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 2014  settembre 05 Venerdì calendario

Notizie tratte da: Lytton Strachey, Elisabetta e il conte di Essex, Castelvecchi Roma 2014, pp. 238, 11,05 euro

Notizie tratte da: Lytton Strachey, Elisabetta e il conte di Essex, Castelvecchi Roma 2014, pp. 238, 11,05 euro.

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• Robert Devereux, conte di Essex. Nacque nel 1567. Nove anni dopo, alla scomparsa del padre, il ragazzo divenne l’erede di un’illustre casata e il più povero conte d’Inghilterra.

• Suo padre fu nominato conte di Essex da Elisabetta ed era il discendente di tutte le grandi famiglie dell’Inghilterra medievale: il conte di Huntingdon, il marchese di Dorset, i lord Ferrers, i Bohun, i Bourchier, i River, i Plantagenet. Una delle antenate, Eleonor de Bohun, era sorella di Maria, moglie di Enrico IV; un’altra, Anne Woodville, era sorella di Elisabetta, moglie di Edoardo IV; e attraverso la parentela con Thomas Woodstock, duca di Gloucester, la famiglia faceva risalire il proprio ceppo a Edoardo III.

• La nonna di Lettice Knollys, madre di Essex, era sorella di Anna Bolena; la regina Elisabetta, quindi, era cugina della nonna del giovane Robert.

• Quando Lettice sposò Robert Dudley, conte di Leicester, Essex divenne suo figliastro.

• A dieci anni Essex fu mandato al Trinity College di Cambridge, dove quattro anni dopo, nel 1581, conseguì il diploma di master of arts. Trascorse l’adolescenza in campagna, nei vari possedimenti della famiglia nell’ovest: a Lanfey nel Pembrokeshire, o, più spesso, a Chartley nello Staffordshire.

• Essex, che adorava cacciare, ma gli piaceva anche leggere. Scriveva correttamente il latino e padroneggiava perfettamente l’inglese; sarebbe potuto essere un dotto, se non fosse stato un nobile di temperamento così vivace.

• Essex aveva diciott’anni quando Leicester, mandato in Olanda con un esercito, lo nominò generale di cavalleria.

• Nella carica di Zutphen, Essex fu tra i più valorosi e in seguito Leicester lo consacrò cavaliere.

• A corte Essex aveva affascinato la regina Elisabetta: lei aveva cinquantatré anni, lui meno di venti.

• Il regno di Elisabetta (dal 1558 al 1603) si divide in due parti: i trent’anni che precedettero la disfatta dell’Armada spagnola, e i quindici che la seguirono.

• Elisabetta, che sopravvisse perché seppe affrontare gli eccessi che la circondavano grazie ai propri eccessi di furbizia e prevaricazione.

• Elisabetta, che mentre per l’ambasciatore spagnolo era posseduta da diecimila diavoli, per l’inglese comune era una regina secondo i propri gusti. Bestemmiava, sputava, dava pugni quando era arrabbiata, mentre quando si divertiva, rideva a squarciagola.

• I talenti di Elisabetta: padroneggiava sei lingue oltre alla sua ed era una studiosa di greco, aveva una stupenda calligrafia, era una musicista eccellente, una buona conoscitrice di pittura e di poesia e danzava perfettamente. La sua proprietà di dialogo, che faceva sfoggio non solo di umorismo ma anche di eleganza e di spirito, rivelava un senso sociale infallibile, un’affascinante sensibilità di percezione.

• Elisabetta, alta e ossuta, soffriva di qualche debolezza fisica: i reumatismi la tormentavano; emicranie insopportabili la costringevano a letto in preda ai gemiti; un’orribile ulcera le rovinò l’esistenza per anni.

• Elisabetta, che andava a caccia e danzava senza mai stancarsi, e le piaceva stare in piedi.

• Elisabetta aveva una sessualità distorta.

• Quella volta che, negli anni della prima infanzia, per festeggiare la morte di Caterina d’Aragona, vestito di giallo dalla testa ai piedi eccetto una piuma bianca sul berretto, suo padre l’aveva condotta a messa fra un tripudio di trombe, e al culmine della gioia l’aveva presa in braccio e mostrata a un cortigiano dopo l’altro.

• Elisabetta aveva due anni e otto mesi quando il padre decapitò sua madre.

• Quando Elisabetta non aveva ancora quindici anni e viveva nella casa della matrigna, Katherine Parr, sposata in seconde nozze con il lord ammiraglio Seymour, fratello di Somerset, il tutore del re. L’ammiraglio era un bell’uomo, affascinante e avventato, e si divertiva a spese della principessa. Piombava nella sua camera di mattina presto, le si buttava addosso mentre lei era ancora a letto o appena alzata, scoppiava a ridere e l’afferrava tra le braccia facendole il solletico, dandole delle manate sul sedere e pronunciando frasi scurrili. La faccenda continuò parecchie settimane, finché Katherine Parr, a cui era giunta la voce, non mandò Elisabetta ad abitare da un’altra parte. Pochi mesi dopo Katherine moriva, e l’ammiraglio propose a Elisabetta di sposarlo. Era un uomo ambizioso e contava di rafforzarsi contro il fratello alleandosi al sangue reale. Ma i suoi intrighi vennero a galla e fu gettato nella Torre di Londra.

• Quando si mormorava che Elisabetta fosse «incinta del lord ammiraglio» e lei scrisse in una lettera che questa era una «calunnia vergognosa» e pregava di ottenere il permesso di recarsi in tribunale dove tutti avrebbero constatato che non era vero.

