Riccardo Bruno, Corriere della Sera 5/9/2014, 5 settembre 2014
«IO E MARY SULLE SEDIE VOLANTI SOGNANDO DI FARE LE TOP GUN»
Era in addestramento in Giappone quando ha saputo che Mary, la compagna di corso in Accademia, la sua «carissima amica», aveva perso la vita nello scontro tra i due Tornado. Samantha Cristoforetti, 37 anni, astronauta dell’Agenzia spaziale europea, doveva rientrare a Houston, ha rimandato la partenza per dare l’ultimo addio a Mary, il capitano Mariangela Valentini, e agli altri tre ufficiali morti nell’incidente, Paolo Piero Franzese, Alessandro Dotto, e Giuseppe Palminteri. «È stato un evento raro, inevitabilmente fatale. Purtroppo non è possibile eliminare completamente il rischio».
Cristoforetti adesso è in Texas. L’aspettano gli ultimi 80 giorni di preparazione prima della missione Futura dell’Agenzia spaziale italiana a bordo della Stazione spaziale internazionale: prove in piscina per addestrarsi alle passeggiate spaziali, addestramento in robotica, simulazione di ogni imprevisto. Ci tiene però a ritagliarsi mezz’ora non solo per ricordare l’amica, ma anche per riflettere su «una professione unica e rischiosa, ammirata ma spesso anche fraintesa. Molti purtroppo pensano che i piloti militari siano dei superuomini o delle superdonne che grazie alle loro abilità possono divertirsi con velivoli ad alte prestazioni. Nulla è più lontano dalla realtà. Ci vogliono anni di studio e in ogni volo ci sono obiettivi di addestramento che richiedono concentrazione in ogni secondo. Non si vola per guardare il paesaggio. I piloti sono come gli atleti, si devono allenare continuamente; solo che i piloti non sanno quando arrivano le Olimpiadi. Né le desiderano».
Sam e Mary, Samantha e Mariangela, si erano conosciute nel 2001. Stesso corso a Pozzuoli, letti adiacenti, per 4 anni fianco a fianco. Tra le prime donne ad essere ammesse in un santuario maschile. «Il corso precedente al nostro è stato il primo in assoluto. Eravamo una quindicina su un centinaio di allievi».
Una parte dell’addestramento era dedicato a schivare i giornalisti. «C’era molta curiosità. Mariangela era una persona schiva, come molte di noi viveva queste attenzioni con disagio. Eravamo consapevoli di appartenere a una squadra e di non avere meriti particolari rispetto ai colleghi». Con i compagni maschi andava meglio. «Non c’era un pregiudizio negativo. Venivamo tutti dall’università o dal liceo, dove le classi erano miste. In più i nostri addestramenti sono fortemente standardizzati, non c’è spazio per distinzioni di genere».
Non c’è nemmeno tanto tempo libero. «Le giornate erano piene, tra lo studio e la preparazione militare. In estate c’erano i corsi di volo all’aeroporto di Latina, propedeutici a quello di pilota militare che arriva dopo l’ Accademia». Anche in bagno non smettevano di immaginarsi alla guida di un aereo. «Con Mary facevamo spesso il “chair flying”, che tradotto sarebbe il volo simulato sulla sedia — ricorda Cristoforetti —. Eravamo sedute per terra, con lo spazzolone usato come barra di comando, ripetevamo le manovre a voce alta, azionando con le mani interruttori immaginari...».
Dopo l’Accademia le strade di Sam e Mary si dividono. Samantha si specializza negli Stati Uniti, Mariangela va a Lecce. Due carriere d’eccellenza, una la porterà ad essere selezionata dall’Agenzia spaziale, l’altra è assegnata ai Tornado. «Un punto di arrivo prestigioso ma anche l’inizio di un addestramento molto difficile».
Non si perdono di vista, l’ultimo incontro lo scorso giugno. «Feci una festa con gli amici prima della missione spaziale. Ricordo il suo sorriso. Era una persona radiosa, aveva una grande passione per il suo lavoro e tanti talenti: nello studio, nel volo, nello sport». Cristoforetti resta a lungo in silenzio, poi riprende: «La sicurezza è migliorata molto negli anni ma il volo militare rimane un’attività potenzialmente pericolosa. La necessità della sicurezza nazionale ma anche gli impegni umanitari impongono un prezzo e un sacrificio. E questo ogni equipaggio implicitamente lo accetta quando decolla».
Il capitano Cristoforetti tra due mesi e mezzo andrà in orbita, missione lunghissima di oltre 6 mesi. «Cosa mi porto dentro della mia formazione di pilota? Non solo la preparazione tecnica, soprattutto la forma mentis che ti dà al consapevolezza della tua forza. Sai che hai passato momenti molto impegnativi, e dopo tanta fatica e talvolta lacrime sai che ce la puoi fare».