p. mas., La Stampa 5/9/2014, 5 settembre 2014
INTELLIGENCE, ARMI E AIUTI UMANITARI COSÌ OBAMA COSTRUISCE LA SUA COALIZIONE
La costruzione della coalizione che dovrà «degradare e distruggere» l’Isis è cominciata, e il vertice Nato nel Galles è diventato l’occasione per gli Stati Uniti di chiedere agli alleati i contributi che sono disposti a dare. L’Italia è in prima fila, elogiata apertamente dal vice consigliere per la Sicurezza nazionale Ben Rhodes, per «le armi già promesse ai curdi». Ora si tratta di andare oltre. «Alcuni Paesi daranno un contributo militare, altri intelligence, addestramento delle forze locali, armi, supporto politico al nuovo governo iracheno, lavoro di polizia anche per fermare i combattenti stranieri, e assistenza umanitaria».
Il via lo hanno dato ieri mattina il premier britannico Cameron, che sta assumendo un ruolo di leadership come aveva fatto Blair all’epoca del Kosovo, e il presidente americano Obama, con l’editoriale congiunto pubblicato sul «Times» di Londra: «Non ci faremo intimidire da barbari killer». I due hanno avvertito che la Nato «non può scegliere l’isolazionismo», perché questa guerra la riguarda da vicino. La situazione, insomma, è diversa da quella dell’anno scorso, quando l’intera Europa, eccetto la Francia, rifiutò di colpire Assad per l’uso delle armi chimiche. «L’attentato al Museo ebraico di Bruxelles – ha spiegato l’ambasciatore americano alla Nato Doug Lute – è stato percepito come la prima dimostrazione del rischio concreto del ritorno dei terroristi che hanno passaporti europei, per colpire nel continente». Da qui la maggiore disponibilità che Washington ha percepito nel contribuire alla lotta contro l’Isis.
La coalizione, secondo la Casa Bianca, ha diverse dimensioni. La prima è quella militare, dove finora gli Usa sono stati i soli ad intervenire, e stanno completando la lista degli eventuali obiettivi in Siria per colpire le basi dove l’Isis è nata. Su questo fronte, la pressione è forte soprattutto su Londra, affinché dia il contributo mancato l’anno scorso quando il Parlamento votò contro l’attacco ad Assad. Poi ci sono il riarmo dell’esercito iracheno e dei curdi, l’intelligence, l’addestramento e gli aiuti umanitari, su cui alleati come l’Italia stanno già dando o potrebbero dare ulteriori contributi. È fondamentale, ad esempio, che i Paesi europei facciano più sforzi per individuare i terroristi andati in Siria dal Vecchio continente, impediscano il reclutamento e la partenza di altri militanti, e fermino nel loro stesso interesse quelli intenzionati a tornare. Sul piano politico, poi, bisogna dare sostegno concreto al nuovo governo che sta formando il premier incaricato Abadi, perché includere i sunniti e staccare le loro tribù dall’alleanza con Isis è fondamentale per vincere.
Su tutti questi piani, è decisivo l’aiuto dei Paesi della regione, in particolare quelli sunniti. Arabia e Qatar devono fermare i finanziamenti e sostenere Abadi, come Egitto ed Emirati; la Turchia invece deve chiudere la sue frontiere ai terroristi che ha lasciato passare per combattere Assad. In teoria anche la Russia sarebbe interessata ad appoggiare la coalizione, perché i jihadisti minacciano di colpirla con le sue stesse armi che aveva offerto ad Assad.
Gli americani hanno cominciato il lavoro diplomatico qui in Galles, incontrando il re giordano Abdullah e il leader turco Erdogan, e parlando con gli alleati europei.
La cena di ieri sera è servita ad accelerare gli sforzi congiunti. Subito dopo il vertice, poi, partiranno per il Medio Oriente il segretario di Stato Kerry, quello alla Difesa Hagel, e la consigliera anti-terrorismo di Obama Lisa Monaco. L’amministrazione è interamente mobilitata, ai massimi livelli, perché fermare l’Isis è diventata la sua priorità nella lotta a terrorismo.
p. mas., La Stampa 5/9/2014