• Dato che la cattolica Maria di Scozia era l’erede in successione al trono d’Inghilterra, la causa protestante pendeva dal filo della vita di Elisabetta, finché fosse rimasta nubile. Ma la regina era di un altro parere. Il matrimonio non era di suo gusto e non intendeva sposarsi. Per più di vent’anni, fin quando l’età non la liberò dalla questione, resistette alle pressioni.

• Elisabetta, che la natura aveva dotato di una sensualità così irrefrenabile da essere sempre palese e certe volte addirittura scandalosa. I begli uomini le procuravano un piacevole turbamento. La passione per Leicester la fece da padrona per tutta la durata della sua esistenza, fino all’ultima ora della vita di lui.

• Tra gli altri uomini nel firmamento della regina: Hatton con la sua figura slanciata, così attraente quando danzava la gagliarda; il bel Heneage; De Vere, l’ardito re dei tornei; il giovane Blount, con «i capelli castani, un viso dolce, una compostezza signorile, l’alta persona», e quel rossore che quando l’occhio di Sua Maestà era fisso su di lui, si diffondeva meravigliosamente sulle guance.

• Gli avversari cattolici, che insinuavano falsamente che lei era senz’altro l’amante di Leicester, e che da lui aveva avuto un figlio, tenuto nascosto.

• Secondo l’opinione di Feria, ambasciatore spagnolo, che compì indagini accurate (e poi le riferì a re Filippo), Elisabetta non poteva avere figli. Se le cose stavano davvero così, oppure se Elisabetta ne era convinta, avere un marito e non avere figli voleva dire solo farle perdere la sua supremazia senza ricevere nulla in cambio: la successione protestante non sarebbe stata più sicura, e lei avrebbe avuto lo scomodo di essere oppressa per sempre da un padrone.

• Elisabetta, che molto probabilmente provava un profondo disgusto nell’atto decisivo del rapporto sessuale e che determinava, quando si avvicina l’eventualità, uno stato di agitazione isterica accompagnata talvolta da un intenso dolore fisico.

• Da ragazza, Elisabetta era stata attraente; per molti anni rimase una bella donna; poi ogni traccia di bellezza scomparve e i lineamenti divennero duri, i colori falsati, e una certa intensità grottesca.

• Elisabetta in passato si era accontentata del devoto omaggio dei suoi coetanei, ma dai giovani che la circondarono negli anni della maturità pretese – e ottenne – le espressioni di una passione romantica.

• Quando il conte di Essex arrivò a corte Elisabetta dimenticò tutto il resto.

• Sir Walter Raleigh, trentacinque anni, figlio minore di un signorotto delle contee dell’ovest, che in pochi anni aveva ottenuto ricchezza e potere: gli erano piovuti addosso privilegi e monopoli; era diventato proprietario di grandi tenute in Inghilterra e in Irlanda; governatore delle miniere di stagno, lord luogotenente della Cornovaglia, baronetto e viceammiraglio.

• Proprio quando Raleigh aveva creduto che il capriccio della regina si stesse fissando su di lui e la decadenza di Leicester sembrava aprirgli la via verso un avvenire pieno di trionfi, Essex giunse sulla scena col suo fascino d’adolescente, conquistando subito il cuore di Elisabetta.

• Quando la regina impedì a Essex di partire per contrattaccare la Spagna e preparare un assalto a La Coruña per impossessarsi di Lisbona. Lui non prestò ascolto a quell’ordine e, lasciando Londra a cavallo giovedì sera, giunse a Plymouth il sabato mattina: duecentoventi miglia di viaggio. Si imbarcò immediatamente con un distaccamento di truppe comandate dal veterano sir Roger Williams, e veleggiò verso le coste della Spagna. Elisabetta era furiosa.

• Quando la spedizione tornò in Inghilterra, Essex si riappacificò subito con la regina.

• Quella volta che Elisabetta aveva mandato una regina d’oro della propria scacchiera a Charles Blount, un bel giovane che aveva mostrato le sue capacità durante i tornei, e lui aveva legato il dono al braccio con un nastro scarlatto. Quando lo vide, Essex domandò di cosa si trattasse, e appena saputo esclamò: «Ora capisco! Non c’è sciocco che non possa contare su qualche favore!». Ne seguì un duello sui prati di Marylebone, e Essex rimase ferito. «Perdio!», esclamò Elisabetta. «Era ora che qualcuno lo stendesse a terra e gli desse una lezione».

• Poi la regina insistette perché i due giovani si riconciliassero e Blount divenne uno dei più devoti seguaci di Essex.

• Essex era uno spendaccione: il suo debito ammontava a più di ventimila sterline, e la regina gliene prestò tremila per soddisfare i suoi bisogni. Poi, all’improvviso, pretese di essere rimborsata all’istante. Prima Essex la supplicò di concedergli una proroga, dopo, ottenuto un rifiuto, dichiarò la propria sottomissione e devozione.

• Quando la regina seppe che Essex si era sposato, si arrabbiò solo per quindici giorni.

• Essex aveva sposato la vedova di sir Philip Sidney, figlia di sir Francis Walsingham.

• William Cecil, lord Burghley, che fin dall’inizio del regno aveva rivestito il ruolo di primo ministro. Suo figlio Robert, nel 1590, divenne di fatto il principale segretario della regina.

• Lord Burghley era anche lo zio di Anthony e Francis Bacon. Alla fine, i Bacon decisero di abbandonare l’alleanza con lo zio e legarono il proprio destino a quello di Essex.

