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 2014  settembre 04 Giovedì calendario

«VI DICO CHE UN PO’ DI TORTURA CI VUOLE»

Sveglia alle cinque, caffè e jogging per le strade di Georgetown a Washington. Ogni mattina, per 34 anni, John Rizzo ha iniziato così le sue giornate prima di oltrepassare in auto il Potomac per raggiungere l’ufficio al settimo piano del quartier generale della Cia a Langley, in Virginia. Ora che di anni ne ha 66, Rizzo, in pensione dal 2009, ha condensato in un memoir dal titolo Company Man la lunga carriera di avvocato della principale agenzia di spionaggio americana. E sulla stampa internazionale tiene banco la sua difesa, politicamente scorrettissima, della «guerra al terrore» dopo l’11 settembre 2001. Rizzo giustifica interrogatori «rafforzati » e detenzioni clandestine contro i capi di al Qaeda. «Da un uomo morto non si raccoglie niente» spiega a Panorama il legale di origini italiane. «Mio padre era un muratore napoletano emigrato oltreoceano negli anni Venti, sesto di otto figli. Ha vissuto il sogno americano diventando un manager affermato e dando a me e alle mie sorelle la possibilità di studiare. È morto nel ’96 a 83 anni senza mai dimenticare le sue umili origini». Ugualmente inarrestabile la scalata del figlio ai vertici dell’ufficio legale della Cia, dove è arrivato a 28 anni spinto «da un atto di fede». Nei successivi 34, ammette, «sono riuscito a salire più in alto di qualsiasi altro avvocato dell’agenzia».
L’autostima non manca all’elegante professionista con un debole per l’alta moda («Adoro Giorgio Armani, Ermenegildo Zegna e Ralph Lauren»). In ogni apparizione pubblica, quando gli vengono rinfacciate le pratiche di waterboarding contro i detenuti di Guantanamo o le prigioni segrete denominate black sites, Rizzo risponde serafico, con l’immancabile cravatta gialla. È un osso duro. Non è difficile, gli dico, far parlare di sé con un libro che difende la tortura. «Io non difendo la tortura. La Cia diede il via libera al programma potenziato di interrogatori (Enhanced interrogation program, Eip, ndr) soltanto dopo che io ottenni per iscritto dal dipartimento Giustizia la garanzia della sua totale compatibilità con il divieto di tortura. Io difendo il duro lavoro dei professionisti dell’agenzia, che hanno dovuto assumere decisioni rischiose per proteggere la patria in un periodo di crisi nazionale e paura». Secondo diverse fonti, i terroristi dell’Isis avrebbero praticato il waterboarding sul reporter americano James Foley prima di decapitarlo. Al Baghdadi, leader del cosiddetto Califfato, è stato detenuto a Guantanamo. «Gli attentati dell’11 settembre sono avvenuti prima che qualunque operazione di waterboarding da parte del governo Usa avesse luogo. L’inasprimento dei nostri metodi di interrogatorio è stato una conseguenza di quell’attacco al cuore del nostro paese e dell’Occidente».
Nel 2009 Barack Obama, che Rizzo dichiara di aver votato due volte, interrompe il controverso programma della Cia. «Essendo ben noto il ruolo da me ricoperto nell’Eip, ho ritenuto opportuno andare in pensione lo stesso anno anche se il nuovo direttore dell’agenzia, Leon Panetta, mi ha chiesto di proseguire per alcuni mesi al fine di assicurare una graduale transizione». Secondo la New America Foundation, rispetto all’amministrazione Bush jr gli attacchi con droni sono quintuplicati sotto il comando di Obama. «La missione principale della Cia è la human intelligence, ovvero la raccolta di informazioni da persone vive. Un programma che si limita a uccidere piuttosto che a catturare e a interrogare non aiuta a svelare piani e intenzioni dei terroristi». Perché le organizzazioni per i diritti umani che hanno montato una massiccia campagna contro gli interrogatori «rafforzati» non osteggiano con ugual vigore l’uso obamiano dei droni? «È una palese contraddizione. Come se fosse più morale e umano braccare un terrorista e annientarlo, magari colpendo anche degli astanti innocenti, piuttosto che catturarlo e interrogarlo in modo aggressivo».
L’eliminazione di Osama Bin Laden ad Abbottabad nel 2011 sarebbe stata possibile senza gli interrogatori brutali della Cia? «Se si tornasse indietro al post 11 settembre, prenderei le stesse decisioni. Non potevo permettere una seconda ondata di attacchi sul suolo americano. Abu Zubaydah, catturato nel 2002, e Khalid Sheikh Mohammed, fermato l’anno dopo, si sono rivelati molto produttivi. A piegare il secondo, architetto dell’11 settembre, non fu tanto l’annegamento quanto la privazione del sonno». Rizzo non cede di un millimetro. Gli epiteti poco lusinghieri a lui rivolti da numerose associazioni umanitarie paiono non sfiorarlo.
Quegli attivisti possono criticarlo perché vivono in un paese libero, e questo è per lui motivo d’orgoglio. Mr Rizzo, gli occidentali hanno compreso l’entità della minaccia rappresentata dal terrorismo islamico? «I cittadini americani hanno ben chiara la posta in gioco. Il problema è che, man mano che il ricordo dell’11 settembre si allontana nel tempo, certi politici e commentatori sottovalutano il pericolo». Lei sembra un uomo senza rimorsi. «Ne ho uno soltanto. All’indomani dell’11 settembre avrei dovuto pretendere con più forza dalla Cia e dalla Casa Bianca che informassero un maggior numero di parlamentari del programma potenziato. Tenerlo segreto a così tante persone per un lasso di tempo così lungo è stato un errore».
Obama dichiara di non avere una strategia contro l’Isis in Siria. Che succede? «Eccezion fatta per la coraggiosa operazione letale contro Bin Laden, a oggi Obama è parso incapace di formulare una strategia coerente negli affari esteri e di sicurezza nazionale. A mio avviso, non è assistito da un team all’altezza: quelle attorno a lui sono perlopiù persone poco scaltre oppure agenti operativi inesperti che devono a lui la propria carriera. Noto con rammarico che alcuni capi di governo europei e mediorientali sembrano avere una capacità di comprendere e affrontare le nuove minacce superiore a quella del mio governo». La mano destra ripone il sigaro ormai spento. «Se per lei va bene, mi congederei. Ho promesso a mia moglie di accompagnarla a fare commissioni».