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 2014  settembre 05 Venerdì calendario

MÜNZEMBERG FECE IL LIFTING A STALIN

Sindacalista e socialdemocratico prima della Grande guerra, comunista di rango durante la Repubblica di Weimar, quando fu eletto al Reichstag e diventò uno dei segretari generali del Comintern, l’Internazionale comunista, Wilhelm Münzenberg era figlio d’un oste: uno dei rari proletari in un partito di declassati e di bohémien votati alla causa del proletariato.
Münzenberg realizzò il sogno di Marx, che decenni prima, ai tempi della Lega dei comunisti e del Manifesto del 1948, proclamava che «gli operai coscienti» dovevano prendere in mano il proprio destino trasformandosi, da autodidatti, in intellettuali.
«Willy», come lo chiamavano gli amici, fece molto di più: diventò il grande impresario dell’intellighenzia di sinistra dell’intero pianeta, da New York a Pechino; diventò l’Intellettuale Supremo. Fece dell’agit-prop un’impresa titanica, sfiorando e spesso abbattendo il confine tra operazioni di spionaggio e «lavoro culturale», come sarebbe stato battezzato in seguito dai partiti postalinisti, quando Willy era morto (morto ammazzato) da molto tempo e la sua agenzia culturale planetaria era stata ereditata dagli epigoni.
Martino Cervo, giornalista a Libero, racconta con passione la storia di questo proletario senza più catene in Willy Münzenberg, il megafono di Stalin. Vita del capo della propaganda comunista in Occidente (Cantagalli 2013, pp. 112, 12,00 euro). Quella del cosiddetto Münzenberg Trust, come fu battezzata la sua holding culturale, è una delle grandi storie del comunismo giovane.
Fu lui, Münzenberg, a inventare il comunismo acculturato e buonista, cioè il socialismo non reale ma irreale (che da noi, com’è noto, è stato rottamato da poco, e forse nemmeno del tutto). Fece del Comintern, agli occhi dell’opinione pubblica «progressista», una specie di Superesercito della salvezza e dell’Urss un’utopia, da difendere a ogni costo.
Gli piaceva la bella vita - lo chiamavano il Milionario Rosso, per capirci - ed era un incantatore di serpenti, convincente come il demonio. Fu l’agit-prop di Wylli il Rosso, sempre per capirci, a convincere Charlie Chaplin, l’omino con la bombetta e il bastoncino di bambù, a dichiarare nel 1939 «le purghe staliniane sono state un’iniziativa meravigliosa» (si veda Charlie Chaplin di Peter Ackroyd, ISBN 2014, pp. 262, 25,00 euro).
Willy riempì il mondo di quelli che più tardi sarebbero stati chiamati «agenti d’influenza»: intellettuali che per vanità (come Chaplin) o per denaro (come la gran parte degli altri) magnificavano nei loro saggi, romanzi, film, balletti, conferenze, articoli di giornale, tele e sculture d’avant-garde le «magnifiche sorti e progressive» del comunismo internazionale.
Willy era un maestro di magia. Una terrificante controrivoluzione asiatica aveva rovesciato il regime politico pluralista nato a San Pietroburgo e Mosca nel febbraio 1917 e riconsegnato la Russia al dispotismo? Münzenberg addolcì la pillola. Arruolò nani e ballerine, corruppe artisti, comprò e fondò giornali, e alla fine riuscì a far credere che Stalin non fosse il fratello gemello di Hitler ma il suo nemico mortale. Tirò dentro l’impresa dei «compagni di strada» (il suo specifico contributo alla storia del XX secolo) personaggi di levatura planetaria come Albert Einstein e Thomas Mann. Dicono che sia stato lui, benché non ci siano prove e la storia sia un po’ troppo bella per essere vera, ad arruolare Kim Philby e le altre «spie di Cambdrige» nei ranghi dello spionaggio sovietico.
Forse non arruolò Philby, e probabilmente era davvero un sibarita, che a spese del proletariato si diede al bunga bunga nell’Europa degli anni Trenta, ma cambiò i connotati del comunismo. Willy ne fu per così dire il chirurgo plastico. Stalin e i suoi tagliagole non ci sarebbero mai riusciti. Un po’ «gufi», un po’ «rosiconi», come direbbe Matteo Renzi leccando il suo gelato, i cekisti gliela giurarono: troppi soldi, troppe donne, troppo champagne, troppe trombette di carta, troppi putipù.
Per non pagargli il conto, ma soprattutto perché la fortuna altrui piace sempre poco a chi la contempla da lontano, l’Internazionale comunista prima lo mise al bando, come sotto il Padre dei popoli capitava un po’ a tutti, dopo di ché commissionò all’NKVD, la polizia politica, il suo omicidio. Willy fu assassinato in Francia nel 1940 - in pieno Patto Molotov-Ribbentrop tra Stalin e il suo «nemico mortale».
Diego Gabutti, ItaliaOggi 5/9/2014