• Francis Bacon, completamente dominato dalla sua intelligenza. Ne era affascinato, non sapeva resisterle, doveva seguirla ovunque lo conducesse.

• Raleigh cadde in disgrazia e fu imprigionato a causa della sua relazione amorosa con Elizabeth Throckmorton, damigella d’onore della regina, che aveva mandato quest’ultima su tutte le furie.

• Con i Bacon a coprirgli le spalle, Essex si mise in luce come ministro e uomo di Stato. Non mancava mai alle riunioni del Consiglio; quando la Camera dei Lord era in sessione, prendeva posto fin dall’apertura delle sedute, alle sette del mattino.

• Rimasto vacante il posto di attorney general, Essex dichiarò subito che doveva essere Francis Bacon a occuparlo e iniziò a fare pressioni alla regina, ma dopo la Pasqua del 1594, Elisabetta diede la nomina a Edward Coke, sostenuto dai Cecil.

• Francis Bacon era uno scialacquatore. Era così schizzinoso che, non riuscendo a sopportare l’odore del cuoio comune, faceva calzare a tutti i suoi servi scarpe di pelle spagnola.

• Bacon, che penava per procurarsi un tipo speciale di birra leggera, l’unica ad essere tollerata dal suo palato.

• Il dottor Lopez, giustiziato perché considerato un traditore. Era un ebreo portoghese che, esiliato dall’Inquisizione, era arrivato in Inghilterra all’inizio del regno di Elisabetta e si era stabilito a Londra in qualità di medico. Ebbe una carriera brillante. Era diventato dottore interno all’ospedale di San Bartolomeo, era riuscito a crearsi una vasta clientela nell’alta società (Leicester e Walsingham erano suoi pazienti) e fu nominato primo medico della regina.

• Antonio Perez, fuggito dalla Spagna nelle circostanze più burrascose. Primo segretario di Stato di Filippo, aveva litigato col suo sovrano in merito a un certo omicidio; rifugiatosi nella città natale di Saragozza, era stato poi arrestato dall’Inquisizione su istigazione del re. Pazzo d’ira nella prigione, si era permesso di insultare non solo il re, ma anche Dio: «Dio dorme! Dio dorme!», aveva esclamato; e le sue parole erano state sentite e annotate. Condannato al rogo come eretico, fu liberato dagli insorti del popolo di Saragozza, che invasero la prigione e uccisero a bastonate il governatore regio. Perez fuggì così in Francia.

• Perez, entrato nelle grazie di Essex e di re Enrico, ma poi caduto in disgrazia. Non fu più ricevuto a corte e i Cecil non gli rivolsero più la parola. Disperato, cercò rifugio presso Anthony Bacon, che fu freddo con lui. Tornò in Francia e, molti anni dopo, morì in una soffitta parigina, consumato dall’età e dalla miseria.

• Robert Cecil, nominato segretario della regina, aveva un portamento curvo e contorto.

• Essex, glorioso e trionfante al ritorno dalla spedizione a Cadice. Ma Elisabetta, invece di accoglierlo estasiata, lo ricevette infastidita. Doveva essere successo qualcosa che l’aveva fatta infuriare: il denaro. Aveva versato cinquantamila sterline e in cambio aveva ricevuto soltanto nuove richieste di fondi per saldare la paga ai marinai. Ed Essex era considerato il responsabile.

• Gli spagnoli ammisero di essere stati spogliati di parecchi milioni, mentre la stima ufficiale del bottino arrivato in Inghilterra non toccava le tredicimila sterline.

• Erano stati portati da Cadice un buon numero di ostaggi ricchi, e la regina annunciò che l’ammontare dei rispettivi riscatti sarebbe finito nelle sue tasche. Essex si alzò per protestare che, in quel modo, i soldati ci avrebbero rimesso la ricompensa dovuta, ma la regina non volle ascoltarlo. Disse che era colpa unicamente dei generali, se il bottino non era stato più ingente.

• Alla regina non piaceva affatto l’aura di popolarità che circondava il conte: solo lei poteva goderne. Quando venne proposto di celebrare sacre funzioni di ringraziamento in tutto il Paese per la vittoria di Cadice, Sua Maestà diede ordine che tali celebrazioni si limitassero a Londra. Si irritò al sentire che, in un sermone nella cattedrale di Saint Paul, Essex era stato paragonato ai più grandi condottieri del passato, e che «giustizia, saggezza, valore e nobiltà di condotta» del conte erano stati elevati alle stelle.

• Essex era incapace di fingere. Henry Cuffe diceva di lui: «Non sa nascondere nulla. Ha scritto in fronte chi ama e chi odia».

• Essex, che era sempre di fretta o fantasticava; che sedeva a tavola indifferente a cibo e bevande, buttando giù tutto senza farci caso, o magari smettendo improvvisamente per immergersi in qualche lunga meditazione; che per risparmiare tempo si faceva vestire in mezzo a una folla di amici e clienti, porgendo – come dice Henry Wotton – «senza quasi prestare attenzione, le gambe, le braccia e il petto ai domestici perché lo abbottonassero e vestissero; la testa e il volto al barbiere; gli occhi alle lettere e le orecchie a chi lo pregava», e infine, pronto senza sapere come, si gettava un mantello sulle spalle e usciva col suo lungo passo e la testa sporta in avanti, per recarsi dalla regina.

