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 2014  settembre 05 Venerdì calendario

QUARANT’ANNI DI LEADER E IDEE A CERNOBBIO QUEL LABORATORIO PER LE RICETTE ANTICRISI


La partecipazione o meno al seminario di Cernobbio è diventata di per sé un elemento di comunicazione. Accade così che morettianamente ai primi di settembre in tanti si facciano la stessa domanda: «Mi si nota di più se ci vado oppure se resto a casa?». Il buon senso però ci fa ringraziare quei quattro amici che nel lontano 1975 intuirono che sarebbe stato utile disporre di un luogo per discutere stato dell’economia e tendenze della società contemporanea. Il quartetto era composto da Alfredo Ambrosetti, Beniamino Andreatta, Francesco Alberoni e Umberto Colombo e la loro idea ha funzionato visto che siamo alla 40a edizione. Per il compleanno è stato edito un libro che ripercorre la storia dei seminari e ospita un saggio dell’ambasciatore Sergio Romano che mette in parallelo i grandi avvenimenti della scena mondiale e il dibattito che si svolgeva a Cernobbio. Dimostrando così l’abilità di Ambrosetti nell’interpretare lo spirito del tempo e portare in riva al lago i protagonisti del momento. Due nomi, tra i tanti, vanno ricordati: il cardinale Joseph Ratzinger prima che diventasse pontefice e Giorgio Napolitano, presenza tra le più assidue come ideale trait d’union tra cultura economica liberale e sinistra riformista.
Cernobbio però non è solo “il” convegno, ha rappresentato di più: una cattedra per internazionalizzare le classi dirigenti italiane e non solo sul versante dell’economia. Romano ricorda l’attenzione riservata al Medio Oriente e la contemporanea presenza nel ‘96 e nel ‘99 dei due Nobel, Shimon Peres e Yasser Arafat. Cernobbio ha anche permesso un confronto continuo con l’establishment di Washington, i leader democratici come quelli repubblicani sono stati sempre di casa. Ma se vogliamo trovare una specializzazione questa si chiama Europa intesa come sinonimo di apertura dei mercati, integrazione comunitaria, libertà economica e stimolo alle riforme. Gli eurocrati sono stati sempre protagonisti: i Monti, i Trichet, gli Almunia, le Largarde hanno influenzato più di altri i lavori. I loro riferimenti culturali, le loro metodologie, il lessico, l’utilizzo narrativo delle best practise sono stati il piatto più servito a Cernobbio. E se costruissimo, come si fa oggi, un doodle delle parole più usate in questi 40 anni sarebbe “riforme” a primeggiare. E del resto il tema è sempre lì, sul tappeto anche per il governo del giovane Renzi nato nel ’75 pure lui.
In passato è capitato anche di raccontare i limiti della cattedra europeista di cui sopra. Una tendenza a concentrare l’attenzione solo sull’architettura istituzionale, una strategia per la crescita - parole di Joaquin Almunia lo scorso anno - rimasta ferma al pre-crisi, una certa sottovalutazione dell’economia reale. Pur con queste lacune Cernobbio assomiglia a un club inclusivo più che a una fortezza chiusa. I leader sindacali sono stati ospiti molte volte. Fausto Bertinotti ha saltato poche edizioni così come i leader della Lega Nord hanno potuto parlare quando hanno voluto. Nei lunghi anni del berlusconismo Cernobbio ha rappresentato sicuramente un controcanto alle promesse del Cavaliere. Con Giulio Tremonti, però, pronto ad organizzare il contropiede ridicolizzando il formalismo della burocrazia di Bruxelles. Forse con la scomparsa di Gianni Agnelli è venuta meno, invece, la figura del grande imprenditore interlocutore dell’intellighenzia europeista. Comunque, come scrive Romano «i frequentatori di Cernobbio erano uomini d’affari ma dovettero apprezzare che i loro problemi di ogni giorno venissero trattati in un contesto più largo e con riflessioni di più lungo respiro».
Resi gli onori alla storia la nota più importante di questo compleanno sta nella constatazione che Cernobbio non è diventato un museo, anzi regge il passo dei cambiamenti. Da qui l’attenzione che converrà dedicare all’edizione che si apre oggi, per le tante presenze ma anche per le discontinuità che ci possiamo aspettare. Valerio De Molli, il manager che ha avvicendato Ambrosetti nella conduzione operativa, le elencherà in apertura sottolineando i temi della rivoluzione digitale, dell’obsolescenza delle professioni, delle disuguaglianze sociali e la contraddizione tra i progressi di scienza/tecnologia e le nuove allarmanti crisi geopolitiche. Vedremo come il dibattito recepirà questi spunti e se gli economisti ammetteranno che nella lettura della crisi non sono stati fatti in questi anni straordinari passi in avanti. E vedremo anche se la tradizionale dittatura dell’approccio macro-economico lascerà spazio anche alla ricognizione micro. In fondo al recente simposio dei banchieri a Jackson Hole lo speech di Mario Draghi aveva come tema la disoccupazione.