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 2014  settembre 04 Giovedì calendario

LA CALIFORNIA È TORNATA A CORRERE

E pensare che nel 2009 Arnold Schwarzenegger piangeva miseria: «II nostro portafoglio è vuoto, la nostra banca è chiusa, il nostro c’redito è prosciugato». Così il governatore della California descriveva la situazione finanziaria della prima economia americana, nonché ottava del mondo. Motivo: un buco da oltre 11 miliardi di dollari aveva mandato lo stato a un passo dalla bancarotta.
La proposta di Schwarzenegger di tagliare drasticamente la spesa e aumentare le accise su benzina e tabacchi aveva permesso di prolungare l’agonia, ma non di rimettere in sesto il bilancio. Tanto che il suo successore democratico Jerry Brown aveva poi messo i californiani davanti a un bivio: votare un aumento delle tasse o dichiarare bancarotta. Nel novembre 2012, la maggioranza dei cittadini aveva votato il piano di aumenti fiscali per i redditi oltre 250 mila dollari, accompagnato da un aumento progressivo del salario minimo: 9 dollari l’ora, che diventeranno 10 nel 2016.
Oggi la California non ha risolto tutti i suoi problemi, ma è uscita dal rischio del default che l’accompagnava dal 2007, quando era esplosa la crisi immobiliare, a II governatore Brown ha firmato il primo surplus di bilancio dal 2007 (+1,9 miliardi) e con le sue misure fiscali drastiche ha raggranellato per l’anno in corso 4,9 miliardi. La disoccupazione è al 7,8 per cento, oltre un punto e mezzo in più rispetto alla media nazionale, ma negli ultimi 2 anni è calata di 2 punti percentuali, a contro 1’1,5 per cento del resto d’America.
II mercato immobiliare, da cui tutte le grane sono iniziate, è sorprendentemente in salute. Nonostante l’esplosione della bolla del mattone, le case in California valgono ancora il doppio rispetto alla media nazionale. La riemersione della California dalla palude del default è una vittoria per gli economisti keynesiani, che a invocano più tasse per uscire dalla crisi. «Il successo della California è la dimostrazione che l’ideologia estremista che domina molta politica americana non ha senso» ha scritto il loro decano, Paul Krugman. (Mattia Ferraresi da New York)