Giuliano Foschini, la Repubblica 5/9/2014, 5 settembre 2014
POTENZA, PARLA IL CHIRURGO “IO, PERSEGUITATO DAL RIMORSO MA L’ERRORE
FU DEL PRIMARIO” – [Intervista a Michele Cavone] –
POTENZA.
Partiamo dalla fine. Da quando cioè ha ascoltato quella registrazione, con incisa la sua voce che diceva “l’abbiamo ammazzata”. Dal momento in cui, insomma, Michele Cavone da stimato cardiochirurgo cominciava ad assomigliare agli occhi di tutti a un assassino. «Ho pensato: è finita, ora come la spiego questa frase infelice. Poi, invece, mi sono sentito liberato. Continuo a non dormire, mi sveglio ogni notte alle quattro e penso a quell’intervento. Ora, finalmente, si potrà dire la verità. E la verità è che sono innocente». Riavvolgiamo il nastro. Michele Cavone è cardiochirurgo del San Carlo di Potenza. Era in sala operatoria il 23 maggio 2013 quando una donna di 71 anni, Elisa, morì durante l’intervento. Qualche tempo dopo confessò a un collega, che lo registrava a sua insaputa, che qualcosa era andato storto: «Ho lasciato deliberatamente ammazzare una persona». Audio poi finito, qualche giorno fa, su Basilicata24.it scatenando il putiferio: Cavone è sospeso senza stipendio, indagato con gli altri medici dal gennaio scorso, il caso diventa politico e colleghi di altre regioni — come l’oncologo e consigliere regionale pugliese Gianmarco Surico — scendono in campo per difenderlo.
Che successe quel giorno?
«Arrivai in ospedale alle otto di mattina e il primario, Nicola Marraudino mi disse che in sala operatoria c’era un collega che aveva fatto la notte. Stavano operando la signora Elisa in quello che per noi era un intervento di routine».
E poi?
«Raggiunsi il collega in sala, aveva appena iniziato ad “aprire”. Mi stavo preparando quando un tecnico corse ad avvisarmi che c’era una complicazione: emorragia in corso».
La paziente era spacciata?
«Non so cosa fosse successo, questo potrà dirlo solo l’autopsia. Non so neanche se quello che io suggerii, ma non fu applicato, avrebbe potuto salvare la signora».
Cosa suggerì?
«Arrivato in sala misi in sicurezza la paziente. Ma c’era da fermare l’emorragia. In chirurgia la prima regola è tappare i buchi. Ma non facemmo così. Arrivò il primario, decise di adottare un’altra tecnica. Ma la paziente non ce l’ha fatta».
Detta così, sembra un incidente di quelli che in sala operatoria possono accadere. Perché invece ha detto: “l’abbiamo deliberatamente ammazzata”?
«La responsabilità penale è personale. Ma esiste un’empatia d’équipe, anche quando i rapporti personali tra medici non sono buoni. Non capisco, non vedo una ragione tecnica, per cui non si è fatto quello che io avevo suggerito e che secondo me avrebbe potuto salvare la vita di quella signora».
Ma Lei non si è imposto...
«Non potevo. Il primario è un mio superiore, non si può litigare al tavolo operatorio».
E perché non l’ha denunciato dopo? Le sue parole in quella registrazione sanno di omertà. Era morta una donna.
«Ripeto io non so ancora oggi cosa ha ucciso Elisa. E non posso denunciare nessuno sulla base di un mio parere medico».
Avete truccato la cartella clinica?
«Non io. Ho letto dopo qualche settimana in una relazione che ha firmato solo il primario cose non vere: nel ricostruire la vicenda aveva indicato la tecnica che avevo suggerito, ma non quella che avevamo realizzato».
Perché non l’ha denunciato?
«Non ho mai visto la stesura finale del documento».
Nella registrazione Lei dice: “Lo tengo per i coglioni”. Una frase orrenda.
«Vero. Ma quell’audio è frutto di tagli, manipolazioni. Il discorso era più ampio. In quel reparto c’è un grandissimo tasso di tensioni, litigiosità. Non a caso ci si registra. Mi sono sempre tirato fuori, cercando di fare il mio mestiere. Ora sono stato colpito come da una pallottola vagante».
Giuliano Foschini, la Repubblica 5/9/2014