• A due mesi dal matrimonio di Essex già circolavano voci su un certo intrigo fra il conte e una dama di alto lignaggio. Lady Bacon gli scrisse una lettera e lui smentì fermamente l’avventura che gli era stata attribuita: «Dichiaro davanti alla maestà di Dio che questa accusa che recentemente mi è stata rivolta è falsa e ingiusta; e non mi si può tacciare d’incontinenza con nessuna donna al mondo, fin dalla mia partenza alla volta della Spagna».

• Si venne a sapere che era stato deciso un altro attacco navale ai danni della Spagna, ma non si sapeva chi lo avrebbe guidato. Essex si ammalò. La regina si recò in visita e il conte sembrò riprendersi; ma ebbe una ricaduta. Era una malattia misteriosa: non si capiva se teneva il broncio o se fosse veramente indisposto. Per quindici giorni fu invisibile, mentre la regina si innervosiva e a corte si susseguiva un pettegolezzo dopo l’altro. Secondo una fonte autorevole, la regina aveva comunicato a Essex che avrebbe diviso il comando della spedizione con Raleigh e Thomas Howard; il conte aveva giurato che non voleva avere nulla a che vedere con quell’impresa. Alla fine, l’irritazione di Elisabetta esplose. Iniziò a esclamare: «Piegherò la sua volontà, umilierò il suo gran cuore!». Poi, si seppe che il conte stava meglio, tanto da potersi alzare, e da essere sul punto di lasciare la corte per recarsi nelle sue proprietà in Galles.

• Quando morì il vecchio lord Cobham, lasciando vacante il posto di warden of the cinque ports. Il figlio sperava di succedergli nella carica, ma era odiato da Essex, il quale sosteneva la candidatura di sir Robert Sidney. Per una settimana infuriò il conflitto, finché la regina non annunciò la propria decisione: il posto di warden sarebbe andato a lord Cobham. Essex allora dichiarò ancora una volta che avrebbe abbandonato la corte per andare in Galles. Era tutto preparato: uomini e cavalli erano pronti, ma la regina lo mandò a chiamare. Ci fu un colloquio privato, terminato con una completa riconciliazione, Essex fu nominato master of the ordnance e gli fu affidato il comando della spedizione in Spagna.

• Re Filippo, monarca di Spagna e Portogallo, di mezza Italia, dei Paesi Bassi, delle Indie occidentali. Le malattie lo affliggevano: torturato dalla gotta, con la pelle piena di ulcere, era vittima di una paralisi misteriosa. Non usciva più. Si era rinchiuso in una stanza interna del palazzo, tappezzata di tendaggi verde cupo, e da là governava, ormai prossimo alla morte. Aveva un’unica e sola distrazione: talvolta, varcava barcollando la soglia di una porticina che dava su un oratorio, e, inginocchiatosi, guardava attraverso una finestra le grandi navate della chiesa situata al centro di quel suo grande edificio, per metà palazzo e per metà monastero.

• A Plymouth, la flotta inglese era pronta a veleggiare verso Ferrol. Dopo un periodo di silenzio, in Spagna si venne a sapere che una tempesta aveva pressoché annientato gli inglesi e, dieci giorni dopo la partenza, le loro navi erano rientrate in porto con grande difficoltà. L’Armada di re Filippo era salva.

• Tra i giovani gentiluomini inglesi partiti insieme al conte in cerca di avventure e di ricchezze c’era John Donne. Questi soffrì terribilmente il mal di mare, ma da quella esperienza riuscì a ricavarne un poema.

• Tornato dalla spedizione fallita in Spagna vicino alle Azzorre, Essex fu accolto con disapprovazione. Si ritrasse dalla corte, mortificato e arrabbiato, per rifugiarsi nella solitudine della sua casa di campagna a Wanstead, nei dintorni a est di Londra. Da là inviò una toccante lettera alla regina, dove diceva che lei lo aveva reso «un estraneo».

• Quando la regina smise di essere arrabbiata con Essex e lo rivolle a corte, lui fece comunicare che non stava affatto bene, e che lasciare Wanstead era fuori questione. Elisabetta si rabbuiò. Alla fine, in maniera quasi inaspettata, Essex si presentò a corte e la regina lo nominò conte maresciallo d’Inghilterra.

• Elisabetta, che in tutta la sua vita non si era mai separata da nessuno dei vestiti indossati e nei suoi armadi ce n’erano appesi circa tremila.

• Durante i primi mesi dell’inverno del 1598, Essex amoreggiava a corte con le dame. Era risaputo che aveva avuto un figlio da Elizabeth Southwell, si sospettava che nutrisse una passione per lady Mary Howard e un’altra ancora per la Russell. Un pettegolezzo di corte dava per certo che «la bellissima Brydges» aveva nuovamente conquistato il cuore del conte.

• Elisabetta divenne lunatica, sospettosa e violenta. Rimproverava le dame d’onore ad ogni minima trascuratezza fino a farle scoppiare in lacrime.

• Quella volta che Elisabetta, convinta di avere intercettato sguardi languidi fra Essex e lady Mary Howard, quasi non riuscì a frenare la collera. Tuttavia, mantenne il contegno, decisa a vendicarsi poco dopo. L’occasione si presentò il giorno in cui lady Mary fece la sua comparsa a corte con un abito di velluto particolarmente bello, ornato da una ricca bordura e cosparso di perle e oro. Sua Maestà non disse nulla, ma la mattina dopo fece sottrarre di nascosto il vestito dal guardaroba della rivale. La sera sorprese la corte presentandosi con indosso l’abito di lady Mary. L’effetto era grottesco: la regina era molto più alta di lady Mary e il vestito non era lungo a sufficienza. «Ebbene, signore mie», disse, «vi piace il mio abito nuovo?». Poi, tra il silenzio dei cortigiani che trattenevano il fiato, avanzò verso lady Mary. «Oh, milady, e “voi” cosa ne pensate? Non è troppo corto? Non mi sta male?». «E allora», esclamò Sua Maestà, «se a me sta male perché è troppo corto, penso che non starà bene neanche a voi perché è troppo di lusso. Non si addice a nessuna delle due». E lasciò la sala a grandi passi.

