Paolo Siepi, ItaliaOggi 5/9/2014, 5 settembre 2014
PERISCOPIO
«Lei è italiano?». «Raramente». Bow.
Un po’ de magna magna c’è stato ma un po’ so’ colpevole puro de costituzione. Franco Fiorito, ex capogruppo regionale del Pdl del Lazio.
Razzi e Salvini in Corea del Nord. Bei tempi quando, all’estero, ci conoscevano solo per la pizza e per la mafia. Spinoza. Il Fatto.
Dobbiamo smetterla di parlar male della Germania. Matteo Renzi, agenzie.
Non ho nessuna difficoltà a credere che il telefono sia l’invenzione di un italiano: infatti, non funziona. O è occupato, o è libero e nessuno risponde, o, se risponde, quello che cercate non c’è. Viceversa, quando vi chiamano è quasi sempre per rompervi i coglioni. Ennio Flaiano, appunto del 1971.
Tolstoj conosceva l’amore, il dolore, la gioia, il piacere della vita quotidiana, la caccia, la vita di campagna, i salotti dei nobili, i loro dialoghi. Ha saputo raccontare le guerre, il campo di battaglia, la morte, con la naturalezza di chi ne ha fatto veramente esperienza. Raffaele La Capria. Il Foglio.
Il film di Maresco Belluscone ha un protagonista che non è Berlusconi (il titolo col cognome storpiato è pura satira) ma un palermitano piccolo piccolo: Ciccio Mira, impresario di cantanti neomelodici e di feste popolari nei quartieri più mafiosi di Palermo, come Brancaccio, feudo dei fratelli Graviano e base di partenza delle stragi via via D’Amelio nel ’92 e di Firenze, Milano e Roma nel ’93. I palchi dei concerti sono posizionati davanti alle case dei boss a mo’ di inchino. E al termine il cantante rivolge un commosso e deferente saluto «agli amici ospiti dello Stato», i mafiosi detenuti al 41-bis, augurando loro «un presto (sic) ritorno a casa». La storia è quella del sottoproletariato palermitano rigorosamente filomafioso. Peraltro speculare ai figli della buona borghesia che, intervistati in discoteca, parlano di mafia esattamente come i figli del Brancaccio: «Il 23 maggio? Un giorno come un altro», «il 19 luglio? Si sposò mia sorella». «La trattativa Stato-mafia? Niente so, ma non penso che ci sia stata» e comunque «meglio la mafia che lo Stato, no?». Marco Travaglio. Il Fatto.
Nel 1925 fu messa questa lapide sulla casa natale di Mussolini a Predappio: «Qui ove nacque Benito Mussolini / che rivelandosi sommo statista/ con intelletto d’amore / riconsacra l’Italia / sull’Altare della Patria / a eterna memoria / i cittadini posero». Franco Monicelli, Il tempo dei buoni amici. Bompiani, 1975.
Il malato era alle ultime ore. E sapeva ormai, nonostante le pietose bugie aveva capito. Il petto ischeletrito gli sussultava penosamente a ogni respiro. Assistendo, muta, a questa sua battaglia, mi accorgevo di quanto mi era infinitamente caro. L’orgoglioso non credente, il materialista convinto. Avevo pregato per lui, impotente però di fronte al muro della sua libertà. «Ma tu non sei capace di farlo, per lui, un miracolo?», avevo chiesto polemicamente a un santo che mi è caro. Finché, in quella lunga notte di veglia, nel denso silenzio che precede il nuovo giorno, accanto al letto, la moglie mi ha raccontato del giorno prima. Nel dormiveglia, il malato faceva con una mano il gesto di chi bussa a una porta. La moglie: «Ma cosa fai?», Lui, indicando il cielo: «Busso, perché quello lassù mi apra». Forse tutta una vita, gli studi, le passioni, gli affetti, servono a un uomo perché nella sua ultima ora ceda a un istante di umiltà, e come un mendicante domandi? Aveva capito tutto, in pochi giorni, quell’uomo apparentemente, per la vita intera, in altre cose affaccendato. «Busso, perché quello lassù mi apra». Knocking on heaven’s door, come diceva quella canzone che ascoltava nella sua stanza, a diciott’anni. Marina Corradi. Tempi.
Pantalone è fesso e se lo merita. Se fossi io dall’altra parte della barricata e sapessi che, in cambio della felicità elettronica fornita alle masse su un quadratino luminoso chiamato teleschermo, potessi mettere la mani nelle loro tasche e non solo ripulirli dei loro soldi, ma anche impadronirmi delle loro emozioni, non farei come loro? Piera Graffer, La Maliarda. Logisma.
Mia madre, quando ero piccolo, mi raccontava la storiella dell’Accademico di Francia che durante un pranzo viene interrogato da una signora: perché il Polo Nord è così freddo? E lui: non lo so. Perché le cavallette emigrano? Non lo so. E così via. A un certo punto la signora si scandalizza e lui le risponde: vede, io sono pagato per quello che so, ma se dovessi essere retribuito per quello che non so, non basterebbe tutto l’oro del mondo. Tullio De Mauro, linguista. la Repubblica.
Ricordo Ischia dove andai con mia moglie, ma soprattutto un mio spettacolo al teatro di Pompei mai aperto. Dopo le prove, me ne camminavo solo alla luce della luna... e mi fermò un poliziotto: proibito girare tra le rovine. Peter Brook, regista teatrale. Corsera.
Pareva che la Menegazzi si ricusasse alla diligenza e alla pertinacia dell’inchiesta, non volendo far fatica a riflettere; tutta trepida, tutta rorida di speranze in ritardo, nel sogno e nel carisma delle ahimé rasentate ma non patite sevizie: una policromatica sventatezza vaporava dai suoi foulards color lilla, dal suo baffo bleu, dal chimono tutto gorgheggiato di uccellini (non erano petali, erano strani volatili, tra gli uccelli e le farfalle), dai capelli giallastri con tendenza a un Tiziano scarrufato, dal nastro viola che li raccoglieva in un cespo di gloria. Carlo Emilio Gadda, Quel pasticciaccio brutto de via Merulana. Garzanti, 1957.
Di nuovo il cuore picchiava in fretta, come volesse uscire, come un moscone prigioniero che sbatte contro il vetro. Nantas Salvalaggio, Un uomo di carta. Rizzoli.
«Ieri sera, Dio mio» dice A., «noia a barili a casa della contessa B. Non si sapeva che dire. Ci si adagiava sui luoghi comuni come sui cuscini di piuma. Finalmente l’ingegnere raccontò un aneddoto che prendeva lo spunto da un peto. Le signore non stavano sulle seggiole dal gran ridere. Tanto valeva, per farle ridere di più, scoreggiare davvero». Leo Longanesi, Ci salveranno le vecchie zie? Longanesi, 1953.
Nei colpi di Stato in Italia non si capisce mai chi è lo Stato. Roberto Gervaso. Il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 5/9/2014