Carlo Bastasin, Il Sole 24 Ore 6/9/2014, 6 settembre 2014
LE PAURE DEI TEDESCHI DI PAGARE I DEBITI ALTRUI
Per due tedeschi su tre, la maggiore paura nella vita è di dover pagare un giorno i debiti degli altri europei. Più della guerra, della malattia, delle catastrofi naturali o dell’inflazione. I risultati di una ricerca pubblicata giovedì in Germania possono sembrare frutto di speciale paranoia, ma riflettono un fenomeno di rilevanza politica. Gli aiuti alla Grecia comportano perdite per tutti i contribuenti europei, con beneficio delle banche esposte (anche tedesche). Ma nel Paese "creditore di ultima istanza" la crisi dell’euro ha ingigantito paure che si sono oramai radicate nel linguaggio pubblico su cui media e politica costruiscono consenso e identità. In una tale arena chiusa, quando interviene per tamponare la crisi, la Bce non riesce a sciogliere le paure tedesche, ma anzi rafforza dinamiche di gruppo e visioni cospiratorie. Ieri per esempio alcuni giornali hanno definito il taglio dei tassi "un’espropriazione" dei risparmiatori tedeschi da parte di Mario Draghi.
Prima di liquidare come gretto lo scarso spirito cooperativo dei tedeschi, bisogna riconoscere che è stato il desiderio di non ripetere il passato a ispirare nel dopo guerra la forte etica dell’autosufficienza economica in Germania: vivere entro i propri mezzi è tuttora un codice etico che vale sia a livello individuale sia a livello collettivo. Il timore di un passato di crimini contro l’umanità, guerre, povertà e inflazione è la ragione storica dell’Europa, ma per i tedeschi è anche la fonte primaria della cultura dell’austerità che essi desiderano esportare al resto d’Europa in un esercizio paradossale di autosufficienza collettiva.
La difficoltà di comprensione tra tedeschi e italiani o francesi nasce dall’ambivalenza morale dell’etica dell’auto-responsabilità e dai suoi effetti pratici molto controversi. Chi contesta l’eccesso di austerità, per convincere i tedeschi deve farlo da una posizione di credibilità morale, in altre parole deve fare la propria parte.
Sembra un contro senso, ma i margini per riuscirci ci sono, come dimostrano i fattori di interdipendenza che spiegano i frequenti errori nelle previsioni economiche europee. Da tempo il Fondo monetario utilizza un indicatore di "incertezza" dell’euro area che mostra una correlazione forte, ma contro-intuitiva, con gli investimenti in Germania: più sembra a rischio l’euro e meno il tedesco investe a casa propria. Nella scelta razionale di un attore economico, l’autosufficienza nazionale soccombe di fronte
ai vantaggi dell’interdipendenza economica dell’area euro.
Sopraffatta però dalla retorica dell’Euro-Angst, l’importanza dell’interdipendenza economica dei Paesi europei non riesce a diventare un elemento di dibattito politico razionale. Nelle prossime settimane infatti il partito anti-europeo "Alternativa per la Germania" (AfD) otterrà nuovi successi in Brandeburgo e Turingia, dopo il 10% in Sassonia. Il suicidio del partito liberale rafforzerà chi nel partito della cancelliera sarà tentato di allearsi con AfD, una formazione che fatica a tener lontani da sé nostalgici nazionalisti e xenofobi. D’altronde tutta la politica tedesca si auto-compiace nel difendere gli elettori dai rischi esterni. Il rapporto con i partner europei è così poco fiduciario che il governo di Berlino, pur sapendo di dover stimolare gli investimenti in Germania, sta studiando costosi escamotage per farli finanziare dalle assicurazioni piuttosto che apparire "keynesiano" agli occhi degli altri governi.
Chi non vuole capire, può pensare che il problema europeo non sia la trappola della liquidità, ma la trappola della stupidità. Invece la spirale della sfiducia è un fenomeno reale che richiederebbe una profonda riflessione pubblica. In fondo anche il presidente Draghi, nell’annunciare giovedì l’ultimo credit easing ha ammesso che la sequenza delle politiche avrebbe dovuto vedere prima realizzate le riforme in Italia e Francia e poi gli stimoli fiscali o monetari. I media tedeschi hanno colto facilmente una contraddizione e l’hanno attribuita con malizia alle pressioni di Parigi e Roma. Così le riflessioni politiche italiane sulle responsabilità del governo nel realizzare le riforme, dovrebbero tener conto della interdipendenza politica europea, anziché attribuire le colpe all’esterno del Paese.
Tuttavia, nella logica tedesca della responsabilità individuale, in ragione della quale ognuno deve stare in piedi con le proprie gambe e non con quelle degli altri, è davvero intrinseca una grave contraddizione. La si può cogliere considerando i due principi a cui si appella pubblicamente la Bundesbank, che anche in queste ore alimenta un diffuso sentimento anti-europeo nell’opinione pubblica tedesca. Il primo principio è quello di mantenere aperta l’opzione che ogni Paese possa fallire, in modo che la politica monetaria non sia dominata dall’obbligo di accomodare le esigenze fiscali; il secondo principio è quello di assicurare la responsabilità individuale dei singoli Stati che invece cesserebbe in caso di mutualizzazione dei debiti. Entrambi sono principi degni di grande rispetto, ma purtroppo nell’area euro essi sono in contraddizione tra di loro: se uno stato fallisce contagia altri stati senza che essi ne siano responsabili. Ancora una volta, l’interdipendenza dell’euro area si dimostra un criterio ordinativo della società europea più forte dell’autosufficienza. Il fatto che un’importante istituzione come la Bundesbank non lo capisca, fa trapelare un vuoto culturale celato dietro il paravento etico. E ogni volta che si manifesta, questo vuoto mette in pericolo la credibilità della cooperazione europea.
Carlo Bastasin, Il Sole 24 Ore 6/9/2014