Giordano Tedoldi, Libero 5/9/2014, 5 settembre 2014
BOCCA DI ROSA ADESSO TIMBRA ALLE 7
La puttana «del paradiso al primo piano», nella genovese via del Campo cantata da De Andrè, «tutta notte sta sulla soglia». Era il 1967, oggi, invece, al crepuscolo già dorme il sonno dei giusti, di quanti durante il giorno lavorano. Sarà l’età, la dislocazione del paradiso a ambienti più perversamente attrezzati con un menu più ricco di orientamenti e pratiche sessuali comodamente raggiungibili in rete, la desertificazione dei carruggi i suoi caratteristici vicoletti che va trasformando Genova in un esempio di quiete notturna da far invidia a Zurigo, ma il fatto, come riportato ieri dal quotidiano cittadino, il Secolo XIX, è che l’orario di lavoro delle prostitute comincia poco dopo l’apparizione di Venere, la prima stella e di certo la loro protettrice, in cielo. Sette di mattina: e c’è da chiedersi con che testa, che stomaco (per tacer del resto) la clientela, in quell’ora propizia agli amplessi solo a patto di non mettere il piede giù dal letto, abbia voglia di trafficare in rapporti mercenari, quando nell’aria c’è l’odore di caffè, di cornetti e bombe alla crema, e in testa lo stordimento di pochi minuti prima, quando ci si è sfilati il pigiama, e ora si deve già tornare a letto per cogliere «sempre la stessa rosa».
Ma i bioritmi, sia pure quelli incardinati in una pratica atavica, nulla possono di fronte all’impoverimento e all’invecchiamento di un agglomerato urbano e al suo effetto più sentito: la morte della notte. La professionista interpellata dal Secolo è secca. La sera? «Ma quale sera, da metà pomeriggio non si batte quasi più chiodo». La ditta serve i clienti dalle sette, osserva una pausa alle dieci, «a quell’ora vado a fare la spesa. Come una massaia qualsiasi, vestita come una donna normale», il desinare anticipato per tornare operativa all’ora di punta che è a mezzogiorno, l’una, quando si fermano uffici e negozi, quindi lo sfoltirsi progressivo degli incontri fino allo spegnersi serale. Riposo notturno, ci si rivede domattina.
Oggi De Andrè, che la notte vagava ubriaco minacciando di mangiare topi per scandalizzare i borghesi e dormiva di giorno con una mascherina come quelle in dotazione sugli aerei nei voli intercontinentali, traboccherebbe di disperazione, non avrebbe nulla da cantare con la sua bella voce baritonale: persiane chiuse, portoni che non si aprono, nulla d’immondo dietro le finestre, solo un rumoroso russare. Pace all’anima sua, del resto la versione romantica e stucchevole delle sue «bocche di rosa» poteva far presa solo su una generazione che è riuscita a credere a qualunque fesseria ideologica, dunque anche che «dal letame nascono i fior», il che ha fatto pensare che bisognasse coprire di stallatico ogni cosa.
La puttana dal cuore d’oro è una favola bella (di cui primo colpevole fu Baudelaire, che però non ne nascondeva il lato marcio e falso) che può rendere in diritti d’autore, ma adesso sarà difficile conciliarne l’immagine scacciata dalla romantica notte, dai riflessi lunari, dai vicoli bui, e precipitata nella prosaicità abbagliante delle sette di mattina con quella di una «massaia» che «fa la spesa vestita come una donna normale» e che, proprio come tutte le squallide creature del giorno, suda e si sbatte per mettere insieme un mensile e non per raccattare qualche brillo poeta cui l’angoscia toglie il sonno, nel calore della sua alcova.
Tutto si spoetizza, doveva toccare anche alle puttane di Genova. Certo, però, in piedi alle sette di mattina, che eccesso: non è che il primo cliente, entrando, sarà salutato dalla tromba della sveglia militare?