Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 05 Venerdì calendario

«TRA LACAN, MRS PESC E ILARIA ALPI LA MIA RICERCA OSSESSIVA DELLA VERITÀ»


RICCIONE «Ilaria Alpi va alla ricerca della verità. Ecco perché ho preparato un monologo in cui la voce della giornalista si confonde con quella della verità» ci dice Aldo Nove. A soli trentatré anni, il 20 marzo 1994 moriva in Somalia in circostanze non del tutto chiarite Ilaria Alpi, giornalista del Tg3, con il suo operatore Miran Hrovatin. Di anni dal suo assassinio ne sono trascorsi venti senza che la giustizia conosca mandanti e moventi ma il Premio giornalistico Ilaria Alpi, che si terrà a Riccione dal 3 al 6 settembre come ogni anno dal 1995, la celebra puntualmente. Quest’anno, venerdì 5 settembre alle ore 21 presso il Palazzo dei Congressi, Sabrina Impacciatore reciterà il monologo Io, la verità, parlo, scritto apposta per l’occasione dallo scrittore e poeta Aldo Nove.
Inserito dai critici, intorno alla metà degli anni Novanta, nel gruppo degli scrittori chiamato Cannibali, Aldo Nove oggi si muove tra poesia, letteratura e filosofia come dimostra, il monologo che ha per titolo delle parole dello psicoanalista francese Jacques Lacan. Forse non poteva andare diversamente «perché Ilaria Alpi» ci dice lo scrittore lombardo «cercava la verità e chi tocca la verità muore. E Lacan mostra in quelle parole che il soggetto è scisso, che c’è uno scollamento tra “io” e “verità” consentendo di mostrare cosa direbbe la verità se potesse parlare. Difficile farlo
però perché la verità è oscena per Nove. Risalendo alla sua etimologia osceno significa stare al di fuori della scena, sottrarsi al visibile. «Nella tragedia antica» ci spiega l’autore di Superwoobinda «gli eventi più truculenti non avvenivano sotto gli occhi degli spettatori che potevano invece vedere solo le loro conseguenze. Così accade anche con la verità».
«Quando si è al potere si tenta di occultarla, altrimenti non esisterebbero i servizi segreti», ammonisce. Si sospetta che Alpi e Hrovatin stessero indagando sul traffico d’armi. Eppure i nomi dei responsabili non sono mai venuti alla luce, sono tenuti nascosti. E qui interviene il giornalismo «anche se il rapporto tra giornalismo e verità è tesissimo perché non sempre il giornalismo si mette al suo servizio». Ma c’è chi con volontà la persegue o quantomeno prova a farlo. E Ilaria Alpi ne è un esempio.
La verità ha difficoltà a trovare spazio perché per Nove oggi c’è molta distrazione. Si fatica molto a ottenere l’attenzione delle persone. I tempi di concentrazione sono brevi e spesso ci si esprime per slogan. I social network ne sono un esempio. «Quante volte» ci racconta « sulla rete si trova un buon articolo ma i commenti in calce parlano di tutt’altro come se i naviganti avessero letto solo il titolo e forse neanche quello?». È sempre più difficile accedere alla verità dunque. E la cronaca gli dà indubbiamente ragione. «Guardi a quanto accade in Medio Oriente» ci dice. Nei commenti domina solo la paura per quanto si vede o si sente. Manca una serie riflessione sulle cause, su chi sia il responsabile, sulla posta in gioco. E che dire poi di quanto sta succedendo in Ucraina. Putin è il cattivo di turno. Dopo Saddam, Gheddafi, Assad ora è il suo turno. E il ministro degli esteri Mogherini cosa fa appena conquistato il titolo di Mrs Pesc? Anziché gettare acqua sul fuoco alza i toni dichiarando la fine della partnership strategica tra Europa e Russia. Nessuno ragiona più in chiave di interessi». E forse non potrebbe essere diverso visto «quell’accrocchio chiamato Unione europea che non rappresenta nulla».
«Abbiamo un bisogno disperato di verità» confessa il poeta di Viggiù spostandosi politicamente ben al di là della ormai consunta distinzione tra destra e sinistra. A difendere la verità ci sono però la poesia e la letteratura. «Sono una forma di resistenza rispetto al dilagante consumo dell’informazione. Esse possono diventare uno strumento per pensare e rifiutare i cibi cotti che ci vengono propinati tipo la storia dell’Ucraina e la Russia». Forse a questo ha pensato il regista Renato De Maria quando ha deciso di trarre un film da La vita oscena di Nove, in questi giorni alla Mostra del Cinema di Venezia, che ha avuto difficoltà nei finanziamenti. «Capisco i problemi in cui si è imbattuto» confessa l’autore del monologo su Ilaria Alpi «Si tratta di un film strano e può sembrare un azzardo. È comprensibile quindi che in un momento di crisi si stia attenti con gli investimenti soprattutto con un film che non ne richiede pochi... ma forse in un momento di difficoltà bisogna osare».