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 2014  settembre 05 Venerdì calendario

QUESTE PAGNOTTE FANNO GRIDARE AL MIRACOLO


«Non abbiamo che cinque pani e due pesci!» dissero a Gesù gli apostoli, innescando quel miracolo di moltiplicazione che sfamò cinquemila uomini «senza contare le donne e i bambini». Così leggiamo nel Vangelo secondo Matteo, ma il pane esisteva ben prima che i discepoli ne raccontassero il versante miracoloso. «Il pane è più antico della scrittura e del libro», dice lo scrittore croato Predrag Matvejevic in Pane nostro: la sua origine si perde in quella dell’agricoltura e della coltivazione dei cereali. Così, oltre a essere cibo è un archetipo di civiltà, di guerra e pace, di fortuna o sfortuna, di fame e abbondanza: è simbolo della vita stessa. Così scrive Renzo Pellati in La storia di ciò che mangiamo: «Il popolo che, secondo Erodoto, “fece ogni cosa in modo diverso dai comuni mortali” e diede un contributo enorme alla civiltà usando il grano in modo differente fu il popolo egiziano: mentre altri popoli temevano che il loro cibo si corrompesse, essi mettevano in disparte la loro pasta finché si alterava e osservavano con piacere il processo che avveniva. Era il processo della fermentazione».
In ogni caso, prima che nascesse la preghiera più famosa della storia – «dacci oggi il nostro pane quotidiano» – il pane esisteva persino ad Altamura. Ed era già particolarmente buono. Siamo nell’anno 37 a.C. e, nella V Satira del I libro, Orazio scrive a proposito del territorio murgiano: «Ma vi si trova un eccellente pane,/ Tal che in uso ha l’accorto viaggiante / Di caricarne il dorso».

Timbro di famiglia. L’attività di panificazione di Altamura è poi confermata negli Statuti municipali della città, redatti nel 1527, in cui si legge dei “Dazi del Forno”. Nel paese, per la cottura del pane ci si serviva dei forni pubblici (uno dei più antichi, tuttora funzionante, è quello di Santa Chiara, la cui costruzione risale al 1423), dal momento che ai cittadini era fatto divieto di cuocere nelle proprie case, pena il pagamento di una multa pari a un terzo del valore complessivo della panificazione. Le donne, dunque, impastavano il pane a casa, preparavano pagnotte di grandi dimensioni, cinque o dieci chili ciascuna, cui davano la forma poi rimasta nella tradizione (detta “u sckuanète”), e andavano a cuocerlo presso i forni a legna pubblici. Per evitare confusioni, ogni pagnotta veniva marchiata con un timbro di ferro riportante le iniziali del capofamiglia proprietario del pane. Ciascuna famiglia altamurana aveva il proprio timbro. A cottura avvenuta, il fornaio provvedeva a distribuire le pagnotte casa per casa, trasportandole su un lungo asse di legno. Il suo compenso consisteva in un pezzetto di pasta cruda (il cosiddetto “cecì”) che, mescolato ad altri, sarebbe servito il giorno successivo per la preparazione di nuove pagnotte. Il pane che oggi si prepara ad Altamura è diretto discendente di quel pane medievale, rustico, con un impasto la cui ricetta è stata tramandata da contadini e pastori.

