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 2014  settembre 05 Venerdì calendario

LA DOPPIA CRISI CHE RICOMPATTA L’ALLEANZA ATLANTICA

Per riporre il bastone e imbracciare la carota, le parole non bastano più. La Nato vuole fatti e fino a quando non ci saranno prove evidenti di una mutata realtà sul territorio dell’Ucraina, fra Patto atlantico e Mosca resterà alta tensione. Le azioni, o meglio le reazioni, saranno di intensità variabile, in linea con gli sviluppi sul campo. Il primo giorno di un summit dell’Alleanza che è stato consegnato alla storia ancor prima di iniziare nella consapevolezza che era vitale per il destino della Nato, ha visto gli alleati contenere le divergenze interne e utilizzare toni (quasi) uniformi verso il partner perduto, quello russo, e contro il nemico emergente, lo Stato Islamico che impazza in Siria e Iraq.
Se questa è davvero l’ora dei fatti lo sapremo oggi. Il presidente ucraino Petro Poroshenko ha detto che ordinerà alle 13 il cessate il fuoco qualora le intese preliminari saranno confermate nel colloquio di questa mattina a Minsk. Lo stesso faranno le milizie nazionaliste filo-russe, a dar retta ai toni del ministro degli esteri di Mosca, Serghej Lavrov. La de-escalation della crisi ucraina è salutata con soddisfazione dal ministro tedesco Steinmeier a nome, crediamo, di tutti. Eppure sono le parole del segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen a fotografare al meglio l’atteggiamento dell’Alleanza. «La Russia ha attaccato l’Ucraina. Valutiamo positivamente ogni passo verso la distensione, ma fino ad ora sono state solo parole: la realtà dei fatti è questa». Oggi, a Minsk, potrebbe cambiare, provocando una ricaduta sull’ulteriore stretta anti-russa che l’Unione europea dovrebbe adottare in queste ore. Eppure anche la svolta di Minsk, se ci sarà, non riporterà l’orologio indietro, mutando la nuova pelle che avvolge la Nato.
La crisi sul fianco orientale e su quello sud-orientale (Stato Islamico) hanno rivitalizzato l’Alleanza, cambiandola come mai prima d’ora. Nessun ritorno alla Guerra Fredda nel senso tradizionale, ma piena consapevolezza che la Russia di Vladimir Putin a quel linguaggio resta abituata. E con quel linguaggio va apostrofata. Deve essere gestita con assoluta fermezza, nella pratica e non solo nella teoria, sfoderando un armamentario di misure di diversa intensità che spazia da sanzioni economiche a opzioni militari flessibili. Con una differenza fondamentale: le prime possono essere revocate, ammorbidite, indurite, le seconde no. La cooperazione sugli armamenti, la rete di assistenza all’Ucraina e soprattutto la creazione di una forza di intervento rapido di 4mila uomini da mobilitare nel volgere di poche ore e forte di strutture logistiche nei Paesi dell’Europa centro-orientale, sono realtà destinata a rimanere, divenendo nuovo volto di un Patto rinsaldato. Simbolo della tramontata partnership con la Russia che polacchi e baltici oggi considerano morta, mentre i vertici atlantici e Berlino s’ostinano a ritenere "sospesa", sottolineando che il canale diplomatico con Mosca è aperto.
Non hanno torto, evidentemente, Barack Obama, David Cameron, Anders Fogh Rasmussen a dire che è stata Mosca a venire meno ai patti, al di là della retorica resta però difficile considerare la partnership ancora in vita. Oggi non lo è e per riprendersi, se mai davvero accadrà, saranno necessarie cure lunghe, medicine forti.
Diversa è la dinamica che in seno e ai margini della Nato va delineandosi per far fronte alla minaccia dello Stato Islamico. Barack Obama e David Cameron in un articolo sul Times hanno denunciato la barbarie degli uomini neri e la volontà di intervenire. Azioni che potrebbero un giorno avere anche, in qualche forma, il cappello Nato. Il segretario generale lo ha detto invitando direttamente il governo iracheno a fare richiesta di assistenza. «La valuteremo», ha aggiunto. Ma non potrà essere mossa risolutiva per una semplice ragione oltre alle più complesse considerazioni politico-legali e di geopolitica: non c’è il tempo. Il re di Giordania s’è intrattenuto con i leader dei Paesi membri, illustrando un piano in tre fasi che consentirebbe di fermare l’avanzata delle milizie fondamentaliste sunnite. Per lui l’orologio corre con una velocità insopportabile. E non solo per lui. È opinione condivisa che un intervento di alcuni, singoli membri del Patto contro le milizie dello Stato Islamico esteso ben oltre gli Usa - Londra freme e non solo Londra - sia in discussione. Resta da capire il come, ma soprattutto il quando. Non può essere questione di mesi, né di settimane. Ma di giorni.
Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 5/9/2014