Elena Loewenthal, La Stampa 4/9/2014, 4 settembre 2014
“CARA FIGLIA TI SCRIVO DAL BUEN RETIRO ITALIANO”
Era esile, di una bellezza buona da sfilate di oggi più che per i canoni dell’epoca in cui visse. Vanitosa tanto da non darsi pace quando il vaiolo, «calamità senza rimedio» le guastò l’incarnato. E anche se «due occhi come i suoi avrebbero comunque continuato a splendere come fari», scrive Masolino d’Amico, il vaiolo si portò via le sue mirabili ciglia e con esse lo sguardo accattivante di Lady Mary Wortley Montagu (1689-1762), di cui Adelphi pubblica ora «Cara Bambina. Lettere dall’Italia alla figlia (1747-1761)», a cura di Masolino d’Amico.
Nei lunghi anni che Lady Montagu trascorre in Italia, a Brescia, a Salò, presso il lago d’Iseo, intorno a Venezia, capitava che per dei mesi una sua lettera non ricevesse risposta, che si perdesse nella lunga strada fra Londra e la casa di campagna. «Forse riuscirò meglio a descrivere il mio stile di vita, che è regolare come quello di un monastero. In genere mi alzo alle sei, e appena ho fatto colazione mi metto alla testa delle mie sarchiatrici e lavoro fino alle nove. Dopodiché ispeziono la mia cascina e faccio un giro tra il pollame, ispezione che è molto ampia. Al momento ho 200 polli, e poi tacchini, oche, anatre e pavoni. Tutto qui è prosperato sotto le mie cure. Le api e i bachi da seta sono raddoppiati, e mi dicono che salvo imprevisti il mio capitale farà altrettanto entro due anni».
Lady Montagu era stata protagonista di molte avventure, di ogni genere, nell’alta società londinese. Aveva sposato Edward Wortley Montagu contro il volere della famiglia, dopo avere intrattenuto con lui una lunga corrispondenza – cosa scandalosa all’epoca. L’aveva seguito a Istanbul in missione diplomatica fra il 1717 e il 1718, e di qui aveva scritto una serie di lettere esemplari, fonte di ispirazione per molte altre viaggiatrici e scrittrici. Il suo approccio aperto al mondo islamico, la sua ammirazione per la pratica ottomana della variolazione (una sorta di vaccinazione ante litteram) sono davvero significativi della sua personalità. Malgrado sia sposata, lady Montagu non esita nel 1736 a rincorrere un giovanotto di nome Algarotti, tentando invano di raggiungerlo in Italia e in giro per l’Europa. Lo rivedrà soltanto a Torino, e fugacemente, nel 1741.
Fra una scorribanda e l’altra, a 58 anni torna nel nostro paese e si ferma fino a un anno prima della morte, quando rientra in Inghilterra. Queste lettere, pensierose e divertite, divaganti e sommesse, sono soprattutto il frutto del recuperato rapporto con sua figlia, la «Cara Bambina» con cui per molti anni aveva troncato ogni rapporto e che qui è una sorta di tacita convitata di pietra, null’altro che cassa di risonanza di pensieri e rimorsi. C’è nella filigrana di queste righe un miscuglio di titubanza e confidenza, di saggezza materna elargita a una figlia già adulta: «Tu dovresti insegnare alle tue figlie a limitare i loro desideri alle cose probabili, ad essere il più possibile utili a se stesse, e a considerare l’intimità lo stato più felice della vita (e lo è)».
Ha un approccio originale anche alla vecchiaia, lady Montagu. Sincero e disincantato, ma mai arreso allo sconforto e ai rimpianti: «Questi pensieri li definirai forse malinconici; non lo sono. C’è una pace dopo l’abbandono degli obiettivi, un po’ simile al riposo che segue una giornata laboriosa. Ti dico questo per tua consolazione. Una volta l’idea che un giorno sarei stata vecchia era per me terrificante. Adesso scopro che la natura ha fornito piaceri per ogni condizioni».
Fra questi ultimi, non mancano certo quelli della tavola: «Mi sveglio di solito intorno alle 7 e bevo una mezza pinta di latte d’asina caldo, dopodiché dormo due ore. Non appena alzata, prendo costantemente 3 tazze di caffelatte, e due ore dopo questo, una grande tazza di cioccolata al latte (…) mi recano il pranzo, dove non manco di mandare giù un buon piatto di portata (non voglio dire piattone) di brodo di carne con tutto il pane, gli ortaggi ecc. Quindi mangio un’ala e tutto il corpo di un grosso e grasso cappone, e un’animella di vitello, concludendo con una adeguata crema pasticciera e qualche castagna arrosto». Chissà come faceva a mantenere la sua invidiabile linea.
Elena Loewenthal, La Stampa 4/9/2014