statoil (20%), l’inglese Bp (20), l’azera Socar (20), la belga Fluxys (16), la francese Total (10), la svizzera Axpo Holding (5) e la tedesca Eon-Ruhrgas (9).
Secondo voci non confermate dalle società interessate, la Total e la Eon-Ruhrgas starebbero meditando di uscire dal Tap, formalmente per diversificare le strategie di portafoglio. Ma secondo alcuni per tenersi alla larga dalle proteste degli ambientalisti italiani, che in Puglia – sotto l’insegna «No Tap» - hanno già messo in subbuglio sia la città di Melendugno (punto di approdo previsto del Tap), sia il settore della piccola pesca di San Foca, che ha denunciato alla Regione Puglia danni provocati dalla prime attività di prospezione in mare. E non è un caso se la Croazia, che già ci sta facendo concorrenza nelle esplorazioni nell’Alto Adriatico per la ricerca di giacimenti di gas, si sia offerta come approdo alternativo della pipeline Tap, e più in generale come hub del gas alternativo all’Italia. Il che, per il nostro Paese, costituirebbe una sconfitta duplice in un settore strategico come quello dell’energia: alla cancellazione del South Stream, si sommerebbe infatti anche la perdita del semplice approdo del Tap, con tanti saluti alla valenza strategica del Corridoio Sud, tanto decantata dal ministro Guidi al Parlamento europeo.
Tino Oldan, ItaliaOggi 6/9/2014