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 2014  settembre 04 Giovedì calendario

UN PIANO DI PACE CON IL SIGILLO DEL CREMLINO

I precedenti non sono incoraggianti: la tregua annunciata a giugno dal presidente Petro Poroshenko in Ucraina orientale durò soltanto il tempo previsto, dieci giorni: e poi si spense nell’offensiva scatenata da Kiev, di fronte al rifiuto dei separatisti di cedere le armi.
Oggi le cose sono molto diverse: sul piano militare l’iniziativa è tornata in mano ai ribelli, grazie - accusano gli ucraini - al pesante contributo di Mosca, uomini e armi. Quella che ormai il Cremlino battezza "Nuova Russia" ha riguadagnato terreno attorno a Donetsk e Luhansk e giù, sulla costa, si è aperta uno sbocco al mare conquistando Novoazovsk, prima città dopo il confine russo. È da questa posizione di forza che, una settimana fa, Vladimir Putin è sceso in campo.
Da allora, dopo un lungo silenzio, Putin ha lavorato giorno dopo giorno al progetto di legittimare i separatisti, facendosi portavoce delle loro rivendicazioni presso Kiev: l’obiettivo è far accettare alle autorità ucraine l’esistenza di questa entità nata con la forza e imposta nella guerra, ora - dopo un cambio della guardia in cui sono scomparsi i personaggi più vicini a Mosca - in mano a nativi del Donbass, gente "del posto". In questi giorni Putin ha esaltato i loro successi e li ha paragonati alla difesa di Leningrado dai nazisti; ha messo l’accento sul dramma degli abitanti di Donetsk e Luhansk, aprendo la gara degli aiuti umanitari con il suo misterioso, lungo convoglio bianco.
E ora che i rappresentanti dei separatisti siedono al tavolo dei negoziati di Minsk, anche le loro richieste assumono un’aria più accettabile per Kiev: siamo disposti a discutere «il mantenimento di un unico spazio economico, culturale e politico all’interno dell’Ucraina», hanno dichiarato, chiedendo in cambio un’autonomia che - tra l’altro - consenta loro di gestire una politica commerciale sicuramente rivolta verso la Russia. Restando all’interno dell’Ucraina, l’énclave avrebbe il potere di bloccare eventuali avvicinamenti del Paese alla Nato.
Questa "Nuova Russia" sarebbe insomma, in piccolo, l’Ucraina che Putin avrebbe sempre voluto avere alle sue porte. Perché Poroshenko dovrebbe accettare? Se domani a Minsk nascerà davvero un accordo, e se poi dal cessate il fuoco si arriverà a una vera pace, questa sul campo cristallizzerebbe l’attuale situazione. In cui le forze ucraine hanno perso terreno, nel cuore industriale del Paese. Anche se salverebbero Mariupol, il porto sul mar d’Azov ora minacciato dai separatisti.
«Il primo obbligo è la pace - scriveva ieri Poroshenko nel sito della presidenza ucraina - la gente dell’Ucraina è al 100% per la pace». Toni molto diversi da quelli del primo ministro Arseniy Yatsenyuk, che ha reagito accusando Putin «di voler distruggere l’Ucraina e ricostituire l’Unione Sovietica», per salvarsi dalle sanzioni. Alle «riflessioni» del presidente russo ieri i separatisti hanno risposto dicendosi disponibili a cessare i combattimenti se - è il secondo punto del suo piano - Kiev ritirerà le proprie forze. Il destino di questa tregua è qui, nella disponibilità di Poroshenko ad accettarla - e nella capacità di farla accettare al Paese. Ma sarebbe la pace di Putin.
Antonella Scott, Il Sole 24 Ore 4/9/2014