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 2014  agosto 30 Sabato calendario

IL GRANDE GIOCO DELLE SCATOLE VUOTE

«Nelle aziende municipalizzate farà difetto l’elemento tecnico, se non nella sezione, negli uffici di controllo; abbonderà, invece, l’intrusione dei politicanti». Il testo è uno stralcio del dibattito parlamentare riguardante la legge Giolitti sulla municipalizzazione dei servizi pubblici. L’anno era il 1903. È passato più di un secolo e stiamo ancora discutendo su come rendere efficiente l’intervento dello Stato nella gestione dei servizi pubblici e nella governance delle società partecipate a livello locale. Certo, di passi avanti ne son stati fatti, ma i problemi sono tutt’altro che risolti.
Le società create dai Comuni per svolgere i servizi a vantaggio della comunità sono per lo più inefficienti. A dirlo è la Corte dei Conti che a giugno ha messo in luce un dato allarmante: un terzo delle società partecipate sono in perdita. E a fame le spese sono direttamente i cittadini. Un disastro di sprechi e di opacità.
Prima fra tutte, il numero delle partecipate locali. Ai non addetti ai lavori farà specie, ma a oggi non si ha la certezza assoluta del numero delle aziende partecipate dai Comuni, Regioni e Province. A seconda che si usi come fonte la Corte dei Conti o il Dipartimento della Funzione pubblica, il numero oscilla fra le 7.500 e le 10 mila. Il numero esatto delle partecipate rimane ignoto perché è difficile circoscrivere il livello di indagine e non tutte le amministrazioni locali forniscono le informazioni richieste.
Il risultato è devastante: lo Stato italiano non ha idea del numero complessivo delle aziende in cui è presente. E come se un operatore del mercato privato non sapesse la qualità e la quantità dei suoi assets. In aiuto a Stato e ricercatori è arrivato il recente rapporto del Commissario alla Spesa pubblica Carlo Cottarelli: le partecipate locali sarebbero 7.726. Un veloce confronto internazionale: in Francia le partecipate locali sono circa 1.000.
Oltre al numero delle partecipate, la qualità delle stesse partecipazioni rimane discutibile. Da un lato il fenomeno delle scatole vuote: un numero molto elevato di partecipate non ha dipendenti o ne ha molto pochi (sono 1.213 le società dotate di regolare consiglio di amministrazione prive di dipendenti). Dall’altro quello delle micropartecipazioni: esistono circa 1.400 società in cui la quota del pubblico non raggiunge il 5%, 1.900 partecipate in cui non supera il 10% e 2.500 partecipate in cui non va oltre il 20%.
Come siamo arrivati a tutto questo? Molte partecipate sono state create per aggirare il patto di stabilità interno (o i vincoli sul debito e le assunzioni di personale) dando vita al “neosocialismo municipale”: lo Stato diventa leggero al centro, ma pesante, pesantissimo alla periferia, dove ha lasciato proliferare ed espandere società partecipate. Basti pensare che, da gennaio 2008, sono state costituite almeno 1.264 nuove partecipate (il 16% di quelle esistenti).
Ci sono partecipate che forniscono un servizio pubblico e - se ben gestite - hanno una loro utilità. Poi c’è una miriade di agenzie, microsocietà e finanziarie che fanno sorgere qualche dubbio. Il sospetto è che queste ultime siano state costituite principalmente per far guadagnare lauti compensi agli amministratori o per consentire l’assunzione di dipendenti così da aumentare il consenso delle amministrazioni locali.
Scelte politiche tutt’altro prive di conseguenze sulle casse dello Stato. Secondo le stime di Cottarelli, il costo pro quota dei consigli di amministrazione delle partecipate per il settore pubblico è stimabile in circa 450 milioni di euro.
Occorre sfoltire il numero e gestire al meglio le poche partecipate davvero necessarie. Un sistema troppo complesso, infatti, risulta difficilmente monitorabile. Bisogna migliorare la quantità e qualità delle informazioni disponibili, rendere accessibili a tutti i dati e indicatori di efficienza. Dando cosi strumenti alla pubblica opinione per una corretta ed efficace valutazione delle risorse impiegate.
Già la legge Giolitti del 1903 prevedeva la consultazione popolare per valutare la costituzione di partecipate. Son passati più di 100 anni, la spesa pubblica è esplosa e con lei il bisogno di trasparenza.