Filippo Ceccarelli, la Repubblica 4/9/2014, 4 settembre 2014
TRA INSULTI E ABBRACCI MASSIMO E MATTEO METTONO IN SCENA LA RECITA IN FAMIGLIA
Ha detto ieri D’Alema a Renzi, e a quanti ancora lo stanno a sentire, che lui è “abituato a dire quello che penso, l’ho sempre fatto. I partiti fondati sul culto della personalità, sulla fedeltà al capo, sono partiti che funzionano male. Vorrei ricordare che noi ci chiamiamo Partito democratico. Se uno dice una cosa e subito viene coperto di insulti da quattro energumeni su Twitter...».
Ha poi aggiunto — e questo un po’ non si sapeva, ma un altro po’ lo si era capito — che a un certo punto Renzi gli aveva “proposto” di “servire il Paese in modo diverso”, cioè diventare lui Mr Pesc. Ma poi niente: “E’ stata cambiata idea? — ha risposto all’Unità on line con un’interrogazione retorica — Benissimo. Non parlo di carriera politica, quella l’ho già fatta. Parlo della battaglia politica, delle mie idee. La farò. E si sentirà».
Ma su quest’ultima icastica promessa — dulcis in fundo e in cauda venenum che sia — ci si riserva comunque un supplemento di scetticismo. Dipende, se si sentirà. E dipende anche quanto, si sentirà, e quando, e secondo quali intenti e attraverso quali modalità.
E’ uno scetticismo che trascende il merito della questione, i successi e le magagne del governo, la scelta della Mogherini, la rottamazione renziana e il ruolo che D’Alema assegna ai partiti. Ma per quanto possa dispiacere a tutti e due i contendenti, lo scontro di settembre evoca, aggiorna e rappresenta come meglio non si potrebbe quella che tanti anni orsono uno straordinario giornalista politico, Enzo Forcella, in un suo formidabile e triste saggio (“Millecinquecento lettori”, ripubblicato da Donzelli nel 2004) definisce: “l’atmosfera delle recite in famiglia”.
Nel senso che in un circuito politico e mediatico dove tutti non solo cambiano opinione di continuo, ma pure si impossessano delle altrui posizioni per scagliarle addosso agli originari detentori, negli ultimi due o tre anni, con una frequenza e una regolarità da algoritmo, un normale giornalista politico si è già occupato della tenzone Renzi-D’Alema dalle quattro alle cinque volte. E se pure l’altalenante relazione fra i due non procura più tanti brividi, anzi a dirla tutta trasmette una stracca indifferenza, beh, forse l’unico modo è di acchiapparla alla luce dei criteri di Forcella.
Per cui i due galli — gallo giovane e gallo vecchio, galletto e gallinaccio — si conoscono troppo bene; si offrono ormai spunti, battute e occasioni; e soprattutto — ecco l’inconfessabile arcano — anche quando si detestano, si vogliono bene.
Vero è che la rivalità politica e giornalistica fra D’Alema e Veltroni può vantare, al confronto, la durata di un ventennio. Ma sul piano dell’intensità spettacolare, che consuma più attenzione, basta digitare i due cognomi su YouTube per essere subissati dalla più invadente e stucchevole visione di scene, scenette, sorrisi, sorrisetti, battute, battutine con cui i carissimi nemici si ringraziano, civettano, si lodano e si fanno i complimenti a vicenda; come pure si può assistere a un’interminabile filastrocca di espressioni gravi, di parole astiose e solenni, di interviste e dichiarazioni in cui ciascuno, dinanzi a una selva di microfoni o in qualche studio esprime a qualche beato conduttore la propria beffarda superiorità sull’altro.
Alimentata spesso dai rispettivi seguaci anche in forma polemica, — ecco cosa diceva D’Alema quando venne a Firenze a fare la campagna elettorale di Matteo! — questa specie di video-schizofrenia comincia nel tempo in cui Renzi è cicciottello e ha ancora il ciuffone, ma alla lunga finisce per scoraggiare chiunque si provi a rintracciare una logica che non sia quella del puro scontro, come del puro incontro di potere per il potere.
Così ci si risparmierebbe volentieri di ripercorrerne le tappe. La proiezione dell’immagine del rottamando leader come bersaglio iconografico nei comizi delle primarie; come anche, addirittura, lo scherzo di piazzare e far girare la foto di un militante con la maschera di D’Alema sotto il camper “Adesso”; e le maliziose rivelazioni su Renzi che si muove per l’Italia con l’aereo privato e poi entra nel camper per arrivare sulle piazze. Indi accuse sui servizi segreti, prendi e porta a casa.
Ma poi anche l’incontro amichevole di Palazzo Vecchio — giusto a pochi giorni, sembra di ricordare, dal cecchinaggio di Prodi. E D’Alema che prima di imbucarsi nell’auto blu si meravigliava della meraviglia, occhi al cielo, timbro annoiato, sopportazione per quei cronisti, poveri scemi, che non capiscono mai quant’è bella la politica se la fanno i professionisti. Come me, come lui, come noi.
E pazienza se Renzi fa lo spiritoso e dice che quando Max va al talkshow ha in serbo i pop-corn. Stesse attento con i pop-corn, risponde quello, che sta ingrassando. Ma di lì a poco il giovanotto gli presenta il libro, vuoi mettere, e allora quell’altro in un turbine di flash e smancerie gli regala la maglietta di Totti. “Un grande partito non può nascondere la verità” ha detto ieri D’Alema. E neanche un governo, in teoria. Nella pratica è sempre tutto più complicato — specie se il potere obbliga chi lo agogna a prendersi troppo sul serio.
Filippo Ceccarelli, la Repubblica 4/9/2014