• In uno di quei momenti in cui la regina aveva abbassato la guardia, il conte l’aveva convinta a concedergli un grande favore: ricevere sua madre, l’odiata Lettice Leicester, che per anni Elisabetta aveva bandito dalla sua presenza. All’avvicinarsi del momento, però, la regina si fece recalcitrante. Più e più volte lady Leicester fu condotta nella galleria privata, e lì aspettava in piedi il passaggio di Sua Maestà; ma per una ragione o per l’altra la regina passava sempre da un’altra parte. Alla fine, si pianificò un gran pranzo, offerto da lady Chandos, dove Elisabetta e lady Leicester si sarebbero incontrate. Tutto era pronto: la carrozza reale aspettava, lady Leicester stava sulla soglia con in mano un bel gioiello da trecento sterline. All’ultimo istante, però, la regina fece sapere che non sarebbe venuta. Essex, che era stato indisposto tutto il giorno, all’apprendere ciò che era accaduto balzò dal letto e, infilata una vestaglia, si fece condurre dalla regina per un corridoio secondario. Fu tutto inutile, Sua Maestà non si mosse, e il pranzo di lady Chandos fu rimandato a data da destinarsi. Poi, da un giorno all’altro, Elisabetta cedette. Lady Leicester ebbe il permesso di mostrarsi a corte: si presentò davanti alla regina, le baciò la mano, il petto, l’abbracciò, e venne baciata a sua volta.

• Tyrone, il capo dei ribelli dell’Ulster, aveva riaperto le ostilità con gli inglesi. Morto a Dublino il lord deputy Borough, Elisabetta non riusciva a decidere chi mettere al suo posto.

• Tyrone, irlandese per nascita e inglese di educazione, metà selvaggio e metà gentiluomo, metà cattolico e metà ateo, cospiratore, indolente, avventuriero e visionario. La sua massima aspirazione era un’esistenza tranquilla, come lui stesso dichiarava: un’esistenza tranquilla, libera dall’intolleranza del protestantesimo e dalla barbarie della guerra.

• Tyrone aveva sedotto la sorella di sir Henry Bagenal, l’aveva rapita e l’aveva sposata, a dispetto del fratello di lei. La donna era morta in miseria; e avanzando col proprio esercito contro il ribelle, sir Henry era stato sconfitto e ucciso a Blackwater.

• Quando Essex e la regina litigarono per la nomina del governatore d’Irlanda. Vinto dall’irritazione, sprezzante nel volto e nei modi, il conte di colpo girò le spalle alla regina. Diventata rossa in un istante per la rabbia, lei lo schiaffeggiò gridando: «Andate al diavolo!». Fuori di sé, il giovane perse ogni controllo: con una fragorosa bestemmia pose mano alla spada. Urlò in faccia alla sovrana: «Questo è un oltraggio che non sopporterò mai. Non lo avrei tollerato nemmeno da vostro padre». Intervenne Nottingham a farlo indietreggiare con uno spintone. Elisabetta non si mosse. Seguì un inquietante silenzio, e il conte si precipitò ad abbandonare la sala. In seguito la regina decise di non punire Essex, che scomparve in campagna, mentre lei continuava la solita vita fatta di lavoro e di svaghi.

• Mesi dopo quella litigata, si ripresentò il problema della nomina in Irlanda. Dal momento che Essex era convinto di portare la pace nel Paese, e visto che si mostrava tanto ansioso di assumere quella carica, la regina gliela concesse e lo nominò lord deputy.

• La sera dell’Epifania del 1599 ci fu una grande festa in onore dell’ambasciatore danese, e la regina e il conte danzarono tenendosi per mano davanti alla corte riunita.

• John Harington, amico di Essex, un tipetto vivace che aveva tradotto in inglese l’Ariosto. Era il figlioccio della regina, aveva con lei rapporti familiari fin dall’infanzia, e inoltre, per vie traverse, era veramente imparentato con la famiglia reale: la sua matrigna era figlia naturale di Enrico VIII.

• Un grave litigio tra Essex e la regina scoppiò prima ancora che lui lasciasse l’Inghilterra per andare a Dublino. Aveva nominato sir Christopher Blount membro del suo Consiglio, e lord Southampton generale della cavalleria, ma entrambe le nomine furono respinte da Elisabetta. Le sue obiezioni contro sir Christopher restano sconosciute, forse a causa della sua fede cattolica. Southampton, invece, l’aveva fatta infuriare per la tresca avuta con la sua dama di corte, Elizabeth Vernon, che aveva anche osato sposare.

• Essex arrivò a Dublino nell’aprile del 1599, con l’umore tetro e agitato.

• Essex, che non aveva mai dimostrato di avere genio militare, ma soltanto il gusto per le cose militari.

• Elisabetta attendeva ansiosa un comunicato da parte di Essex che annunciasse la sconfitta di Tyrone. Ma ricevendo mucchi di lettere piene di lamentele arrabbiate e disperate esclamazioni, cominciò a essere impaziente. Disse che non era soddisfatta di nulla di quanto si stava facendo in Irlanda. «Do al lord deputy mille sterline al giorno per andare avanti!». Scrisse a Essex lamentandosi amaramente dei tanti ritardi, e gli ordinò di marciare subito verso l’Ulster. La risposta fu che l’esercito si era irrimediabilmente assottigliato. Rimanevano appena quattromila uomini dei sedicimila partiti dall’Inghilterra. La regina inviò duemila soldati come rinforzo, ma l’ulteriore spesa la punse sul vivo.