Da Caravaggio a Manzoni. Mentre ad Altamura la tradizione lo fissava in un canone immutabile, il pane veniva rappresentato in forme sempre diverse nelle varie espressioni artistiche ed era protagonista di importanti snodi della nostra storia. C’è il pane dipinto da Caravaggio in La cena in Emmaus e c’è quello al centro di un capitolo de I Promessi Sposi, con Renzo che assiste al “tumulto di San Martino”, la sommossa dell’11 novembre 1628 provocata da un inaccettabile rincaro del prezzo del grano. Ma le “rivolte del pane” furono innumerevoli: da quella di Fermo nel 1648, causata dal trasferimento delle riserve granarie a Roma, a quella di Fano nel settembre del 1791, quando le donne saccheggiarono un magazzino di grano per protesta verso un aumento immotivato dei prezzi e diedero avvio a una serie di tumulti che si propagarono nelle città vicine. A Milano, nel 1898, la “protesta dello stomaco” cominciò a causa del rincaro dei prezzi del pane e terminò nella sanguinosa repressione di Bava Beccaris; nel 1944, la “strage del pane” di Palermo fu un eccidio di donne e bambini che protestavano per la fame e invocavano “pane e lavoro”. Oggi, nel nostro mondo occidentale sazio benché afflitto da crisi, si vive una rivolta al contrario, quella contro il pane. Scrive Matvejevic: «Per lungo tempo, e da qualche parte fino a oggi, il pane è stato il principale alimento dell’uomo. Quello che ci si mangiava insieme era un’aggiunta, un accessorio: il companatico. I ruoli sono mutati: il pane nei tempi nuovi è diventato sempre più un contorno. È una delle differenze da cui il mondo dei poveri si distingue da quello dei ricchi: i primi ne vogliono sempre di più, gli altri vi rinunciano volentieri».
Causa crisi, ma soprattutto dieta e smania di magrezza e cambiamento di abitudini alimentari, stando ai dati dello studio “Il pane quotidiano nel tempo delle rinunce”, presentato da Coldiretti al Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione di Cernobbio l’ottobre scorso, nel nostro Paese il consumo di pane è sceso ai minimi storici dai tempi dell’Unità d’Italia. Per la prima volta è stata servita in tavola nel 2013 meno di una fetta di pane a pasto pro capite (98 grammi al giorno), mentre nel 1861 si mangiavano ben 1,1 chili di pane a persona al giorno.
Oggi, dunque, il miracolo della moltiplicazione quantitativa dei pani sarebbe sprecato; ma a quella qualitativa ha pensato il mercato. «È un miracolo economico», scrive Marino Niola in Non tutto fa brodo, «che ha progressivamente trasformato l’alimento per antonomasia, il minimo vitale della sussistenza, in uno sterminato catalogo di fantasie da forno. Forme e pezzature sempre più minute, sempre più ricercate. Con buona pace del pane comune, sopraffatto da uno tsunami di pani speciali».
Al di là delle nuove interpretazioni del pane e dei suoi surrogati, sono oltre 300 le varietà di pani tradizionali presenti in Italia. Tra queste, il pane di Altamura è stato il primo in Europa a ricevere, il 19 luglio del 2003, il riconoscimento del marchio Dop. L’Altamura Dop è ottenuto dalla semola rimacinata di grano duro. Il disciplinare di produzione prevede che i grani impiegati siano delle varietà appulo, arcangelo, duilio, simeto e che vengano prodotti, almeno per l’80%, all’interno di una specifica area dell’Alta Murgia, comprendente i territori di Altamura, Gravina di Puglia, Poggiorsini, Spinazzola e Minervino Murge.
La preparazione del pane di Altamura è suddivisa in cinque fasi: impastatura, formatura, lievitazione, modellatura, cottura nel forno. Dal tradizionale metodo di panificazione deriva anche l’uso del lievito madre. In particolare, per 1 quintale di semola rimacinata di grano duro la ricetta prevede l’uso di 20 chili di lievito naturale, 2 chili di sale marino, 60 litri di acqua alla temperatura di 18 °C. Le pagnotte sono ancora oggi prodotte secondo due forme tradizionali: oltre alla “u sckuanète” – forma alta, con la pasta accavallata su se stessa e senza baciatura ai fianchi (la “cicatrice” delle pagnotte cotte in sequenze incollate) – c’è quella denominata “a cappidde de prèvete” (a cappello di prete): più bassa e senza baciature. Il peso delle pagnotte varia dai 500 grammi ai 2 chili. Lo spessore della crosta non deve essere inferiore a 3 millimetri.

A proposito di salute. Ad Altamura, produttori agricoli, molitori e panificatori si sono riuniti nel Consorzio per la valorizzazione e la tutela del pane di Altamura Dop, che ha il compito di tutelare da contraffazioni e valorizzare questa antica produzione. Soprattutto, verrebbe da dire, tutelarla da noi stessi e da consumi e fobie contemporanee. Per questo, i produttori puntano sulle proprietà nutritive del pane, che è noto per la sua alta digeribilità e povertà di grassi (0,1% di grassi su 100 grammi di prodotto). E anche sulla sua conservabilità, dato che è possibile consumarlo anche quattro o cinque giorni dopo l’acquisto. Ideale dunque come souvenir gastronomico (1 italiano su 4 è tornato dalle vacanze con un prodotto tipico, dice Coldiretti), se solo si riuscisse a intercettare nella città di Altamura il flusso turistico di chi rientra dalle vacanze nel Salento, in barba a quanto scrisse lo storico dell’arte Cesare Brandi durante il suo famoso viaggio in Puglia: «E fu la volta di Altamura. Quante volte avevo fantasticato su questo bellissimo nome e su certi particolari della Cattedrale. Ma fu una visita deludente». Elogia «il più bel Diluvio in atto della storia dell’arte» raffigurato sul portale di San Niccolò dei Greci, tuttavia trova decisamente rozza l’Arca sul monte Ararat, scolpita sul medesimo portale «Così come è, ad Altamura, potrebbe anche essere fatta colla pasta di pane: quasi non ha epoca, o ha tutte le epoche, come i disegni dell’infanzia». Senonché, di questi tempi, potrebbe essere proprio il pane a riabilitare Altamura come meta della crescente massa dei gastropellegrini. Miracoli moderni.

11 - continua