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 2014  settembre 05 Venerdì calendario

TUTTE LE MOSSE PER RISPONDERE ALLO ZAR

Soffiano venti di Guerra fredda fra l’Occidente e la Russia. Un nuovo mu­ro potrebbe sorgere a Est, nel­l’Ucraina postbellica. Com’è lontano il 2010: quell’anno, Ba­rack Obama lanciò la politica di “reset” con Mosca. Bisogna­va chiudere definitivamente la pagina della guerra fredda. I russi già bluffavano. In feb­braio, l’allora presidente Med­vedev firmò la nuova dottrina militare russa. Fu un brusco ri­sveglio: la Nato spiccava fra le minacce principali alla sicu­rezza nazionale. Non senza qualche ragione: per il Crem­lino era inaccettabile l’avan­zata dei confini “nordatlanti­ci” fino alle sue propaggini oc­cidentali e non meno destabi­lizzante lo scudo antimissili­stico alleato. Mosca chiedeva garanzie giuridicamente vin­colanti. Ma la Nato rifiutò. L’e­dificio della cooperazione già vacillava. Il colpo di grazia è arrivato dai blitz russi in Cri­mea e nel Donbass.

LA PRIMA RISPOSTA
La reazione alleata agli ultimi avvenimenti non si è fatta at­tendere. Subito, Bruxelles ha concertato l’adozione di un nuovo strumento militare: la Very High Readiness Joint Task Force, buffo acronimo dietro il quale si cela una forza operati­va interarma ad alto livello di allerta. Una brigata di reazione rapida di 4mila uomini circa, mobilitabili in 48 ore, “punta di lancia” dell’attuale Nato Re­sponse Force (Nrf ), troppo len­ta di fronte alla tempestività delle crisi. I primi elementi del­la Nrf si muovono dopo 5 gior­ni, quando va bene. Altrimenti in un mese.

LE RASSICURAZIONI
Finora la Nato e gli americani hanno mosso diverse pedine o­perative nella scacchiera est­europea. «Misure di rassicura­zione » le definisce l’Alleanza: in pratica, garanzie aggiuntive alla sicurezza dei Paesi baltici, della Romania e della Polonia, invero già protetti dall’articolo 5 del Patto nordatlantico.
Dodici aerei ruotano oggi fra l’Estonia e la Lituania. Altri 18, a stelle e strisce, fra la Polonia e la Romania. Quattro navi var­cheranno gli stretti turchi en­tro il 7 settembre, dirette nel mar Nero, mentre nel Baltico incrocia un gruppo antimine. A terra, sono quasi incessanti le esercitazioni: prima nel trio baltico, poi in Germania, quin­di in Estonia, Lettonia, Litua­nia e Polonia. Le prossime, fra il 15 e il 26 settembre, si svol­geranno direttamente in Ucrai­na. Sembrano grandi manovre: simulano scenari convenzio­nali puri; un mega-scontro con un nemico simmetrico hi-tech: facile individuarvi la Russia, mai citata ufficialmente. In realtà, queste esercitazioni non coinvolgono più di una brigata: 3 -4 mila uomini. Talvolta anche meno. Pochi? Temiamo di sì. La “Kecker Spatz” dell’epoca del Muro ipotizzava di proiettare 75mila unità nei soli Carpazi.

LO SCUDO ANTI-MISSILE
Pensato fin dal 2002, lo scudo antimissilistico alleato è in di­rittura d’arrivo. A Deveselu, in Romania, sono già partiti i la­vori di adeguamento della fu­tura base missilistica, operati­va nel 2015 con 24 intercettori. La Polonia seguirà entro il 2018, e se l’Ucraina scivolasse nel­l’orbita alleata potrebbe dive­nire una piattaforma appetibi­le anche per lo scudo Bmd (Bal­listic missile defence).
I piani alleati ne prevedono il completamento nel 2020, con tanto di navi statunitensi Aegis nel Mediterraneo (Rota). Inuti­le dire che i russi hanno osteg­giato in ogni modo il progetto, prima con le parole, poi con i fatti. Fra la Lituania e la Polonia, controllano una piccola encla­ve: Kaliningrad, che nel 2013 hanno armato di missili bali­stici a corto raggio Iskander. Vettori dal raggio di oltre 400 chilometri, armabili con testa­te atomiche, e lanciabili fino a Berlino. Non pago, il Cremlino ha spostato cacciabombardie­ri in Bielorussia, in Crimea e sul mare d’Azov. Ha manovrato nel Baltico e puntellato tutti i di­stretti militari che si affacciano a ovest, rispondendo con gran­di manovre. Colpo su colpo.