• Dopo averci rimuginato sopra, Essex decise di seguire le istruzioni della regina e di attaccare Tyrone. La spedizione però fallì, e il conte lasciò Dublino alla fine di agosto del 1599.

• «Da una mente che trae piacere dalla sofferenza, da uno spirito devastato da pene, preoccupazioni e dispiaceri, da un cuore fatto a pezzi dalla passione, da un uomo che odia se stesso e tutte le cose che lo mantengono in vita, quali servigi può attendersi ancora Vostra Maestà? Dal momento che i miei trascorsi servigi meritano solo l’esilio e proscrizione nel più maledetto dei Paesi, con che speranza, con che scopo devo io vivere ancora? No, no, l’orgoglio e i successi dei ribelli devono offrirmi i mezzi per liberare me stesso, la mia anima intendo, da questa odiosa prigione che è il corpo. Ma se questo accadrà, Vostra Maestà può credere che non avrà modo di dispiacersi per come morirò, anche se il mio modo di vivere può averla contrariata. Dal servo esiliato di Vostra Maestà, Essex» (da una lettera di Essex a Elisabetta prima di far ritorno in Inghilterra).

• Quando Essex, appena tornato da Dublino, sporco di fango e in disordine, vestito in modo trascurato e con gli stivali da cavallerizzo, si presentò nella camera da letto della regina. Elisabetta era fra le sue dame: in vestaglia, senza trucco, senza parrucca, con le ciocche di capelli grigi che le ricadevano sul viso, e gli occhi sporgenti più che mai.

• Elisabetta, inizialmente sorpresa e felice di vedere Essex. Il giorno dopo, però, con tono sgradevole iniziò a porgli domande scomode, e dopo che lui ebbe risposto, andò su tutte le furie, fino a dichiarare che Essex avrebbe dovuto rendere conto della propria condotta davanti al Consiglio.

• Alle undici di sera il conte ricevette un messaggio da parte di Sua Maestà: gli veniva ordinato di non lasciare la stanza. Passato un giorno, affidò Essex alla custodia del lord keeper Egerton, e il conte fu subito condotto nella residenza di quest’ultimo sullo Strand, York House. Avrebbe deciso con comodo cosa fare di lui. Mentre lei faceva queste riflessioni, il conte si ammalò.

• Elisabetta trovò un consigliere e un ascoltatore in Francis Bacon. Ascoltò con interesse ciò che aveva da dirle e Bacon si profuse in espressioni di simpatia e di attaccamento nei confronti del conte; ma, doveva dirlo, non lo riteneva adatto per alcuni incarichi.

• La popolarità di Essex era cosa indubbia e la notizia della sua malattia contribuì ad aumentarla. Quando si mormorò che era prossimo a morte nella sua prigionia, l’indignazione popolare si fece sentire. Si stamparono e diffusero in segreto libelli che difendevano il conte e attaccavano i suoi nemici. Un bel giorno, perfino le bianche mura del palazzo reale furono ricoperte da scritte ingiuriose. Bacon fu oggetto di particolare condanna. Era un traditore, e incitava la regina contro il proprio benefattore. Fu anche minacciato di assassinio.

• All’improvviso la regina giunse a una decisione: avrebbe giustificato la sua condotta nei confronti di Essex di fronte al mondo con un comunicato ufficiale delle inadempienze del conte, letto pubblicamente nella Camera Stellata. Essex non sarebbe stato presente, era troppo ammalato.

• Non sicura che Essex fosse davvero malato, alle quattro del pomeriggio del 28 novembre 1599, accompagnata da lady Warwick e da lord Worcester, Elisabetta salì sul suo barcone e si fece condurre a York House per verificare con i suoi occhi. Essex era veramente grave, sembrava in punto di morte.

• Il giorno dopo fu adunata la Camera Stellata, e venne letto ad alta voce il documento sui misfatti del conte. Aveva gestito male le operazioni in Irlanda, aveva stretto un patto scandaloso con Tyrone, era tornato in Inghilterra contro l’ordine esplicito della regina. Sebbene fosse una pubblica seduta, Francis Bacon non partecipò. Scorrendo la lista dei presenti, Elisabetta notò la sua assenza. Gli inviò un messaggio per sapere quale fosse la motivazione. Rispose che aveva ritenuto più saggio non farsi vedere, considerate le minacce violente contro la sua persona. Ma la regina non si lasciò convincere da questa scusa, e non gli parlò per parecchie settimane.

• La pubblica lettura alla Camera Stellata non portò a nulla. Trascorsero settimane, mesi, ed Essex era ancora prigioniero. Nessuna delle persone a lui vicine aveva il permesso di vederlo. Perfino a lady Essex, che aveva da poco dato alla luce una bambina, fu vietato di fare visita al marito per parecchi mesi.

• Passò il tempo e la regina decise di rimandare Essex a casa propria, confinandolo anche lì con la stessa rigidezza di prima.

• D’accordo con Bacon, la regina decise di costituire un tribunale disciplinare da lei stessa concepito. Con una solenne cerimonia, si sarebbe rimproverato severamente il conte, lo si sarebbe costretto a scusarsi, e poi lo si sarebbe lasciato andare.

