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 2014  settembre 05 Venerdì calendario

Genova - Se il premio Sciascia è stato vinto da un mafioso - il killer della Stidda Giuseppe Grassonelli -, l’Acqui Storia potrebbe andare a un intellettuale che non ha mai fatto mistero delle proprie inclinazioni di estrema destra, Piero Buscaroli

Genova - Se il premio Sciascia è stato vinto da un mafioso - il killer della Stidda Giuseppe Grassonelli -, l’Acqui Storia potrebbe andare a un intellettuale che non ha mai fatto mistero delle proprie inclinazioni di estrema destra, Piero Buscaroli. Un paradosso altrettanto stridente se pensiamo che il premio è stato istituito in memoria dell’eccidio nazista della divisione Acqui a Cefalonia. Paradosso per paradosso, perché non assegnare il premio Ilaria Alpi a un trafficante d’armi, in fondo anche Rimbaud non era del ramo? E dare a Buscaroli direttamente il Viareggio? Visto che il fondatore del premio, Leonida Répaci, ha subito negli anni ’50 un processo per pubblicazioni oscene, dopo l’uscita di una durissima stroncatura di Buscaroli al suo romanzo “Il deserto del sesso”. Nella recensione (“Sinistra sporcacciona”) venivano presi di mira molti altri autori finiti alla sbarra in quel periodo, da Testori a Milena Milani, passando per Pasolini. Buscaroli si rammaricava di come fosse facile cavarsela per questi pornografi politicizzati: un processo, qualche testimonianza e tutto finisce lì. Eh sì un vero affare! Forse non è eccessivo affermare che questo sia l’annus horribilis dei premi. Prima uno Strega dove la vittoria di Francesco Piccolo era prevista, con quel titolo che sembra inneggiare al conformismo: “Il desiderio di essere come tutti”. Poi il Bancarella finito a Giuseppe Sgarbi, esordiente novantenne, padre di Elisabetta – editor Bompiani - e Vittorio, nonché autore di un memoir intitolato “Lungo l’argine del tempo” (Skira). Poteva passare al Campiello, ma nella categoria esordienti non ce l’ha fatta e in quella principale neppure, con grande scorno di Vittorio che ha strepitato per l’occasione persa. Da parte del Campiello, naturalmente. A che servono i premi in Italia? A sancire i rapporti di forza, l’abilità strategica delle lobby letterarie? Una messinscena machiavellica dove la mondanità fa da contorno a manovre da salotto intellettuale? Milan Kundera parlava di kitsch del socialismo reale. Da noi esiste un kitsch democristiano o post-democristiano di trame sempiterne, che si è sedimentato nel dna e si declina in vari modi. Nei premi letterari il vincitore viene imposto da rapporti di forza, come nei concorsi universitari. Da che pulpito poi si pretende di fare le pulci ai politici o la predica? Il conflitto di interessi non riguarda solo Berlusconi e bisognerebbe legiferare anche in ambito culturale. Si manovra dietro e davanti le quinte senza preoccuparsi di eventuali cadute di stile. Luciano Canfora, influente membro della giuria del premio Viareggio, non si fa alcun problema a presentare a Milano il libro che tutti sapevano sarebbe stato il vincitore per la saggistica e cioè “La Ghirlanda fiorentina”, di Luciano Mecacci (Adelphi). E proprio mentre la giuria stava valutando. A questo punto, per essere coerente, devo denunciare il mio conflitto di interessi. Anche io sono stato selezionato al Viareggio, sempre nella categoria saggistica, senza entrare nella terna nella quale hanno pescato il previsto Supervincitore Mecacci. Mi è comunque servito a rendermi conto di come funzionano o non funzionano i premi. Del resto il mio libro sui processi agli scrittori – compreso quello toccato a Répaci -, intitolato “Maledizioni”, ha subìto (per dire le cose fino in fondo) la concorrenza di un altro titolo dello stesso editore (Aragno): “I fascisti di sinistra”, di Massimo Raffaeli. Che è passato in terna, evidentemente sostenuto dall’editore. Mi ha stupito scoprire che un premio non prenda in considerazione libri pubblicati, recensiti eccetera. Libri di cui si parla, in giro da tempo. Ma pure la raccolta di articoli di Raffaeli, che dalla scheda anagrafica delle librerie risulta uscita a giugno (il termine del premio per la pubblicazione è il 30 aprile). La prima recensione (sul Manifesto), a guardare il sito dell’editore, risale al 24 giugno. La selezione era avvenuta da un mese. Conflitti di interesse a parte, ci vorrebbe una moratoria per i premi. Il pubblico, che non sempre si avvede dei retroscena, ha diritto a non essere preso per i fondelli. Al limite si istituisca un riconoscimento per il più bravo lobbista editoriale e si lasci libero il resto del paesaggio. Chessò: la Spintarella d’oro, il Leone della pressione, Il tafano telefonico di platino, Il Cencelli di Gutenberg.