Luigi Spera, il Fatto Quotidiano 5/9/2014, 5 settembre 2014
IL KOSOVO, FUCINA DELL’INTEGRALISMO
Pristina (Kosovo)
Mentre le forze armate internazionali entravano in territorio kosovaro dopo la guerra del 1999, specularmente, sotto la superficie iniziava a penetrare, scorrendo come un fiume carsico, il fanatismo religioso. Avanzando indisturbato, sottotraccia, l’Islam radicale ha potuto così fare proselitismo: costruire decine di moschee ed educare al ‘wahabismo’ generazioni di imam finanziandone gli studi in Arabia Saudita, pagare famiglie perché mostrassero simboli di integralismo e riuscire a reclutare, al momento opportuno, i combattenti da inviare nei vari scenari di guerra internazionali. Il tutto spesso attraverso l’attività mascherata di ong con sede nei Paesi del Golfo. Quando le crisi mediorientali caratterizzate da una forte componente religiosa hanno toccato Siria e Iraq, il nome di combattenti kosovari è finito sempre più spesso sui giornali. È così emerso quanto il problema, mentre la comunità internazionale si occupava delle questioni post-belliche, fosse diventato forte. Al punto da far rientrare il Paese tra i primi 25 nella lista dei maggiori contribuenti alla causa jihadista in Siria e Iraq con oltre 100 combattenti. Il video della decapitazione di un uomo in Siria da parte di un kosovaro dell’Isis, inizio della nuova triste notorietà internazionale del Paese, non è stato altro che la proiezione esterna di un problema molto noto a Pristina.
Negli ultimi mesi si è cercato di mettere una pezza, ma i 41 arresti di estremisti da parte della polizia poche settimane fa, ha solo fatto aumentare la discrezione delle azioni portate avanti dai più radicali.
La preoccupazione è tanta, e a parlare di estremismo islamico in molti fanno fatica. Non tutti. Engjiell Berisha, direttore della biblioteca di Gjakova, ha perso 3 fratelli tra le 376 vittime della pulizia etnica delle milizie serbe. “Noi albanesi siamo stati uccisi insieme e sepolti nelle stesse fosse comuni, cristiani e musulmani. Siamo un’unica famiglia con due religioni. Questi estremismi non ci appartengono. Abbiamo vissuto una guerra terribile, non vogliamo più morti e omicidi”.
I primi a criticare l’avanzata degli estremisti in Kosovo sono molti imam, hanafiti e moderati . Coraggiosi che sfidano la violenza e le ritorsioni dei fondamentalisti.
Zuhdi Hajzeri, trent’anni, è l’imam della moschea di Tahtali a Peja. La sua lotta contro gli jihadistilo ha fatto già finire nel mirino più volte, l’ultima pochi giorni fa. “Dopo un’intervista a Rtk nella quale ho criticato gli estremisti, la sera, quando stavo rincasando sono stato seguito e hanno tentato di investirmi con l’auto. Alla guida c’era il cugino del capo degli imam di Peja, e suo vice”.
Il pericolo di estremismo islamico invade tutto il Kosovo, “in quasi tutte le moschee – afferma Hajizeri - si sono infiltrati elementi che ascoltano le prediche, riportano quello che si dice e cercano anche di fare proselitismo. Cercano persone che vadano a combattere in Siria manipolando il pensiero islamico. Dicono che per chi muore martire ci saranno premi all’aldilà. I mediatori nel reclutamento spesso sono imam che hanno studiato in Arabia Saudita e hanno rapporti con le milizie sul campo”.
Quanto l’obiettivo dei radicali sia rinfoltire le milizie dell’Isis, lo conferma anche l’imam della moschea rossa di Peja, Emir, “A ogni preghiera e il venerdì spingiamo le persone a non andare combattere. Ma non basta. Il problema è antico, precedente alle crisi siriane e irachene. La penetrazione degli integralisti in Kosovo è avvenuta subito dopo la guerra. In un paese dove lo stipendio medio è 300 euro al mese e la disoccupazione al 50%, sfruttare la disperazione elargendo aiuti economici è facile. Ottenere riconoscenza, ancor di più. Così le Ong arabe hanno veicolato il messaggio della jihad”. La domanda è come sia possibile che questo sia accaduto in un Paese dove la presenza militare, economica e strategica straniera, ufficialmente in aiuto alla popolazione locale, è stata tra le più pesanti della storia contemporanea.
Luigi Spera, il Fatto Quotidiano 5/9/2014