• La cerimonia ebbe luogo a York House il 5 luglio 1600, e durò undici ore senza interruzione. Essex si mise in ginocchio ai piedi del tavolo attorno al quale sedevano i lord del Consiglio in tutta la loro pompa. Dopo un po’ di tempo l’arcivescovo di Canterbury propose che fosse permesso al conte di stare in piedi; la proposta fu approvata. Più tardi gli venne concesso di appoggiarsi e alla fine di sedersi. Uno dopo l’altro gli avvocati della corona si alzarono per annunciare pubblicamente le sue colpe. Fra gli accusatori c’era Bacon.

• Appena Essex lesse ad alta voce un’umiliante confessione delle proprie inadempienze, seguita da una richiesta di grazia, gli venne detto che poteva tornare al proprio alloggio e aspettare là le volontà della regina. Aspettò un mese prima che accadesse qualcosa; alla fine le guardie vennero rimosse, ma era ancora costretto a restare chiuso in casa. Solo alla fine d’agosto (del 1600) gli fu concessa la completa libertà.

• Quando la regina annunciò che la rendita dei vini dolci, affidata a Essex e fonte di un reddito notevole, da quel momento in poi sarebbe spettata alla corona. L’effetto su Essex fu impressionante; era come posseduto.

• Essex portava avanti una corrispondenza con il re di Scozia, e sperava ancora che da quella parte arrivasse la liberazione. All’inizio dell’anno nuovo, il 1601, scrisse a Giacomo chiedendogli di mandare un suo ambasciatore a Londra, per orchestrare insieme un piano d’azione. Giacomo accettò. Ordinò al conte di Mar di recarsi in Inghilterra, e inviò una lettera incoraggiante a Essex. La lettera arrivò prima dell’ambasciatore; ed Essex la custodì in una borsetta di cuoio che portava nascosta al collo.

• Durante la prima settimana di febbraio (1601) si diffuse la voce che il conte sarebbe stato rinchiuso immediatamente nella Torre. E lo stesso Essex ci credette. Dopo essersi consigliato con i familiari, fu deciso che era giunto il momento di colpire. Alcuni proponevano di attaccare la corte: fu elaborato un progetto dettagliato, che gli avrebbe assicurato il controllo sulla regina con un minimo di violenza. Altri ritenevano una mossa migliore sollevare Londra in favore del conte.

• A un certo punto il segretario Cecil comprese che era arrivato il momento buono per risolvere la questione, e agì. La mattina di sabato 7 febbraio 1601 un messaggero della regina arrivò da Essex, con la richiesta per il conte di presentarsi al Consiglio. Ai cospiratori quella sembrava una chiara mossa per catturare Essex, e tutto sarebbe andato perduto, se non si entrava subito in azione. Il conte declinò l’invito, facendo sapere che era troppo ammalato per lasciare il letto. I suoi seguaci fedeli si strinsero attorno a lui; e venne deciso che il giorno successivo avrebbe segnato la fine del dominio del segretario.

• Il giorno dopo, alle dieci del mattino, trecento persone si erano radunate a casa del conte; Essex si trovava in mezzo a loro quando sentì bussare al portone. Le porte secondarie furono aperte, e fecero la loro apparizione quattro alti dignitari: il lord keeper, il conte di Worcester, sir William Knollys e il lord chief justice. Venivano per chiedere conto di quell’adunata.

• Rinchiusi i quattro lord in una stanza, intorno a mezzogiorno Essex e i suoi seguaci si diressero verso la città. Il conte avanzava, urlando che era stato ordito un complotto per assassinarlo, e che la corona era stata venduta all’infanta di Spagna. Ma fu del tutto inutile, nessuna risposta, non si unì a lui nessuna persona.

• Essex decise allora di ritornare a casa, ma alla porta di Lud la strada era bloccata. Si diresse quindi verso il Tamigi. Salì su una barca, remò fino al suo palazzo, ed entrò grazie alla porta che dava sul fiume. Lì prese nota che i consiglieri erano stati liberati e avevano fatto ritorno a Whitehall. Dopo aver distrutto frettolosamente una gran quantità di documenti compromettenti, tra cui la lettera nella borsetta nera che portava al collo, iniziò a barricare la casa. Ben presto le truppe della regina, con il lord ammiraglio al comando, gli furono addosso. Messa in campo l’artiglieria, fu chiaro che ogni resistenza era vana. Dopo una breve trattativa, Essex si arrese a discrezione e fu condotto nella Torre.

• Quando arrivò la notizia che tutto procedeva per il meglio, la regina capì che poteva contare sulla fedeltà del proprio popolo, e non ebbe più alcuna esitazione. Ordinò che Essex e i suoi seguaci fossero posti a giudizio immediatamente. Furono arrestate quasi cento persone, e il Consiglio proseguì all’istante con l’interrogatorio dei capi della banda.

• Il processo era stato fissato per il 18 febbraio 1601 di fronte a una commissione speciale di nobili. Il tribunale dei Pari aveva già ascoltato il parere dei giudici, secondo i quali la condotta di Essex e dei suoi la domenica dell’8 febbraio costituiva di per sé alto tradimento, a prescindere dalle intenzioni del conte. Oggetto dell’accusa era dimostrare che Essex era colpevole di una pericolosa e ponderata cospirazione.

