fd’e, il Fatto Quotidiano 5/9/2014, 5 settembre 2014
APPARIZIONI: IL RITORNO DEL LOBBISTA FOLLINI
Nell’anno primo della luminosa Era Renziana neanche i nostalgici più ottimisti della Prima e della Seconda Repubblica messe insieme speravano più di leggere un’intervista a Marco Follini. Invece l’apparizione tipo Madonna di Lourdes è avvenuta sulla carta color salmone del confindustriale Sole 24 Ore, ieri a pagina 15.
Ma la pregevole conversazione, che provoca un gigantesco slurp di godimento, non è politica. Follini parla infatti nella sua veste di presidente dell’Apt, l’associazione produttori televisivi. In pratica è una sorta di lobbista capo della maggiore controparte dei broadcaster tv e tra le sue preoccupazioni odierne c’è quella di “rivedere le norme sulla cessione dei diritti in perpetuo”. Questo il Follini edizione 2014. In pratica è ritornato laddove aveva cominciato, quando poco più che trentenne fu indicato dalla Democrazia cristiana nel consiglio d’amministrazione della Rai. Follini è sempre stato l’incarnazione del moderato che è in ognuno di noi, un centrista che, per sua stessa definizione, non rimpiange la Dc ma che rivendica il diritto a fare il democristiano.
Oggi ha sessant’anni e la sua intervista di ieri squarcia il velo sul destino triste e variegato della generazione che ha gestito il potere nella Seconda Repubblica: il sessantenne D’Alema che fa il vino, il sessantenne Casini che ritorna da B. per sperare nel Quirinale, il sessantenne Veltroni che fa il regista, il sessantenne Fini rimasto semplicemente disoccupato.
Di Casini, poi, Follini è stato il gemello diverso per eccellenza. Entrambi cresciuti alla scuola dorotea del veneto Toni Bisaglia, che scolpì parole indimenticabili e che compaiono in ogni ritratto folliniano: “Casini è quello bello, Follini quello intelligente”. Talmente intelligente, Follini, che nel centrodestra fu il primo in assoluto a invocare e a teorizzare il regicidio nella monarchia berlusconiana. Fu un decennio fa e molto prima di Gianfranco Fini e Angelino Alfano, epigoni folliniani. In ogni caso, tutti votati al fallimento. Berlusconi è ancora lì, perdipiù resuscitato da pregiudicato col patto del Nazareno, mentre loro sono retrocessi nella microfisica del potere, quando c’è.
La stagione più gloriosa del follinismo fu quella dell’estate del 2004. Memorabile. Da segretario dell’Udc, Follini aprì insieme a Fini una verifica nella maggioranza berlusconiana. A onor del vero, e a fronte delle continue professioni di fede riformista dei due, la crisi maturò sulla difesa degli statali da parte di An e Udc, classica posizione conservatrice. Follini giorno dopo giorno si guadagnò titoli sempre più grandi sulle prime pagine dei quotidiani e fu il terrore, lui che era l’Harry Potter del centrodestra (copyright Francesco Cossiga), dell’ortodossia berlusconiana. La verifica si chiuse con la sua nomina a vicepremier ma durò davvero poco. Non solo, i frutti avvelenati di quella crisi portarono al varo del Porcellum, su espressa richiesta dell’Udc. Follini però si dissociò e iniziò il divorzio da Casini. Fece un libro-intervista per dire che sarebbe rimasto sempre conservatore, nel campo del centrodestra, e alcuni mesi dopo smentì se stesso partecipando alla fondazione del Partito democratico. Nel Pd, Follini è stato bersaniano, incredibile a dirsi, e nel 2013, rimasto senza seggio, ha lasciato il partito. Oggi teorizza di nuovo uno spazio terzo tra Berlusconi e Renzi, nel frattempo, per campare, fa il lobbista dei produttori tv.
fd’e, il Fatto Quotidiano 5/9/2014