Eleonora Vallin, La Stampa 4/9/2014, 4 settembre 2014
“MA QUALE SCAFISTA CREDEVO CHE FOSSERO TECNICI INDIANI”
«Mi hanno contattato per un servizio di noleggio con conducente. Ho la licenza e collaboro da tempo con un’azienda della città. Sono partito da Padova e arrivato in un posto, indicato al telefono strada facendo, e ho trovato queste persone ben vestite con iPhone e tablet. Nulla a che fare con quello che si vede a Lampedusa. Pensavo fossero indiani, mi era stato detto che erano dei tecnici stranieri per impianti petrolchimici da accompagnare in Germania. Dovevo guidare fino alla stazione di Monaco, ma non ci sono mai arrivato».
Fabio Forin, 50 anni, di Padova, è ancora sconvolto. Il 22 luglio scorso è stato fermato a Rosenheim, in Baviera, dalla Bundespolizei tedesca. Era alla guida di un pulmino noleggiato per l’occasione. A bordo otto persone «impeccabili» che si sono rivelate dei clandestini. «La polizia ha chiesto i documenti, avevano tutti il passaporto, ma il visto non era regolare. Mi hanno detto di scendere e seguirli per accertamenti alla centrale». Da quel momento inizia l’incubo. «Io parlo bene inglese, ma lì non lo sapeva nessuno - dice Forin -. Mi hanno chiesto di consegnare telefonino e portafoglio e da quel momento non ho più potuto telefonare». Forin non sa che fine abbiano fatto gli otto siriani a bordo. «Sono stato portato in caserma a Rosenheim, denudato, fotografato e lasciato in cella una notte. La mattina è iniziato l’interrogatorio con un interprete italiano. Non ho mangiato nulla, quindi ho chiesto un bicchiere d’acqua. Mi hanno chiesto del lavoro; ho detto che per me andare a Monaco era naturale: ho portato persone a Lubiana, Vienna, Zagabria. Al pomeriggio ero davanti al giudice in tribunale» che dispone il fermo. «Tremavo. Mi hanno consegnato la divisa e isolato, poi sono stato trasferito in cella con altre persone per 15 giorni». «Mi avevano detto che doveva arrivare un avvocato d’ufficio ma non si è mai presentato. Finalmente sono riuscito ad avvisare la mia famiglia facendo richiesta al direttore del carcere: mi sono messo in ginocchio. Non sapevano nulla, erano preoccupati. Così - continua - è arrivato un legale nominato dai miei familiari che nell’arco di 4 giorni ha ottenuto la scarcerazione. Ora stiamo valutando un ricorso ma per viaggi così particolari bisognerebbe cambiare la legge e tutelare noi conducenti. Oggi noi non siamo tenuti a chiedere i documenti».
Forin lavora per la ditta di autonoleggio padovana di Giuseppe Costa. L’incarico era arrivato tramite un collega. Gli otto siriani avrebbero pagato all’arrivo con ricevuta: 2.500 euro in tutto. L’avvocato Carlo Bottoli spiega che il suo cliente «è stato scagionato perché all’oscuro dei fatti. La domanda di archiviazione è della procura stessa, la revoca dell’11 agosto». Alessio Tavecchio, 45 anni, di Vicenza è invece ancora in cella da un mese e mezzo. «Doveva uscire e tornare per il processo, ma sono ancora in corso le indagini - spiega l’avvocato Cristiana Bianco - è innocente, ha perso molti lavori che aveva». Bianco ha seguito altri casi simili. Uno del 2013 è già andato a processo questo aprile: «La giustizia è veloce. Il fermo scatta per pericolo di fuga, temono che la persona non si presenti a processo». Il suo assistito è uscito con 5 mila euro di cauzione. Il giudice ha decretato un anno di pena, sospesa con condizionale. «Anche se non c’è consapevolezza di reato - spiega Bianco - la condanna c’è perché si devono chiedere i documenti ai trasportati». Il ricorso per la scarcerazione di Tavecchio è stato rigettato due volte. Tra 20 giorni il rinvio a giudizio.
Eleonora Vallin, La Stampa 4/9/2014