• Edward Coke, capo della magistratura, proruppe in insulti così violenti contro gli accusati da far nascere sentimenti di compassione nei loro confronti. Durante questi alterchi, Essex urlò che Raleigh aveva avuto intenzione di assassinarlo, e Raleigh dovette presentarsi al banco dei testimoni per confutare l’accusa. Poi Essex tirò fuori la diceria del diritto di successione che il segretario aveva venduto alla Spagna. Allora Cecil uscì fuori all’improvviso e supplicò in ginocchio che gli dessero il permesso di scagionarsi da una simile calunnia. Ottenne il consenso, e dopo un lungo alterco, Cecil riuscì a cavare di bocca a Essex che l’informatore su cui si fondava l’accusa era sir William Knollys, zio del conte. A sua volta fu chiamato Knollys, e la sua deposizione scagionò del tutto il segretario.

• Alla fine gli accusati furono riconosciuti colpevoli, e venne emessa la sentenza per ribellione. Essex fu rinchiuso nella Torre, fino a quando Elisabetta decise che sarebbe stato decapitato.

• La decapitazione fu fissata per il 25 febbraio 1601. Ci fu qualche lieve tentennamento: il 23 la regina inviò un messaggio per rimandare l’esecuzione, ma già il giorno dopo ordinava che tutto avesse luogo alla data stabilita.

• Il conte espresse il desiderio di non essere decapitato in pubblico. Fu assecondato, nel timore di un eventuale sollevamento popolare in suo favore. Gli avrebbero tagliato la testa nel cortile della Torre, al pari di tutti i grandi criminali di Stato.

• Essex, che quando venne decapitato non aveva ancora compiuto trentaquattro anni. Fece la sua comparsa avvolto in un mantello nero e accompagnato da tre sacerdoti. Salito sul patibolo, si tolse il cappello e si inchinò di fronte ai lord. Parlò a lungo e con fervore. Confessò i suoi peccati, sia quelli comuni che quelli più particolari. Disse di essere giovane e di «aver speso la sua gioventù in lascivia, lussuria e impurità». I suoi peccati erano «più numerosi dei capelli che aveva in testa». Poi, liberandosi del mantello e della gorgiera, con il solo farsetto nero si inginocchiò davanti al ceppo. Alzati gli occhi al cielo pregò per tutti gli Stati del regno e, infine, recitò il Padre Nostro. Il boia gli si inginocchiò per chiedergli il rituale perdono; fu accordato. I sacerdoti lo sollecitarono a pronunciare il Credo, e lo ripeté dopo di loro frase per frase. Poi si alzò in piedi e si tolse il farsetto, sotto portava un panciotto scarlatto con lunghe maniche. Poi si girò e si inginocchiò davanti al ceppo; e dopo aver detto che sarebbe stato pronto una volta distese le braccia, si sdraiò sul patibolo. Dopo che ebbe allungato le braccia, il boia alzò la scure e la tirò giù di schianto. Il corpo del condannato non sussultò, ma furono necessari altri due colpi prima che la testa fosse mozzata e fuoriuscisse il sangue. Il boia si chinò e, afferrata la testa per i capelli, la sollevò di fronte agli astanti, gridando: «Dio salvi la regina!».

• Degli altri cospiratori: Southampton fu risparmiato. La sua giovinezza e la romantica devozione a Essex furono le sue attenuanti, e la pena di morte fu commutata nella prigionia nella Torre. Sir Christopher Blount e sir Charles Davers furono decapitati, sir Gilly Merrick e Henry Cuffe impiccati.

• Elisabetta, col passare del tempo, si fece più rude e capricciosa che mai; passava giornate intere in assoluto silenzio, in preda alla malinconia. Non toccava quasi cibo; sir John Harington diceva che si nutriva «soltanto di crostini e brodo di cicoria». Teneva sempre accanto a sé una spada, che impugnava e infilzava con impeto negli arazzi mentre camminava avanti e indietro in preda a una delle sue crisi di nervi. Talvolta si rinchiudeva in una camera buia, e si abbandonava a scoppi di pianto. Quando poi usciva, si dimostrava irosa per qualche trascuratezza, per maltrattare le sue dame fino a farle piangere a loro volta.

• Contemporaneamente, la regina continuava la solita vita: si occupava degli affari di Stato, andava nella villa e danzava come ai vecchi tempi.

• Nel 1603, quando Elisabetta si trasferì a Richmond per cambiare aria; e qui, nel mese di marzo, le forze l’abbandonarono. Rifiutò le visite dei medici, mangiava e beveva pochissimo, e stava distesa per lunghe ore su una bassa poltrona.

• Una volta che Elisabetta si mise in piedi e rimase immobile. Troppo debole per camminare, aveva ancora la forza di reggersi sulle gambe. Rimase così per quindici ore. Poi cedette, ma dichiarò che non si sarebbe messa a letto. Si abbandonò sui cuscini e lì rimase per quattro giorni e quattro notti, senza proferire parola e con l’indice in bocca. Quelli che c’erano accanto a lei la scongiuravano, invano, di obbedire ai dottori e di lasciarsi portare altrove.

• Quando Cecil disse alla regina: «Maestà, per accontentare il popolo, è vostro dovere andare a letto». La risposta fu: «Nanetto, nanetto, la parola dovere non si usa con i re». Fece cenno di volere ascoltare della musica, e furono portati nella camera gli strumenti.

• L’arcivescovo di Canterbury, il vecchio Whitgift che in giorni più felici la regina chiamava «il suo nero maritino», si mise in ginocchio accanto al capezzale e pregò a lungo e con trasporto.

• Elisabetta morì il 23 marzo del 1603.
Lytton Strachey, Elisabetta e il conte di Essex, Castelvecchi, Roma 2014, pp 238, euro 11,05.