Enrico Sisti, la Repubblica 5/9/2014, 5 settembre 2014
L’IMPERTURBABILE KEI IL MARATONETA DEGLI SLAM FA SOGNARE IL GIAPPONE
NEW YORK
Wawrinka commette il 78° errore della sua partita e si arrende. Nishikori non fa una piega. Cammina lentamente verso la rete come se non avesse mai combattuto in vita sua, un sorriso appena accennato.
L’animo guerriero rinfoderato come la spada di un samurai o chiuso in un chip. Calma imperturbabile. Come il gatto quando gioca, Kei Nishikori, 24enne con madre pianista e padre ingegnere, n. 11 del mondo, è gioco allo stato puro. Come Ryuichi Sakamoto quando distilla dal pianoforte le note di una sua melodia, Kei lo potete trovare nelle corde. A modo suo è una macchina. E allora O.Kei computer. Viva i campioni come questo ragazzo che dopo 81 anni riporta il tennis giapponese in una semifinale dello Slam: l’ultimo fu Jiro Satoh a Wimbledon nel ’33. Occorre tornare indietro di altri 15 anni per trovarne uno agli Us Open (Ichiya Kumagae). Sa rivitalizzare palle scariche, prive di peso, l’opposto di Berdych, che si appoggia alla potenza altrui. Pochi nel circuito sanno come lui aggredire a fondo campo i colpi interlocutori di un avversario che prende tempo. Con Wawrinka aveva cominciato con una tale stanchezza addosso! Guardandosi allo specchio negli spogliatoi pensava: «Veramente devo andare un’altra volta là fuori?». Gli era rimbalzata addosso l’eco del ritornello maledetto: «Agli Us Open nessuno che abbia terminato e vinto un incontro protrattosi sino a notte fonda (quello con Raonic era terminato alle 2.26 del mattino, ndr) ha vinto anche quello successivo». Kei ha sconfitto calcoli medici, tradizione e pronostici. Non solo ha ricordato, caso mai qualcuno se ne fosse dimenticato, che il recupero delle forze fisiche e nervose è un problema strettamente individuale (anzi ogni recupero fa storia a sé), ma si è addirittura permesso di esagerare, iniziando in grande ambascia la sua seconda maratona consecutiva e finendo quasi decontratto: dieci set in poche ore. E’ ancora vivo. Geneticamente non predisposto a ostentare in pubblico il proprio entusiasmo (sarebbe come chiederlo al Dalai Lama), a far festa ci pensato il suo coach Michael Chang, il concittadino di Frank Sinatra (è nato 42 anni fa a Hoboken, sulle coste del New Jersey proprio di fronte a Manhattan), il vincitore di Roland Garros ’89. Chang non è estraneo alle attuali fortune di Nishikori. Con lui, che non a caso nel ’92 giocò contro Edberg la partita più lunga della storia dello Us Open (5h26’), il ragazzo ha imparato a soffrire “in the long run”. Trapiantato in Florida a 14 anni, Kei si è formato nell’accademia di Nick Bollettieri. Dopo le ore piccole fatte con Raonic, il suo storico mentore aveva scritto: «Mi devi parecchie ore di sonno, ma ne valeva la pena». Con Chang s’erano conosciuti un paio d’anni fa durante un’esibizione in Giappone. «Alla fine del 2013 cercavo un coach. Io mi sono ricordato di lui, lui di me». Nishikori e Chang concordano su un particolare d’importanza strategica: «Non giochiamo troppo a tennis, per carità, fa male!». Kei preferisce allenare la parte cardio-polmonare con corsa, palestra, nuoto: «Alla fine uno si stufa pure di giocare a tennis! Meglio preservare la voglia…no?». Già, se funziona perché cambiare.
Enrico Sisti, la Repubblica 5/9/2014