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 2014  settembre 04 Giovedì calendario

LA PRIMA GLORIA, GLI AMICI, I PANZEROTTI. BARI È LA CITTA DEL DESTINO DI ANTONIO

Forse non si scioglierà in lacrime, come quel 30 maggio 2009, che resta il pomeriggio della sua prima gloria in panchina. Chissà, stasera Antonio Conte saprà resistere all’emozione, nel giorno del debutto da c.t. dell’Italia, proprio nello stadio che segnò il suo trionfo alla guida del Bari, con la promozione in Serie A. Il destino gli ha assegnato un teatro che conosce bene, scelto dalla Federcalcio nell’era Prandelli.

Torna al San Nicola, ripresentandosi un po’ da FantAntonio – non se la prenderà l’indigeno Cassano -, tanto veloce e perentorio è stato il suo processo di crescita da allenatore. Se ne era andato dalla casa biancorossa, lasciando le immagini indelebili della festa dopo Bari-Treviso, finita con il 4-1 per la sua allegra brigata e con la consegna della Coppa Ali della Vittoria nelle mani del capitano Gillet. La gioia per il salto in A, con la sfilata sul pullman scoperto in giro nella città impazzita per il ritorno in paradiso , e l’apertura ai Matarrese per la partecipazione anche al tour elettorale di Tonino furono cancellate dalla clamorosa rottura tra il tecnico e la società. All’improvviso, divenne carta straccia il contratto firmato dalle parti, divise ormai da profonde divergenze in chiave mercato.
La corsa sfrenata La chiamata del Bari, da parte di Giorgio Perinetti, gli era arrivata per effetto del tonfo per 4-0 della squadra di Materazzi proprio nel derby al San Nicola contro il Lecce. Dalle dimissioni di Beppe, il 28 dicembre 2007, all’approdo di Antonio, destinato in breve tempo a diventare il leccese più amato a Bari. Mezzo torneo per costruire il futuro, poi l’exploit a suon di record, per lo sbarco in A. L’ombra del calcioscommesse e dell’omessa denuncia non hanno offuscato l’immagine di un allenatore vincente, deciso a porsi paletti sin dall’avvio della carriera di tecnico. «Se entro 4-5 anni non arriverò in un grande club, lascerò perdere e me ne starò a casa, sarà meglio godermi la famiglia», la traccia del cammino che si era imposto mentre Barreto e compagni proponevano spettacolo in giro per l’Italia di Serie B. Due anni dopo, si sarebbe meritato la chance alla Juve: tre scudetti dopo e un altro divorzio traumatico, Conte ha toccato il cielo azzurro, nel ruolo di c.t. dell’Italia. «Concedo un’opportunità a quanti lo meritano – ha sottolineato ieri -. Se un giovane è bravo, gioca: non guardo la carta d’identità, quando uno ha qualità. Nel mio Bari hanno esordito Galano e Bellomo, avevano 17 anni, e nell’Arezzo diedi spazio a Ranocchia, appena diciottenne».

Più che da… bere, la sua è stata una Bari da mangiare, un boccone dopo l’altro. I frutti di mare crudi (scampi al ghiaccio e «allievi»), le fumanti focacce e i saporiti panzerotti: per un anno e mezzo, Antonio si è calato nella parte barese, anche a costo di attirarsi nuove antipatie nel suo Salento, ferito ancor più dal successo del Bari di Conte al Via del Mare. Una puntatina a Savelletri, andando giù verso Fasano, per una scorpacciata di ricci e la tranquillità della vita nella casa a Palese, coccolato dall’affettuoso rapporto con la famiglia di Maria e Vito Vasile, con i loro figli Elena, Rosa e Antonio, tuttora legatissimi al c.t. e alla moglie Betta. «Che felicità, vedere mia figlia Vittoria qui al campo – ha detto Antonio ieri sera –. Ha esordito proprio in questo stadio, aveva solo 2 mesi. E per la mia “prima” da commissario tecnico sono orgoglioso di accogliere tutta la mia famiglia: io, unico meridionale sulla panchina della Nazionale».